CAPITOLO 47

Palazzo Minkowskie

Ex bordello nazista

47

Dopo aver chiuso la telefonata, Hans si voltò intorno. Non vide nessuno per cui si affrettò a chiudere la portiera della macchina nascosta fra due enormi capannoni abbandonati. A quel punto attraversò rapido una piccola strada male asfaltata rasentando uno degli edifici un tempo adibito a magazzino di vettovaglie e si diresse verso la statale. Altri dieci metri e si ritrovò di fronte a un piccolo e sgangherato cancello di ferro sul quale era attaccato un logoro cartello con su scritto in polacco Proprietà Privata.

Un leggero sorriso gli increspò le labbra, quindi con un calcio lo spalancò, inoltrandosi in mezzo al prato che cingeva l'ex bordello nazista. La prima cosa che lo colpì fu l'angosciante desolazione che si poteva percepire in ogni singola pietra di quel vecchio palazzo. Vetri rotti, muri scrostati, tegole ammassate a terra fra arbusti cresciuti senza un ordine preciso, sacchi di sudicio gettati ai lati insieme a vecchie sedie, oggetti di vario genere lasciati a marcire agli angoli dell'edificio.

Scosse la testa gettando una rapida occhiata al tetto che un tempo era stato di un azzurro sgargiante, cercando d'immaginarsi la grandezza di quel palazzo signorile ai tempi in cui era frequentato dai più illustri gerarchi nazisti, ma la devastazione del tempo e della natura lo rendeva molto difficile. Le tegole adesso apparivano quasi di un celeste sbiadito, grossi fori lasciavano intravedere le tavole sottostanti arrugginite dall'esposizione ai raggi del sole, mentre enormi porzioni erano addirittura cadute a terra dove l'edera le aveva avviluppate nelle sue spire. Fece qualche passo in avanti notando che non era rimasto più nemmeno quello che un tempo doveva essere stato il muro di confine della proprietà, ridotto adesso a un ammasso di mattoni grezzi a ridosso della statale, mezzo coperto dalla vegetazione e dalle fronde di un grosso albero.

Attraversò l'erba alta fino a giungere nei pressi di un lato della scalinata che conduceva al loggiato centrale. Salì rapidamente portandosi sotto gli archi per poi fermarsi di fronte al vecchio portone di legno.

Due grossi alberi gettavano ombre scure dietro di lui. Sentì all'improvviso un rapido frusciare e un paio di piccioni si alzarono in volo sbattendo forte le ali.

Hans tirò fuori la pistola.

L'ingresso era chiuso, ma i battenti logorati dal tempo e i cardini marciti non sarebbero di certo stati un problema. Con un calcio li ruppe ed entrò, accostando poi la porta dietro di sé. Nessuno in quella desolazione si sarebbe meravigliato di trovare l'ingresso socchiuso.

La luce del sole penetrava dalle numerose finestre molte delle quali avevano le vetrate rotte inondando l'interno di una calda luce.

Il palazzo si estendeva per quasi ottanta metri in larghezza e venti in altezza, ma a lui non interessava esplorarlo tutto. L'ingresso ai cunicoli sotterranei del progetto REISE si doveva trovare da qualche parte sotto i suoi piedi, un piano più giù. Prese quindi a sinistra imboccando delle scale di marmo che a spirale scendevano fin sotto il livello del suolo. Dopo due svolte l'aria si fece più fresca e più umida e un forte odore di marciume iniziò a solleticargli le narici. Ciò nonostante, proseguì, immerso nel silenzio fino a che non sbucò in una vasta sala dal soffitto talmente basso che dovette piagarsi. Gli sembrava di essere finito in una specie di cripta ricoperta di mattoni con un'enorme colonna al centro su cui poggiava una parte dell'edificio. Si guardò intorno e vide che alla sua destra partiva un basso corridoio. Accese la torcia del cellulare e si mosse in quella direzione. Camminò per circa dieci minuti fino a quando non sbucò in un'altra sala molto simile alla precedente, solo grande il doppio.

Tre grosse colonne in pietra si ergevano al centro mentre una scaletta in pietra sembrava scendere nelle viscere della terra. Prese quella direzione e dopo un paio di rampe si dovette fermare di fronte a un cancello di ferro.

Scrutò al di là delle sbarre ma l'oscurità sembrava impenetrabile. Una folata di vento ghiaccio lo fece rabbrividire, ma recuperò subito il controllo. Nessun rumore intorno a lui, solo un pesante silenzio e una fredda umidità. Cercò di aprire il cancello, ma non ci riuscì. Allora tirò fuori di tasca un coltellino e dopo pochi minuti riuscì a forzare la serratura arrugginita e a spalancare le inferriate. In quel momento notò, sopra una delle pietre appena al di là dell'inferriata una targhetta di metallo con un'incisione. Con la manica della giacca la ripulì dalla polvere, poi vi puntò sopra la torcia.

Un ghigno di soddisfazione gli illuminò il viso quando vi lesse chiaramente la parola REISE.

La tentazione di proseguire per cercare l'oro per un attimo lo fece vacillare, ma si riprese subito pensando agli ordini di Wagner. Con un sospiro si fece quindi indietro e accostò la grata di ferro fino quasi a chiuderla, come se nessuno l'avesse mai aperta. Poi, soddisfatto, si mosse piano, risalendo a ritroso le scale per tornare nella grande sala. Una volta giunto si fermò, appoggiandosi a una delle tre enormi colonne di pietra. Si tolse lo zaino dalla schiena e ne tirò fuori alcuni dischi di metallo, sorridendo fra sé per il piano che avrebbe inscenato di lì a poco. Per la verità quell'idea gli si era affacciata alla mente quando vi era passato per la prima volta scendendo, ma adesso che aveva trovato l'accesso ai cunicoli, ciò che gli si era presentato all'inizio come una semplice bozza, aveva preso ora una forma ben distinta.

Si voltò intorno annuendo della propria audacia. Quell'inaspettato ambiente gli aveva appena fornito¸ su un piatto d'argento, la soluzione perfetta per fare piazza pulita una volta per tutte.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top