Capitolo 18

“Posso venire con voi?” Guardo implorante la sua espressione combattuta.

Quando stamattina sono tornata al piano di sotto mi ha detto che oggi lui e Luke devono uscire di nuovo.

“Non saprei-” Lo interrompo “Non vi rallenterò, la gamba sta bene, voglio aiutarvi” Avanzo verso di lui “Non so se sia una buona idea, meglio che tu guarisca del tutto o potrebbe peggiorare”.

Non mi abituerò mai al suo sguardo preoccupato, preoccupato per me, una ragazza qualunque che conosce solo da pochi giorni. Eppure sembra sincero, come sempre, mi spiazza. È da un bel po’ che nessuno si preoccupa per me, non so come comportarmi.

“Lascia che vi aiuti ” Riesco a leggere l’indecisione nei suoi occhi e sfodero il mio miglior sguardo implorante approfittando del suo attimo di incertezza. Fallisco.

“Non posso obbligarti a restare qui, ma credo veramente che sarebbe meglio...”
So che è solo preoccupato per me e non posso biasimarlo del tutto, in fondo non è che io fossi esattamente la definizione di splendore quando mi hanno trovata. Ma non possono trattarmi come se fossi l’essere più fragile del mondo.

Loro mi hanno aiutata e gliene sono grata, ma ora sto bene. Non ho bisogno di riposare ancora, non posso rimanere a casa a dormire tutto il giorno sapendo che loro vanno fuori in cerca di provviste per farci sopravvivere. Non voglio vivere qui completamente a spese loro. Voglio aiutare. E so che lui non mi sta vietando di uscire, né tanto meno mi sta dicendo che storcerà il naso ogni volta che vorrò aiutarli là fuori. Ma io voglio iniziare subito.

Ne ho bisogno, ho bisogno di dimostrare a me stessa che ce la posso fare.
Voglio dimostrare a loro, a Eric, che non sono qui per sfruttarli.

“Sto bene, dico sul serio” La mia voce suona più determinata di quello che mi aspettassi, e questo deve averlo convinto a cedere.

Vado di sopra a cambiarmi mettendo una maglia grigia sopra ai soliti leggins neri e infilo le mie vans. Lego i capelli in una treccia e prendo la giacca e lo zaino pronta a tornare di sotto.

Usciamo prima che Eric e Josh si sveglino, ma Balto non ne voleva sapere di restare a casa, come provavamo a chiudere la porta cominciava ad abbaiare, così viene anche lui.

Luke mi lancia le chiavi dell’auto e per poco non le faccio cadere, colta alla sprovvista. Lo guardo accigliata “Ma se non so guidare” Gliele rilancio “Non sai guidare?” Alzo le spalle scuotendo la testa “Quale diciottenne non sa guidare?” Una che era troppo impegnata a non morire per preoccuparsi della patente? Ma non lo dico ad alta voce.
“Uno di questi giorni ti insegniamo” Propone Ethan “Affare fatto”.

Saliamo nella macchina, Luke e Ethan davanti, io dietro con Balto “Quindi... Quali sono i piani di oggi?”
“Quelli di ieri” Risponde Luke con tono ovvio “Andiamo verso le case in campagna e vediamo cosa troviamo” Spiega Ethan.

Chissà se hanno intenzione di rimanere a casa sua o se hanno un qualche piano per quando finiranno le provviste ovunque, perché prima o poi accadrà. Come si può trovare cibo a sufficienza per far sopravvivere cinque persone?

Percorriamo la strada, ormai familiare, diretti a est. Mi perdo a guardare fuori dal finestrino, le voci di Luke e Ethan come sottofondo. L’estate si fa sempre più vicina, fa caldo e il sole illumina le case disabitate, i prati incolti, i campi non lavorati. Macchine ferme da giorni ornano i bordi delle strade e gli oggetti senza più proprietari giacciono sull’asfalto caldo. Scarpe, zaini, i corpi di chi era messo troppo male per trasformarsi. Tutto è immobile.

