CAPITOLO 27
Kilwinning
Sede della Loggia Canongate
27
Karl si sentì più rilassato quando vide che il Gran Maestro sembrava avergli dato corda senza lasciar trapelare la benché minima traccia di preoccupazione. Del resto, perché avrebbe dovuto? Lui era stato a contatto diretto con la Sentinella, aveva risolto l'enigma di Kipling, conosceva la stretta massonica e la frase d'iniziazione quindi che motivi avrebbe mai potuto avere il conte di Eglinton per insospettirsi?
«E questo è tutto» concluse quindi poggiando la schiena sullo scranno di legno.
William St Clair annuì socchiudendo appena gli occhi e a Karl non sfuggì quel leggero cambiamento nell'espressione sicuramente dovuto alla notizia della morte di Dönitz.
Come a conferma della sua intuizione l'uomo gli ripose. «Conoscevo Ernst da molti anni» la sua voce tradiva una certa emozione. «E' sempre stato un buon confratello e per me un ottimo amico.»
«Mi dispiace.»
«Pregherò per lui, come è giusto che sia, ma non adesso. Non voglio farle perdere tempo. Lei è venuto qui per un motivo ben preciso e io voglio adempiere alle ultime volontà di Ernst.»
«Sa dov'è?» gli domandò allora Karl riferendosi al quadro.
«Certo, ma non spetta a me dirlo» si fece per un attimo assente come perso nei suoi ricordi. «Sa» aggiunse poi, «non gli ho mai chiesto come mai avesse scelto proprio la nostra Loggia. In fondo di luoghi come questo ce ne sono molti anche in Germania, ma lui è sempre stato irremovibile. L'ultima volta che è venuto da me portandosi dietro il dipinto mi ha solo chiesto di tenerlo al sicuro, confidandomi che la faccenda aveva in qualche modo a che fare con la sua famiglia. Lei ha idea del perché?»
«No, ha detto la stessa cosa anche a me e poi è rimasto sul vago» mentì Karl fingendosi addolorato.
«Lo immaginavo.»
«Perché non può dirmi dove si trova?» riprese ancora Wagner cercando un modo per accelerare la questione, ma senza indispettire il Gran Maestro.
«Perché la strada deve essere percorsa fino alla fine solo dal viaggiatore.»
«Sono giunto fino in Scozia...»
«Vero, e ciò la rende un uomo degno del premio. Ciò però non significa che io possa o debba aiutarla.» Si alzò fissandolo negli occhi. «La meta è ormai vicina, ma dovrà raggiungerla con le sue forze.»
Karl soffocò un'imprecazione. «Cosa devo fare?» domandò stringendo i denti.
«In girum imus nocte et consumimur igni» recitò William St Clair muovendosi verso il centro della Lodge Room.
Karl si alzò seguendolo a debita distanza. «Che significa?» chiese con un'aria tra il perplesso e l'irritato.
«È una frase latina, palindroma. Vuol dire: giriamo in tondo nella notte e veniamo consumati dal fuoco» fece una leggera pausa indicando con le mani l'intera sala. «Si prenda pure tutto il tempo che le serve, Fratello, da parte mia farò in modo che nessuno la disturbi» quindi si accostò al portone e lo aprì. Prima di uscire si voltò un'ultima volta. «Rifletta bene su ciò che le ho detto, Wagner, perché è così che troverà la sua ricompensa» quindi richiuse la pesante porta di legno dietro di sé.
***
Karl era di nuovo solo, a combattere contro enigmi e indovinelli. Quel bastardo di Dönitz continuava a prendersi gioco di lui facendogli perdere tempo, e, francamente, cominciava a non avere più pazienza.
Sperava almeno che quella fosse l'ultima volta.
In girum imus nocte et consumimur igni. Che accidenti c'entrava quella frase con il dipinto di Böcklin?
Si mise a sedere cercando di ragionare. Il Gran Maestro lo aveva accolto in quella sala dove poi lo aveva lasciato con un gesto piuttosto eloquente. La risposta al quesito si doveva trovare dunque lì, da qualche parte. Sì, ma dove?
Si guardò intorno focalizzando l'attenzione sulla scacchiera bianca e nera dipinta al centro del pavimento. Si alzò e si avvicinò per osservarla meglio. Non vide però nulla di particolare, ma decise comunque di chinarsi giusto per tastare con le mani il legno e sincerarsi che non esistessero listelli vuoti usati come nascondigli.
Niente.
Si rimise in piedi più frustrato che altro. Iniziò a passeggiare per la sala gettando un'occhiata al soffitto e alle pareti. Al centro di quella alla sua sinistra si trovava una bacheca con alcuni nomi scritti in giallo. Decise di avvicinarsi per leggere la lista di quelli che dovevano essere stati gli ultimi Gran Maestri dell'ordine. Non vide però niente che facesse riferimento alla frase latina.
