CAPITOLO 30

Wewelsburg

30

Astrid Legrand era venuta preparata. Conosceva Karl Wagner e sapeva che era un uomo politicamente molto navigato in grado di destreggiarsi alla perfezione in situazione complesse, ma anche lei non era da meno. E il fatto che stavolta fosse arrivato dritto al punto senza tanti giri di parole, la diceva abbastanza lunga su ciò che stava realmente succedendo e sul suo presunto coinvolgimento nella faccenda. Dal suo punto di vista non c'erano dubbi, restavano solo da trovare le prove, ma prima o poi ci sarebbe riuscita. Lo doveva a Margot, a Deveroux e a Blanchard. Cercò in ogni caso di prenderla alla larga. Non poteva certo spiattellargli subito in faccia che il GPS del suo agente si era spento proprio fra le mura di quel castello, o che lei lo riteneva responsabile dell'attentato alla sua amica. Voleva quanto meno capire come avrebbe condotto la conversazione. E poi non era nemmeno sicura che non ci fossero telecamere nascoste fra quelle pareti o che lui stesse registrando l'intera discussione. «Hai sentito del furto dell'opera di Böcklin dal Museo di Berlino?» gli domandò quindi iniziando con il sondare il terreno.

Lui annuì. «Sì, ho letto qualcosa al riguardo, ma non ho approfondito. Avrei dovuto? Perché francamente non vedo questo cosa c'entra con ciò che ti ho chiesto.»

«Tu sai che l'UNESCO ha fra i suoi obiettivi quello di salvaguardare l'intero patrimonio artistico e culturale, no? Per cui la mia richiesta è decisamente attinente. In effetti mi stavo giusto chiedendo se, trattandosi del tuo territorio, potresti raccogliere qualche informazione in più.»

Wagner alzò le spalle. «Va bene, vedrò cosa posso fare, ma non ti garantisco nulla. Non è il mio ambito...»

«Strano» ribatté lei «perché se non erro quel quadro era uno dei preferiti di Hitler e a quanto ne so, tu sei, come dire, abbastanza nostalgico da quel punto di vista, o mi sbaglio?»

«Dove vuoi arrivare?»

«Da nessuna parte, Karl, solo trovo strano che improvvisamente qualcuno si interessi così tanto a quel dipinto. Pare che sia stata rubata anche la copia esposta al Vittoriale ...»

«Non lo sapevo» la bloccò subito lui impassibile. Poi si passò la mano fra i capelli neri. «In effetti è una coincidenza un po' fuori del comune» aggiunse con aria disinteressata «ma se vuoi, come ti ho già detto, posso far fare delle indagini più approfondite.»

«Te se sarei grata, e, tanto per rimanere in tema di coincidenze, non trovi surreale che pochi giorni fa sia stata anche ritrovata bruciata la casa di un certo Ernst Dönitz con lui all'interno?» in quel caso però ritenne più saggio tacere e sorvolare sulla presenza del secondo cadavere, quello di Blanchard.

Ma Wagner non fece una piega. «Non ho idea di chi sia quell'uomo, Astrid, e mi dispiace per lui, davvero, ma continuo a non capire dove vuoi arrivare con tutte queste domande. Stai forse insinuando che io abbia a che fare con i furti e la morte di quell'uomo?»

«Non lo so, Karl, dimmelo tu. A quanto ho saputo Dönitz era in possesso di un'altra copia del quadro di Böcklin, quindi ...»

«Ascoltami bene, io non so che strane idee ti siano saltate in mente, Astrid, ma non tollero un comportamento così irrispettoso in casa mia. Sì, è vero, la mia famiglia ha un antico retaggio con il regime nazista e non è certo un segreto che io simpatizzi per quel periodo, ma ciò non ti dà il diritto di venire qui e accusarmi di furto e omicidio senza uno straccio di prova.»

«Va bene, allora sarò più esplicita» si alzò dalla poltrona. Aveva la faccia irata e una smorfia di disgusto dipinta sulle labbra. Era finito il tempo delle schermaglie, adesso voleva solo fargli sapere che gli stava con il fiato sul collo. «Alcune settimane fa» alzò anche leggermente la voce «una persona che lavorava per me è scomparsa. L'ultimo segnale che il suo localizzatore ha inviato proveniva da questo castello, Karl. L'uomo si chiamava Bastien Deveroux e aveva moglie e figli...»

Wagner si alzò a sua volta. «Adesso basta, Astrid!» disse con fare imperioso. «Non tollererò un minuto di più le tue accuse insensate. Il nostro colloquio è finito, ti farò accompagnare alla porta.»