L’unica cosa che assicura che il tempo non si è fermato è il movimento dei volantini che hanno resistito attaccati ai muri o ai pali, con gli angoli smossi dal vento. O quello delle foglie sugli alberi che riempie il silenzio col loro frusciare.

A volte mi chiedo cosa succede nelle altre parti del mondo, sono tutti messi così male? Chissà in quanti altri lottano per sopravvivere, chissà quante persone sono sole ad affrontare tutto questo.

Prima che la situazione precipitasse eravamo informati sulle altre parti del mondo. All’inizio si pensava ad un virus, i più scettici ancora credono a quella definizione. Qualunque fosse il suo nome, si diffondeva in fretta, ma alcuni erano ancora al sicuro.

Cellulari, radio, televisori, internet. Tutto inutile, nessuno da contattare, nessun programma da ascoltare.

Siamo isolati dal resto della popolazione, nessuno può tenerci informati sulla situazione. A volte sento che non è necessario, su cosa dovrebbero aggiornarci? “Gentili telespettatori volevo avvisarvi che la fine del mondo è sempre più vicina! Ma ora passiamo all’oroscopo!”

Quando mi sveglio meno triste del solito, è buffo immaginarlo, eppure ci sono dei giorni, specialmente durante i due mesi che sono stata da sola, in cui sentivo la necessità di sapere. Volevo disperatamente essere informata su cosa stesse succedendo nel dettaglio, su cosa stesse accadendo alle persone ancora normali nelle altre parti della terra. Sentivo che avevo bisogno di credere che non fossi l’unico essere umano rimasto, che era impossibile che lo fossi, anche quando sentivo che era così. Mi convincevo che la gente sa essere in gamba, che doveva esserci qualcun altro lì fuori. Ma poi pensavo che semplicemente, se non potevo avere Noah o la mamma qui con me, allora in fondo non aveva importanza. Essere sola al mondo o meno, dentro di me lo sarei stata a prescindere.

Incontrare Luke e Ethan mi ha dato più speranza di quanta sarebbe consigliabile avere. Anche se non mi piace ammetterlo, ho cominciato a pensare che ce la faremo. Mi costringo a non pensare alla cosa, a nessuna delle sue sfaccettature, in un modo o nell’altro, potrei uscirne ferita. Non me la sento di affrontare il pensiero in questo momento.

Mi concentro sul presente, sull’andare avanti il più a lungo possibile.

“Siete già stati da queste parti a cercare provviste?” Giro la testa verso di loro “No, non ne abbiamo mai avuto bisogno. Di solito ci spingevamo verso il centro, ma ormai non c’è più niente lì”.

Ripenso alle parole di Noah e mamma, anche loro devono essersi spinti da questa parte, a meno che non sono andati fuori città.

“Proviamo qui” Dico ad un tratto indicando un autogrill. Non sarà una casa ma potremmo trovare qualcosa di utile nel negozio “Sicura Rambo? Questi posti vengono svuotati per primi, non credo che troveremo qualcosa”.

“Proviamo, ci sono anche delle macchine parcheggiate, potete controllare se hanno ancora della benzina” Noah andava per ore in giro a cercare auto col serbatoio pieno  “D’accordo” Mi appoggia Ethan, quindi ci giriamo ed entriamo nel parcheggio.

Scendiamo dall’auto silenziosi, guardandoci intorno più volte. Balto preferisco chiuderlo dentro, non possiamo perdere tempo ad andare a cercarlo se si allontana troppo.

I nostri passi fanno scricchiolare i frammenti di vetro sparsi sull’asfalto, le vetrine e i finestrini delle auto sono completamente distrutti.

“Controlliamo prima le macchine” Propone Luke, Ethan annuisce.
Ce ne sono quattro parcheggiate, alcune non sono ridotte nemmeno troppo male.

Prendo la mia accetta dallo zaino “Io vado dentro, così con perdiamo tempo”.
Mi incammino senza aspettare una risposta “Ehi sicura che non preferisci aspettare?” Domanda  Ethan “Tranquillo, torno subito” Mi guarda titubante “Stai attenta” Annuisco sperando di essere rassicurante e poi proseguo.

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ditemi cosa ne pensate

-emme <3

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