Giriamo in tondo nella notte e veniamo consumati dal fuoco ripeté mentalmente cambiando posizione. Stavolta i suoi occhi si concentrarono sui quadri appesi alle pareti. Li scrutò a uno a uno, ma sembravano tutti ritrarre personaggi famosi che avevano avuto un ruolo all'interno della Loggia.
Lesse le etichette in bronzo sotto ciascuno di essi: William Schaw, Thomas Cochrane, Colonel William Blair, Sir James Fergusson, William Boyd, Archibald George Montgomerie. Non ne conosceva nessuno, ma in fondo non gli interessava nemmeno. Ciò che gli premeva era trovare un collegamento con quella maledetta frase latina, ma non c'era nulla di vagamente simile.
Si fermò allora accanto allo scranno del Gran Maestro e lo osservò nel dettaglio, ma anche qui un buco nell'acqua.
Batté un pugno sul legno.
Sentiva la rabbia montare come un fiume in piena, ma non poteva arrendersi, non ora che era così vicino. Come era già successo nel castello di Rheinsberg cercò quindi di mantenere la calma e continuare a scrutare il resto della sala. Mancava tutta la parete alla sua destra, per cui si mosse in quella direzione. I quadri appesi stavolta ritraevano le varie fasi della costruzione dell'Abbazia e della Loggia in una progressione storica interessante ma non risolutiva. Le targhe sotto indicavano lo scorrere del tempo dal 1100 al 1800. Giunto però di fronte al grande quadro affisso quasi al centro della parete si fermò, colpito dalla sua rappresentazione. In esso di vedeva chiaramente la costruzione della torre dell'Abbazia, ma ciò che lo colpì furono il cielo stellato in una notte scura rischiarata solo dai deboli raggi di un fuoco intorno al quale sedevano gli scalpellini.
Giriamo in tondo nella notte e veniamo consumati dal fuoco. Ancora una volta quelle parole gli risuonarono nella mente, ma con un significato diverso. Era il primo vero riferimento a quella strana frase.
Si avvicinò al quadro e lesse l'etichetta posta sotto.
Ingi rumimusnoc te etcon sumi murig ni
Per un attimo pensò di essersi sbagliato, ma all'improvviso si ricordò di cosa gli avesse detto il Gran Maestro. È una frase latina, palindroma.
Sapeva cosa voleva dire. Sicuro, perciò, di essere sulla strada giusta ripeté ad alta voce tutte quelle lettere partendo però stavolta da destra invece che da sinistra.
In girum imus nocte et consumimur igni
Palindroma!
Senza indugiare oltre afferrò il quadro e lo tirò giù dalla parete rivelando una porzione di muro chiusa da una botola di legno. Con un sorriso lo appoggiò a terra, poi si avvinò e aprì lo sportello constatando con sollievo che non era chiuso a chiave. Una volta spalancato notò un vano piuttosto ampio scavato nella parete. C'erano diversi oggetti ammucchiati ai lati e tutti ricoperti da drappi di velluto mentre al centro si trovava adagiato il quadro di Böcklin.
Lo prese con delicatezza stando attendo a non sciuparlo o a non far cadere gli altri oggetti e lo poggiò a terra accanto all'altro. Poi tirò fuori dalla tasca della giacca il dispositivo a raggi X che la dottoressa Dietrich gli aveva gentilmente prestato ad Amburgo. Si trattava di una specie di pistola barcode di piccole dimensioni, di quelle usate di solito per scannerizzare i codici a barre, solo che in quel caso al suo interno si nascondeva uno degli ultimi ritrovati in fatto di tecnologia a infrarossi. Inoltre, cosa in quel caso assai utile, non aveva nemmeno bisogno di essere alimentato con la corrente dato che incorporava una piccola batteria agli ioni di litio potenziata che gli garantiva un'autonomia di diversi giorni.
Lo accese attendendo solo qualche secondo. Quando poi la luce verde gli indicò che il laser era pronto, non dovette fare altro che schiacciare il piccolo pulsante posto sotto il manico e iniziare a passare il raggio sul dipinto, seguendo una griglia immaginaria proprio come aveva visto fare al laboratorio del DESY. La fronte gli si imperlò di sudore mentre seguiva con apprensione la sottile linea rossa che penetrava minuto dopo minuto sotto gli spessi strati del dipinto. Quindici minuti più tardi una leggera immagine iniziò finalmente ad apparire sullo schermo LCD montato sopra. Pochi pixel che, dapprima frammentati e irriconoscibili, piano piano si unirono gli uni agli altri arrivando a formare una chiara lettera dell'alfabeto, su sfondo di pietra.
Soddisfatto, spense il dispositivo, rimise a posto il dipinto chiudendo la botola e riappese il quadro alla parete. Adesso non gli rimaneva che comunicare al Gran Maestro l'esito della sua ricerca, tornare rapidamente a Glasgow e prendere il primo volo in partenza per la Germania. Laggiù lo avrebbe atteso un interessante incontro con Astrid Legrand a Wewelsburg nel pomeriggio, oltre a quello, forse più importante, alle undici in punto a palazzo Bellevue per la cerimonia di nomina a nuovo Cancelliere.
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