«Non ce ne sarà bisogno, conosco la strada. Ma non finisce qua, Karl, puoi starne certo.»

«Come vuoi, ma ricordarti che stai parlando con il nuovo Cancellerie della Germania. Fossi in te starei molta attenta a ciò che esce dalla tua bocca.»

«Mi stai forse minacciando?»

«No, vedilo più come un avvertimento.»

«Li conosco bene gli uomini come te, sai» gli rispose lei con un sorrisetto carico di odio «pieni di boria e di se stessi, convinti di poter fare ciò che vogliono con chiunque. Soldi, potere, popolarità, consenso, non ti serviranno a nulla. Ricordati che più in alto salirai e più forte sarà l'impatto quando cadrai.»

«Lo terrò a mente. Arrivederci, Legrand» le rispose calcando volutamente sul cognome per rimarcare la sua superiorità e il suo disprezzo. «Non posso dire che stavolta sia stato un piacere.»

***

Rimasto solo Wagner si scolò un nuovo bicchiere di whiskey, ripensando per un momento a quella assurda conversazione. Era chiaro che Astrid non aveva solo sospetti, ma piuttosto certezze anche se prive di elementi probatori. Era per questo che era venuta lì, per farlo cedere, per metterlo in imbarazzo e cercare una breccia di qualche tipo, ma non era successo. Era stato ben attento a non lasciar trapelare alcun coinvolgimento e in quanto a indizi non esistevano scie che potessero risalire a lui. La casa di Dönitz era finita in polvere e così anche i due cadaveri al suo interno. Di Deveroux se ne era occupato personalmente e non c'era modo alcuno di ritrovarlo. Per Berlino stessa storia e anche per la loggia in Scozia. A parte la storia del GPS, quindi, non doveva preoccuparsi di nulla. Certo quella rivelazione era stato lì per lì un bel colpo. A quel risvolto non aveva di certo pensato, ma in ogni caso non riteneva che potesse essere un vero problema. Adesso poi che ne era venuto a conoscenza sarebbe stato ancora più accorto, anzi, forse, avrebbe persino potuto sfruttare la notizia a pro-suo. E poi c'era il fatto che Astrid non sapeva né delle sue informazioni su Payne e i membri della Horus né che il suo contatto all'UNESCO lo avrebbe avvertito quando qualcuno dei suoi si fosse mosso per l'Italia. A conti fatti era ancora in vantaggio e doveva sfruttare al massimo quella situazione in modo da entrare in possesso dell'ultima copia dell'Isola dei Morti o, nella peggiore delle ipotesi, come già aveva ipotizzato, per far fare il lavoro sporco agli altri per poi ghermirne il risultato alla fine della corsa.

Si riempì un altro bicchiere con del whisky e lo scolò tutto d'un fiato, poi, soddisfatto della piega che aveva preso quella giornata, salì rapidamente l'enorme scalinata di marmo che portava in cima alla torre Nord. Giunto quasi in prossimità del suo studio, aprì una porta laterale e imboccò una rampa segreta che lo condusse, attraverso un lungo corridoio semibuio, fino al Walhalla, il cuore nero di quell'antico castello.

Il locale, un tempo destinato alle cerimonie d'iniziazione e alle celebrazioni funebri degli ufficiali delle SS caduti gloriosamente in guerra, altro non era che una sala circolare racchiusa da pareti di pietra e costruita in perfetta corrispondenza della Camera dei Generali accanto al suo studio. Circondata da dodici colonne in pietra era caratterizzata da una grande svastica runica incisa sul soffitto che incombeva minacciosa sopra un'enorme fossa centrale scavata nel pavimento, al centro della quale ardeva una fiamma scoppiettante. Wagner aveva fatto restaurare quella sala cerimoniale basandosi su degli antichi documenti in possesso della sua famiglia e sugli archivi ritrovati nella Biblioteca di Berlino riuscendo alla fine a riportandola al suo antico splendore. In ogni minimo dettaglio appariva adesso come doveva essere stata ai tempi di Himmler e dei Cavalieri Neri, quando l'oscuro ordine regnava sovrano per la costruzione di un mondo nuovo. Là sotto più che in qualunque altra parte del castello, era come se il tempo si fosse fermato, racchiuso da quelle spesse mura di pietra fredda.

Con passo deciso entrò.

