CAPITOLO 43


43

Hans Schädle stava cominciando a perdere la pazienza. Aveva già frugato tutto intorno alla base rialzata della statua, ma senza alcun risultato. Niente. Non aveva trovato nessun indizio utile, a parte l'incisione delle inziali del compositore.

Per un momento aveva anche pensato che quelle due lettere potessero essere in qualche modo collegate a un meccanismo di apertura nascosto nel bronzo, ma dopo averle pigiate più e più volte non era successo nulla.

Frustato si era messo in ginocchio, gli occhi puntati sul busto di Rachmaninoff, cercando di ragionare. L'uomo era stato scolpito con la testa leggermente piegata in avanti e la mano sinistra appoggiata a un pianoforte stilizzato. I piedi erano poggiati, uniti, su una piccola piastra posta al centro di un grosso piedistallo circolare ben rialzato da terra di almeno una quarantina di centimetri. Su di esso erano stati inseriti tre dischi concentrici a distanza più o meno uguale l'uno dall'altro e con sopra incise delle note musicali, mentre al centro si trovavano le iniziali del nome e del cognome.

Scosse la testa. Dove accidenti poteva essere l'indizio? Ripassò mentalmente le varie possibilità e alla fine giunse all'unica logica conclusione. Se non esisteva alcun meccanismo da azionare, allora doveva esserci per forza un punto nella statua abbastanza largo da contenere spazio a sufficienza per occultare qualcosa, una specie di scomparto chiuso da un elemento che fungeva da tappo. Ma dove? Il pianoforte era un blocco unico, quindi non era il caso di perdere tempo in quella direzione, così come il busto. Rimaneva solo il piedistallo e di conseguenza i dischi di rame inseriti al suo interno. Erano gli unici che in qualche maniera potevano essere ruotati.

Convintosi dalle sue stesse argomentazioni si piegò in avanti per controllare, ma in quel momento un leggero fruscio diverso dal solito sibilo del vento lo mise in allarme. Si bloccò ma senza voltarsi per non destare sospetti, ma ebbe comunque la netta sensazione di non essere più da solo. Del resto, se l'era aspettato. Anzi si era più volte domandato come mai non si fosse ancora fatto vedere nessuno, ma adesso che aveva la quasi certezza che gli uomini di Firenze erano lì, si sentì decisamente più rilassato. La sua mente prese a lavorare alacremente e in pochi secondi elaborò una bozza di piano. Era rischioso, certo, ma in fin dei conti poteva davvero funzionare.

Con un sorriso si chinò sul piedistallo come se non fosse accaduto nulla, poggiò il cellulare con la torcia accesa lì accanto e cercò di smuovere, ruotandolo, uno dei dischi. Doveva fare in fretta nella speranza che nessuno si fosse accorto della sua piccola indecisione. Non successe nulla. Provò allora con il secondo, ma ebbe lo stesso risultato. Si spostò sul terzo mettendosi in ginocchio per coprire bene i movimenti. Fece forza e stavolta si accorse che qualcosa pareva muoversi. Simulando allora un massaggio alla spalla ferita, tirò rapidamente fuori un coltellino dalla tasca della giacca e lo infilò subito nella piccola scanalatura tra i due cerchi concentrici, cercando di trovare un modo per allentare il meccanismo. Dopo vari tentativi sentì che poteva smuoverlo meglio, per cui fece forza usando il manico del coltello come pernio ruotando in senso orario fino a che non udì un leggero click. Nonostante il vento, stava sudando. Adesso infatti sarebbe arrivata la parte più difficile, ma il fatto che nessuno si fosse ancora fatto avanti gli dette la conferma di ciò che aveva ipotizzato. Stavano attendendo il momento giusto per soffiargli di mano il bottino, per cui, fintanto che non avesse rivelato alcunché, poteva agire indisturbato.

Il suo piano divenne definitivo.

Con molta calma afferrò il piccolo rialzo al centro e tirò, sollevando quella parte di cerchio come se fosse un coperchio.

Nella cavità interna vide un piccolo diario. Senza indugio infilò una mano e lo sfilò. Lo poggiò sul piedistallo dando sempre la schiena alla siepe in lontananza e muovendosi come se non avesse ancora finito il lavoro. Nel frattempo, lo aprì delicatamente fissando con un sorriso le parole scritte sulla prima pagina.

PROGETTO R.I.E.S.E.

