CAPITOLO 21
Sede della Horus
21
«Scusate il ritardo» fece Astrid Legrand entrando velocemente nella sala riunioni. Aveva un'aria carica di rabbia e preoccupazione e sul volto si leggeva con chiarezza l'estrema tensione delle ultime ore.
«Notizie dell'incontro con Wagner?» le domandò subito Margot.
«No», le rispose la donna scuotendo la testa. «Non sono ancora riuscita a parlare con lui. Pare che sia fuori per lavoro e non ha lasciato detto quando ritornerà.»
«Tu lo sai che dietro la morte di Bernard c'è lui, vero?» l'incalzò di nuovo Margot stringendo i pugni con gli occhi velati da una patina di lacrime.
Lei non rispose.
«Dannazione, Astrid» sbottò allora l'amica alzandosi in piedi «di quante altre prove hai bisogno ancora? Prima il GPS di Deveroux al suo castello, adesso quello di Blanchard alla casa di Ernst Dönitz...»
Lei le si avvicinò mettendole una mano sulla spalla. «So che è dura Margot e ti capisco, davvero. Sono d'accordo con te» la sua voce tradiva una calma che in realtà non aveva «ma su di lui abbiamo solo elementi circostanziali e ciò non sarebbe sufficiente a farlo condannare. Tu sai meglio di me come funzionano queste cose.»
«Quindi? Ce ne stiamo fermi a guardare mentre quell'uomo fa fuori tutti i nostri agenti uno per uno?»
«Certo che no, ma al momento non abbiamo nulla di utile per le mani. Dopo il nostro incontro, forse, ma non ora. Ciò che invece possiamo fare adesso è cercare di concentrarci sulle copie dell'Isola dei Morti in modo da essere sempre un passo avanti per costringerlo a fare una mossa falsa.»
Margot sbatté un pugno sul tavolo voltandole la schiena. Era furiosa, triste, profondamente delusa e incazzata con se stessa per non aver fatto abbastanza per proteggere il suo amico e collega. Conosceva Bernard da molti anni, era stata a mangiare a casa sua con la famiglia e non sopportava l'idea che adesso dovessero convivere con quella tragedia. Ogni volta che ripensava alle parole di conforto che aveva cercato di infondere quando aveva dato loro la notizia, un groppo in gola le impediva quasi di respirare.
Ma Astrid aveva ragione.
Non poteva lasciarsi andare alla rabbia, non avrebbe portato a nulla di positivo. L'unico modo per incastrare quel figlio di puttana era stargli con il fiato sul collo in modo da costringerlo a uscire sempre di più allo scoperto. Tutti prima o poi se sotto pressione commettono degli errori, e lei non attendeva altro. Doveva solo avere pazienza sperando di non perderla prima del tempo.
«Ho chiesto ai nostri esperti di laboratorio di effettuare l'analisi a raggi X sul dipinto» disse dopo un attimo di esitazione e girandosi verso Astrid e Payne. «Dovrebbero darci delle risposte a breve.»
Concentrarsi sull'obiettivo l'aiutava a non pensare a Bernard.
«Molto bene» le rispose Astrid, poi si rivolse a Martin che era rimasto in silenzio fino a quel momento. «Ottimo lavoro Payne al Vittoriale. Margot mi ha fatto un dettagliato resoconto e devo dire che aveva ragione quando sosteneva che lei è il migliore nel suo campo.»
«Non ce l'avrei fatta senza l'intervento di Màrcia, comunque grazie. In certi casi il lavoro di squadra è più importante del singolo.»
«Sono d'accordo» quindi tornò a guardare Margot. «Della copia al museo di Lipsia, invece, che mi dici?»
Lei si rimise a sedere. «Bonnet non ha ancora fatto rapporto. So che doveva incontrarsi in giornata con il curatore per interdire l'area e procedere poi con l'esame del dipinto. Spero che non abbia avuto intoppi.»
«D'accordo, attendiamo ancora un po', ma se non dovesse farsi sentire nel giro di un paio d'ore, allora chiamalo. Non abbiamo tempo da perdere. Come siamo messi con l'analisi della copia del Vittoriale?»
Come in risposta alla sua domanda il telefono della sala riunioni emise proprio in quel momento un bip sonoro. Margot si affrettò a schiacciare il pulsante dell'interfono attivando il vivavoce.
«Buone notizie?» fece avendo riconosciuto l'interno del laboratorio.
«Direi di sì. Potete venire quaggiù?»
«Arriviamo» e chiuse la comunicazione.