Undici uomini lo stavano già aspettando, immobili intorno alla fiamma sacra. Il suo esercito personale, i Cavalieri Neri rinati dalle ceneri di Wewelsburg. Quando lo videro entrare alzarono all'unisono il braccio nel saluto nazista. Karl rispose alla stessa maniera fissando per un momento lo sguardo sulla parete di fronte a sé dove era esposta in bella vista la copia del quadro trafugata al museo di Berlino.

«Fatelo entrare!» ordinò subito dopo distogliendo lo sguardo dall'Isola dei Morti e avvicinandosi alla fossa centrale. Pochi minuti dopo il nuovo adepto fece il suo ingresso nella sala. Karl osservò con un misto di orgoglio e compiacimento quel giovane alto dai folti capelli biondi, spalle larghe e muscolose, occhi di un azzurro intenso e portamento fiero. Era la rappresentazione classica della razza ariana, lo stereotipo dell'uomo perfetto. Apparteneva alla famiglia Schädle, una nobile e antica casata che aveva servito il Führer fino ai suoi ultimi giorni ed era il nipote di quel Franz Schädle che aveva presenziato alla cerimonia d'iniziazione di suo nonno nel lontano 1941, il capo del Führerbegleitkommando, l'élite di ufficiali delle SS scelti di persona da Hitler per costituire la sua guardia del corpo.

Karl aveva seguito fin dalla nascita lo sviluppo di Hans, sicuro che un giorno sarebbe entrato nella sua cerchia. Conosceva bene la sua famiglia e aveva dato loro una mano per far crescere il ragazzo in un ambiente elitario, imbevendolo di idee naziste e neopagane e facendolo addestrare per poter un giorno rappresentare il futuro del popolo tedesco. Adesso quel momento era giunto. I Cavalieri Neri dovevano essere dodici, così era sempre stato e così sarebbe rimasto. Uno di loro era stato eliminato, quindi, toccava a Hans prenderne il posto. Karl sapeva che era pronto.

Il ragazzo si posizionò subito al centro della conca, in corrispondenza della svastica runica sul soffitto, abbastanza vicino alla fiamma da percepirne il calore sulle guance mentre tutti gli altri si cinsero intorno a lui a formare un cerchio.

Wagner invece si spostò verso la parete est della cripta, là dove aveva fatto scavare una piccola nicchia nel muro di pietra. Aprì lo sportello in bronzo che chiudeva quella specie di cassaforte incassata, prese dalla giacca una chiave e aprì la serratura, tirandone fuori un Totenkopfring, uno degli anelli d'argento con l'emblema del teschio su fronde di quercia che aveva fatto riprodurre sulla base di antiche fotografie. Era quello appartenuto al Cavaliere ucciso da uno dei confratelli dopo la faccenda nella casa di Dönitz e stava per trovare un nuovo compagno.

Richiuse la cassaforte e si portò accanto alla fiamma sacra. Chiuse gli occhi mentre un intenso calore lo avvolgeva, quasi bruciandolo.

«Lo Spirito dell'Occhio Divino fluisce dall'alto» iniziò poi a pronunciare squarciando il velo di silenzio «mentre i Wiligoth dell'aquila regnano su questo flusso primordiale del potere di Dio e attraverso la guida spirituale nella materia irradiano potere.»

Hans Schädle fissava le fiamme che s'innalzavano davanti al suo volto, la fronte imperlata di sudore, il cuore che martellava per l'emozione. Le parole giungevano amplificate come un'eco, un effetto dovuto alle quattro cavità di forma quadrata presenti sulla svastica del soffitto che servivano a potenziare le onde sonore quando queste rimbombavano nel cerchio.

«Il costruttore di mondi interrompe il suo percorso nel livello materiale dell'esistenza» continuò a recitare Karl come in trance, gli occhi sempre chiusi «il flusso della potenza primordiale di Baphomet applica le forme di vita plasmando la materia e l'effetto crea nuove forme attraverso la sofferenza. In nero appaio bianco, plasmo il lavoro delle forze oscure così che serva il progresso della luce.»

Il giovane Cavaliere rispose nello stesso tono. «Nel bianco appaio nero, trasformo nell'oscurità l'opera della luce in modo che sia forzata alla perfezione costante.»

A quel punto Wagner riaprì gli occhi e si spostò accanto all'uomo, mentre tutti gli altri continuavano a rimanere in silenzio, muti testimoni di ciò che stava accadendo. Prese l'anello e lo infilò lentamente al dito anulare sinistro del giovane, quindi attese le sue parole, che non tardarono ad arrivare.

«Giuro a te, Adolf Hitler fedeltà e coraggio. Giuro a te e ai miei superiori che sarò ubbidiente sino alla morte. Che Dio mi aiuti.»

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