Klaus Scholz

Berghof - 1942

Non ne aveva mai sentito parlare, ma non aveva dubbi che fosse ciò che Wagner anelava. Lanciò un'imprecazione a beneficio dei suoi muti osservatori e intanto con una mano sfogliò alcune pagine illuminate dalla luce della torcia del cellulare. Cercava solo l'informazione del sito finale sicuro che fosse scritta da qualche parte. Qualche minuto dopo la trovò.

A quel punto richiuse il diario e lo rimise nello spazio sottostante, poi lo richiuse con il cerchio di metallo inserendo la lama del coltello nella scanalatura. Fatto ciò, emise un grido di esultanza facendo intendere che aveva finalmente trovato il nascondiglio nella statua. A quel punto emise un grosso respiro preparandosi al peggio. Tutto il suo piano dipendeva dal fatto di aver valutato i suoi nemici in un certo modo, ma se si fosse sbagliato ...

***

«Adesso!» disse Margot a Payne muovendosi verso destra «aggiriamolo.» Poi nell'auricolare ordinò a Bonnet di coprire loro le spalle se la situazione fosse precipitata.

Come ombre attraversarono rapidi il prato, convergendo in pochi secondi sull'uomo chino sul piedistallo della statua che dava loro le spalle. Non appena Margot gli fu abbastanza vicino lo vide voltarsi con un'espressione di stupore negli occhi, ma non gli dette il tempo di proferire parola. Calata con forza la pistola che aveva estratto dalla giacca sulla sua tempia lo fece stramazzare al suolo privo di sensi.

«Mi ricordi di non farla mai incazzare» fece Martin osservando con un malcelato sorriso la violenza con cui aveva aggredito quell'uomo.

«Lasci stare l'ironia e mi dia una mano» gli rispose lei mentre prendeva il tedesco per i piedi. Martin lo afferrò per le braccia e così lo trasportarono al margine del loggiato di fiori nascondendolo fra le frasche. «Bonnet» fece poi Margot nell'auricolare «raggiungici e occupati del nostro ospite. Fai in modo che non ci disturbi nel caso si dovesse svegliare» quindi rivolta ancora a Payne. «Forza vediamo di concludere la sua opera.»

Mentre il silenzioso Bonnet legava Hans con una corda, gli altri due tornarono alla statua.

«Guarda» fece Payne «il coltello infilato in quel cerchio nel piedistallo. Ci deve essere un qualche meccanismo che stava azionando.»

«Proviamo» gli rispose lei chinandosi. Afferrò il manico e iniziò a ruotare sentendo che il cerchio si muoveva piano piano. Continuò fino a quando non udì un leggero click, quindi afferrò il perno e sollevò il coperchio.

«Lo sapevo!» esclamò non appena vide il diario «ecco la prova definitiva.» Lo afferrò e lo aprì. «Mi faccia luce» disse rivolta a Payne, che prese il suo cellulare e accese la torcia.

In quel mentre anche Bonnet si avvicinò a loro. «È quel che penso?» domandò.

«Scopriamolo» fece lei aprendo le prime pagine ingiallite dal tempo. Poi osservando l'intestazione fece un largo sorriso. «Credo proprio di sì» rispose quindi a Bonnet raggiante. «Adesso non ci rimane che leggerlo e trovare il luogo dove sono nascoste quelle dannate casse.»

«Ben detto» commentò Payne «ma mica vorrà farlo qui, spero?» aggiunse poi volgendo lo sguardo anche verso Bonnet come sperando in un suo appoggio.

Margot scosse la testa e per tutta risposta gli passò il diario, quindi rivolta a Bonnet disse. «Francois, tu torna al gommone e preparalo, noi intanto rimetteremo ogni cosa al suo posto. Non voglio lasciare tracce di nessun tipo. Una volta finito ti raggiungeremo e fileremo via da questo posto.»

«E l'uomo?» osservò Payne

«Se la caverà. Mi pare un tipo pieno di risorse e poi non sono certo affari nostri» gli strizzò l'occhio mentre componeva il numero della polizia. «Forza muoviamoci prima che si svegli» concluse poi.

Bonnet annuì e si dileguò nella notte mentre Margot si chinava sul piedistallo della statua subito imitata da Martin.

Dieci minuti più tardi il gommone stava sfrecciando sulle acque scure del lago, mentre un vento freddo ne sferzava la superficie increspandola in tante piccole onde.

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