17. Partenze¹

Mi sveglio prima che il sole faccia capolino oltre l'orizzonte.

La stanza è immersa in una penombra soffusa, l'unico suono è il respiro lento e regolare di Jon accanto a me.

Ho dormito pochissimo, forse niente.

Non so neanche perché mi illudo di chiamarlo "sonno".

Non si può dormire quando si ha un macigno sul petto che ti impedisce persino di respirare normalmente.

Mi giro su un fianco, e lo guardo.

Jon dorme ancora, o almeno sembra.

Non si muove, il suo viso è rilassato, una rara espressione di pace che quasi mi fa dimenticare per un attimo che tra poche ore partirà.

Per sempre.

Stringo le labbra per non piangere, ma è inutile.

Le lacrime scivolano giù dalle mie guance, silenziose, come se sapessero che non voglio svegliarlo.

Mi avvicino un po' di più, tanto da sentire il suo calore irradiarsi verso di me.

Gli sfioro il viso con la punta delle dita, cercando di imprimere nella mia mente ogni dettaglio: la pelle ruvida e tesa, le sue cicatrici, le piccole linee intorno agli occhi che sembrano più profonde ogni volta che sorride.

Non so se lo rivedrò mai più così, così vicino, così... qui.

Mi accorgo che sto trattenendo il respiro e mi costringo a rilasciare l'aria, lenta, cercando di non singhiozzare.

Ma è troppo tardi.

Jon si muove.

Lo sento subito irrigidirsi, come fa sempre quando qualcosa lo disturba.

I suoi occhi si aprono, ancora assonnati e confusi, e quando mi vede, si solleva leggermente, appoggiandosi su un gomito.

"Che cosa c'è?" La sua voce è roca, appena un sussurro.

Non posso dirgli tutto ciò che mi passa per la testa, non ora, non così.

Non voglio caricarlo ulteriormente.

Eppure, ho così tanto da dire.

"Niente" rispondo, cercando di sorridere, ma il risultato è probabilmente patetico "Solo... è già mattina"

Lo vedo mentre il suo cervello inizia a ricordare: la partenza, la Barriera, tutto.

Anche lui lo sente, quel peso.

Ne sono sicura.

"Devo andare" dice, ma la sua voce è bassa, come se le parole gli costassero fatica.

Annuisco, incapace di dire altro.

Lui si alza dal letto, scivola fuori dalle coperte con quella grazia contenuta che gli è così naturale.

Lo osservo mentre si veste, mentre si infila i vestiti uno ad uno, come se ogni strato lo separasse sempre di più da me.

"T/n..." Jon si ferma per un istante, incerto.

C’è così tanto che vorrei dirgli, così tante cose non dette, ma ogni parola sembra superflua, inutile in questo momento.

Sento il nodo in gola farsi più stretto, e so che se non esco ora, non riuscirò a trattenere le lacrime.

"Devo andare anche io" dico rapidamente, la mia voce tremolante mentre mi alzo in piedi e cerco di riordinare i pensieri.

Non riesco a guardarlo, non ora "Ci vediamo dopo... a colazione"

Esco dalla stanza prima che lui possa rispondere, e mi ritrovo nei freddi corridoi di Grande Inverno, camminando quasi meccanicamente.

Il castello è ancora addormentato, le torce sulle pareti bruciano debolmente, e non c’è anima viva in giro.

Mi fermo per un momento, respiro a fondo e cerco di calmarmi.

Ma le lacrime continuano a scendere. Perché tutto deve andare così?

Perché Jon deve andare alla Barriera, e io devo... sposare Robb?

Non posso.

Non voglio.

Non è che Robb sia un cattivo partito, anzi.

È un bravo ragazzo, nobile, leale, e in fondo so che mi vuole bene.

Ma il punto è che non lo amo.

E poi, Jon... Jon è tutto ciò che non posso avere.

Mi asciugo le lacrime con il dorso della mano e mi costringo a continuare a camminare.

Non posso continuare a piangermi addosso.

Ho un ruolo da mantenere qui.

Ci sono altre persone che stanno soffrendo molto più di me.

Bran è ancora in coma.

Arrivo nella sala da pranzo, dove c’è già movimento.

Robb è lì, seduto a capotavola, con l’espressione di uno che non ha dormito per niente, ma sta cercando di fare buon viso a cattivo gioco.

Sansa è già lì, impeccabile come sempre, con quel sorriso forzato che mi fa venire voglia di scuoterla.

"Buongiorno" dico, cercando di sembrare normale mentre mi siedo.

Robb alza lo sguardo verso di me, ma non dice nulla.

Perfetto.

"Buongiorno" risponde invece Sansa, troppo entusiasta per l’ora che è "Hai dormito bene?*

"Eh, più o meno" rispondo, evitando di aggiungere che ho passato la notte nel letto di Jon.

Non sarebbe il momento più adatto per quel tipo di confessione.

Robb si irrigidisce appena, come se avesse intuito qualcosa, ma non dice nulla.

"Oggi sarà un giorno lungo" dice Robb, infine, con quella gravità che ha ereditato da Ned "Dobbiamo prepararci per la partenza di Jon, e poi... beh, ci sono altre cose da fare. C'è una guerra in atto"

Altre cose.

Sì, come prepararmi psicologicamente all’idea di sposarlo.

Un nodo si forma nel mio stomaco.

Non so se ce la faccio.

"Hai visto Jon stamattina?" chiede Robb, cercando di sembrare disinvolto.

Annuisco "Sì, lo vedrò più tardi... prima che parta"

Il silenzio che segue è opprimente, carico di tensione.

Tutti sanno cosa sta succedendo, ma nessuno vuole parlarne apertamente.

Jon sta andando via, e con lui, una parte di Grande Inverno se ne va per sempre.

"Farà bene" dice Robb, infine, come se stesse cercando di convincere se stesso più che noi "Jon è forte. Si farà valere alla Barriera"

Annuisco di nuovo, anche se dentro di me so che non è così semplice.

La Barriera non è un posto per chi ha sogni.

È un posto dove si va a morire, lentamente, giorno dopo giorno, nel freddo e nella solitudine.

Cerco di finire la mia colazione, ma il cibo non ha sapore.

Le parole che ho detto a Jon la notte scorsa mi rimbombano nella testa.

Io ti amo.

Mi chiedo cosa stia pensando lui in questo momento.

Forse mi odia per aver detto quelle parole.

Forse è stato un errore.

Ma come potevo non dirlo?

Come potevo continuare a fingere?

Sento lo sguardo di Robb su di me, e mi costringo a incontrare i suoi occhi.

C'è una domanda non detta nei suoi occhi, ma non riesco a rispondere.

Non so cosa dire.

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