CAPITOLO 14
14
La Mercedes nera stava percorrendo la statale poco fuori Aumühle quando l'uomo al volante si rivolse al compagno. «Fai il numero e metti il vivavoce.»
Lo smilzo prese il cellulare e chiamò Wagner.
«Abbiamo l'informazione, ma non sappiamo cosa significa» disse non appena gli rispose. «Il vecchio non ne voleva sapere di collaborare, ma c'è stata una visita inaspettata che ha accelerato le operazioni.»
«Spiegati.»
L'uomo raccontò allora ciò che era accaduto senza tralasciare alcun dettaglio comprese le strane parole del vecchio. «Adesso è morto, così come anche Dönitz e abbiamo dato fuoco all'intera residenza per non lasciare tracce» concluse poi stringendo i pugni. Ancora gli rodeva la botta che aveva preso dallo sconosciuto.
«Siete sicuri che l'uomo fosse della Horus?» domandò Wagner.
L'uomo esitò un istante. «No, ma è molto probabile soprattutto se anche loro sono sulle tracce del segreto dell'Isola dei Morti.»
Karl rimase un attimo in silenzio, valutando l'impatto di quell'informazione. «Dove siete adesso?»
«Appena fuori Aumühle.»
«Allora dirigetevi subito a Rheinsberg come ha detto Dönitz. Dovreste raggiungerla nel giro di un paio d'ore. Fermatevi per la notte in un posto che non dia nell'occhio. Un motel fuori mano sarebbe perfetto. Lì attendete istruzioni. È possibile che io vi raggiunga domani in giornata. Nel frattempo, niente cazzate. Tenete un profilo il più basso possibile. Mi rifarò vivo io.»
Lo smilzo riattaccò e si voltò verso il compagno che era stato silenzioso per tutta la telefonata.
«Tu credi che potrebbe rappresentare un problema?» gli domandò a un tratto. «Quell'uomo intendo.»
«È probabile» gli rispose laconico continuando a osservare la strada di fronte a sé con aria pensierosa. Poi lo vide, un piccolo slargo poco più avanti.
Sapeva cosa fare.
Gli errori non erano tollerati all'interno della loro organizzazione. Wagner era stato chiaro.
Rallentò la macchina fino a fermarla a ridosso del guardrail nella rientranza situata a qualche decina di metri dal bivio, là dove la strada si biforcava in due.
«Che stai facendo?» gli domandò lo smilzo.
Lui spense il motore. «Ho sentito un cigolio sul retro» gli rispose facendo finta di aprire la portiera «voglio controllare. Torno subito...» ma invece di uscire dall'auto con un movimento rapido estrasse la pistola dalla giacca, si voltò, la puntò alla tempia del compagno e fece fuoco. Un sibilo e l'uomo si accasciò sul sedile.
A quel punto accese la radio, cercò una stazione rock e abbassò il volume per creare una specie di sottofondo. Fischiettando, ripulì con calma il silenziatore e rimise a posto l'arma. Poi afferrò dalla tasca della giacca una piccola fiala di acido fluoridrico, l'osservò per qualche secondo e infine ne versò poche gocce su ciascun dito di entrambe le mani del compagno non prima di avergli sfilato l'anello con il teschio. Poi attese, canticchiando. Nel giro di qualche minuto l'azione corrosiva della sostanza avrebbe bruciato la pelle e cancellato le impronte digitali.
Nel frattempo, gli prese anche il cellulare, i documenti e si premurò di non lasciargli addosso nulla che potesse servire a identificarlo. Ripulì il finestrino dagli schizzi di sangue e dopo un accurato controllo uscì dalla macchina. Si accertò che la strada fosse sgombra, quindi, aprì la portiera del passeggero e, afferrato il corpo sotto le ascelle, lo trascinò fino ad appoggiarlo al guardrail. Se in quel momento fosse passata una macchina ciò che avrebbe visto sarebbero stati soltanto due uomini fermi sul ciglio della strada di cui uno con la testa oltre il bordo, come se si sentisse male.
Attese il momento opportuno, issò il corpo in alto e facendo forza sulle gambe lo scaraventò oltre facendolo precipitare nel letto del torrente che scorreva cinque metri più in basso. Lo guardò colpire le rocce che affioravano dall'acqua finché non venne trascinato via dalla corrente. A quel punto si voltò e rientrò in macchina. La musica risuonava nell'abitacolo come una leggera melodia. Mimò il movimento della batteria sul volante, poi accese il motore, s'immise nella statale e svoltò subito a destra schiacciando l'acceleratore diretto a ovest, verso Berlino.
Due ore e mezzo dopo si fermò nel parcheggio di un piccolo motel. Scese dall'auto, si diresse alla reception e pagò in contanti per una notte. Prese le chiavi e si diresse all'alloggio. Si trattava di un'unica stanza, composta da un letto, un angolo cottura e un minuscolo bagno. Le pareti erano spoglie e una spessa moquette ricopriva l'intera zona giorno. Di fronte al letto un armadio sporco e un mobile consunto con sopra una televisione completavano l'arredo. Anonimo e decisamente trash, ma a lui andava bene così.
Meno dava nell'occhio meglio era.
Buttò per terra la borsa e si distese sul materasso, alzando una leggera nuvola di polvere. Chiuse gli occhi cercando di riposarsi un po' e ragionando sul fatto che da adesso in poi avrebbe dovuto agire da solo. Uccidere il suo compagno era stato necessario. Lui si era fatto sorprendere e aveva messo a rischio l'intera missione. Non poteva permettere che accadesse di nuovo. Karl era stato chiaro.
Si sfiorò l'anello mentre ripensava a Dönitz e a quello che aveva farfugliato prima di morire.
Da occidente dove siamo stati in cerca dei misteri - Rheinsberg - sentinella.
Che accidenti potevano significare quelle parole? E poi quella strana stretta di mano... Cos'è che aveva voluto comunicargli realmente il vecchio? Non lo sapeva, ma confidava che le risposte sarebbero arrivate presto.
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