Dieci minuti più tardi entrarono nel centro informatico e tecnologico della Horus. Diversi macchinari all'apparenza simili a computer erano allineati su lunghi scaffali di metallo dietro i quali un groviglio di fili scivolava verso il pavimento per poi scomparire come inghiottito dai muri insonorizzati. Schermi, stampanti, modem, ripetitori di segnale, attrezzi robotizzati riempivano ogni centimetro di quell'enorme sala che a una prima occhiata appariva quasi come il laboratorio di uno scienziato pazzo.
«Qua dentro lavorano cinque tecnici» spiegò Margot a Payne mentre avanzavano fra i tavoli ricolmi di strani congegni. «Facciamo esperimenti, creiamo nuove tecnologie e ogni tanto cerchiamo anche di migliorare quelle esistenti.»
«Tipo?»
«Sarebbe troppo lungo da spiegare, ma visto che le piacciano tanti i film, pensi per un attimo al signor Q di James Bond. Quando serve qualcosa per una missione noi facciamo riferimento al laboratorio. Se lo abbiamo, lo usiamo e se non c'è allora lo creiamo da zero. Venga, da questa parte» e lo guidò attraverso un corridoio stretto e lungo che partiva dallo stanzone in cui erano entrati e si dipanava con un paio di curve intorno ad altre due stanze ricolme di ampolle e composti chimici.
Giunti in fondo, prima di svoltare a destra, entrarono in un'altra sala, stavolta circolare, al centro della quale era posizionata una specie di camera oscura da cui partivano due enormi tubi in acciaio che finivano in un macchinario alto quasi tre metri.
«Là dentro si trova il dipinto» disse ancora Margot indicandola «mentre in quelle derivazioni viaggia il laser per l'analisi alla fluorescenza.»
Al suono della voce della donna, un uomo alzò la testa da dietro la camera oscura e rivolse ai presenti un radioso sorriso.
«Rodrigo Pereira» lo presentò Margot avvicinandosi. «Uno dei nostri esperti. Qui siamo nel suo regno, occhio a cosa dite. E non toccate nulla» concluse poi con un sorriso tirato.
Il dottor Pereira si fece loro incontro stringendo la mano al nuovo arrivato. Era molto basso, con una folta capigliatura nera che teneva raccolta in una coda di cavallo e un paio di occhiali marroni che parevano troppo grandi per il suo naso. Indossava un lungo camice bianco che creava un simpatico contrasto con la pelle olivastra, chiaro segno della sua origine moresca.
«Quindi ha trovato qualcosa?» gli domandò sbrigativamente Astrid dopo che ebbe concluso le presentazioni.
«Sì», le rispose Rodrigo tirandosi su gli occhiali. «Non mi dilungherò però nello spiegarvi la tecnica che ho usato, so che avete fretta, quindi venite, possiamo vedere il risultato su quello schermo laggiù» concluse indicando un LCD montato a fianco del macchinario alto fin quasi al soffitto.
Si avvicinò e lo accese, digitando alcuni codici numerici che a occhio e croce dovevano essere una specie di password.
«Ecco qua» fece con un sorriso. «Ha senso per voi?»
Sul monitor era visibile, a tutto schermo, una sola lettera dipinta come se fosse una pietra.
Fu Margot a rispondere. «Sinceramente, no» quindi si voltò verso Astrid e Payne come a chiedere anche la loro opinione. Lei scosse la testa e Martin alzò le spalle. «Senza altri riferimenti non saprei» disse lui. «Potrebbe voler dire tutto e nulla. Ci servono le altre copie.»
Astrid guardò Pereira. «Non ha trovato altro?»
Il tecnico scosse la testa.
«È sicuro?»
«I raggi X non mentono. Sotto il dipinto c'è soltanto quella lettera.»
Legrand si voltò allora verso Margot. «Chiama Bonnet e fatti dire come procede a Lipsia. Dobbiamo accelerare la procedura, se possibile, e poi dobbiamo mettere le mani sul quadro di Firenze prima degli altri. Ne abbiamo già perse due di copie, non possiamo rischiare di rimanere indietro.»
Payne annuì mentre Margot diede una scorsa sbrigativa all'orologio con aria abbastanza scocciata. «Lo chiamo mentre vado a casa» disse poi alzando lo sguardo verso l'amica. «Devo risolvere un piccolo problema personale, ma non ci metterò molto.» Poi si rivolse a Martin. «Lei intanto faccia come ha detto Astrid, cominci a buttare giù un piano per l'Italia. Quando ritornerò in ufficio ne discuteremo insieme.»
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