2-Soraya, l'anima di un cuore nobile




''Chi ama la vita non riesce mai ad adeguarsi, subire, farsi comandare. Chi ama la vita è sempre con il fucile alla finestra per difendere la vita. Un essere umano che si adegua, che subisce, che si fa comandare, non è un essere umano.''
                                    -Oriana Fallaci





Soraya, l'anima di un cuore nobile.

               

Salem, Contea di Madien.

I





Una flebile luce penetrò nella stanza riscaldandole il viso freddo, mentre con le mani si stropicciò gli occhi cercando in qualche modo di alzarsi. Mai come quella mattina aveva desiderato non abbandonare quel comodo letto, dormire per altri venticinque anni, ma non poteva disubbidire gli ordini della Master. Infondo come avrebbe potuto far rispettare le regole al suo popolo, se lei era la prima che le trasgrediva? Era un controsenso bello e buono.

Soraya, però, quella mattina era troppo stanca per ricominciare l'allenamento. La notte scorsa non aveva chiuso occhio, voleva a tutti costi terminare quel libro regalatogli dalla Master per il suo diciassettesimo compleanno.

Ora poteva dirlo: Cime Tempestose era un romanzo brillante. Ciò che più le interessava era ciò che legava Catherine e Hitcliff, due persone diverse non solo per nascita, ma per carattere. L'ambiente natale, le persone frequentate, la famiglia di origine sono tutti elementi in grado d'influenzare il nostro modo di essere e di relazionarci.

Soraya ne aveva avuto un esempio lampante con la sua Regina Madre, infida e perversa, come la Master, sua nonna biologica. Era estenuante vivere con due persone che avevano le stesse caratteristiche, gli stessi pregi e difetti, nonostante quest'ultimi erano in maggioranza.

Proprio come Catherine, la Regina Madre, non era riuscita a rinnegare il suo stesso sangue, reprimendo anche quel briciolo di bontà che provava verso un'unica persona: sua figlia.

La vita non era tutta rose e fiori, non tutto era sempre buono e fatto senza malizia, ormai vivevamo in un'epoca in cui tutto era dovuto; tutto si faceva per una ragione, per assicurarsi una degna ricompensa. Dov'era la bontà in queste situazioni?

Come spesso le diceva la Master, la bontà era sinonimo di debolezza, e quando si era deboli si viene considerati la peggior feccia.

«Su, sveglia signorina è l'ora dell'allenamento.» disse la Master inoltrandosi a passo felpato, ma morbido, nella stanza. Indossava un lungo vestito nero che le ricadeva sulle ginocchia, le mani curate erano tinte dello stesso colore mentre il viso accennava appena un trucco leggero sulle palpebre, mentre sulle testa si intravedeva indistintamente la corona reale.

«Si, Master.» rispose a viso impassibile nascondendo in realtà il suo stesso stato d'animo. La noia.

Ma chi era Soraya?

Lei era tante cose, ma forse era meglio iniziare su cosa doveva diventare: una strega e la futura regina di Salem.
Un grosso peso per una sola ragazza di ventun'anni ma, infondo, era nata esclusivamente per questo destino, che lo volesse o meno.

Nessuno però aveva mai visto il suo lato insicuro e fragile in quanto era sempre costretta a portare la maschera della ragazza dura e fredda quanto la madre e la Master. Nessuno sapeva però del suo lato romantico e dei suoi pensieri nei confronti della guerra che stava per avvenire.

Dieci giorni.

Dieci giorni alla fine del suo allenamento. E sarebbe arrivato il momento di partire per il regno di Ardevia, dove dimorano i casati elfici più benestanti. La sua poteva essere considerata una missione, un missione suicida-omicida dove soltanto una delle due fazioni ne uscirà vincitore. E lei doveva garantire la buona riuscita di questo progetto diventando la loro futura regina.

Regina di Salem, Regina di Ardevia. Regina delle streghe, Regina degli elfi.


II


«Non ci siamo e tu un giorno dovresti diventare una regina?» proferì la Master sollevandosi le mani in alto, esasperata.

Soraya sospirò, riprendendo l'esercizio. Socchiuse gli occhi cercando di avvertire tutto ciò che la circondava. Un respiro, il fruscio del vento, il profumo delle rose piantate in giardino, il suono della carta bianca e il forte odore dell'inchiostro.

«Controlla la tua psiche, cerca di avvertire l'essenza di ogni singolo oggetto, recupera l'energia da esso e trasformala in una arma imbattibile.» mormorò la Master muovendo le mani in modo frenetico. I capelli bianchi che di solito le ricadevano sulle spalle, erano raccolti in un complicato chignon. Anche in quella circostanza una regina doveva apparire sempre perfetta in tutto ciò che faceva. Anche quando doveva insegnare a una ragazzina impertinente l'uso della magia.

Soreya riusciva ad avvertire il potere fluire dentro le sue ossa, un lieve bruciore le attraversava la pelle, sentiva nitidamente che il suo sangue stava cambiando. La sua energia stava cambiando.

«Fuoco!» esclamò spalancando gli occhi, che mentre di solito erano di un blu oceano adesso erano rossi, rossi come il fuoco fatuo.

Una fiamma si innalzò nella stanza creando una barriera di protezione intorno alla casa, che rimaneva illesa al fuoco. Da una piccola fiamma fuoriuscì un pugnale. Era di medie-dimensioni e sul bordo del manico si intravedeva la figura di un serpente attraversato da una piccola spada.

«Lo stemma della famiglia.» disse la Master accarezzandone la figura, cercando di non toccarne la punta affilata, «Hai fatto un buon lavoro, Soraya. Però ricorda avrai un solo colpo, non puoi sbagliare.»

«Si, Master

Secondo i suoi programmi di quella giornata dopo l'allenamento l'aspettava un intenso incontro con la Regina Madre, che come suo solito l'attendeva nelle sue stanze.

Neanche un po' di respiro, pensò Soraya, mentre bussava alla porta sistemandosi l'orlo del vestito.

«Chi è?» domandò una voce severa e rigida. Un brivido le attraversò il corpo e poteva sentire i peli drizzarsi.

«Soraya, Regina Madre.» disse la giovane avanzando lentamente. Erano le cinque del pomeriggio, l'ora del riposino della regina, e ciò spesso le portava un tremendo mal di testa. In quella situazione la donna era assolutamente ingestibile e qualsiasi suono o rumore finiva per darle enormemente fastidio.

«Bambina mia, entra su, sbrigati!» incoraggiò la Regina Madre sistemandosi la camicia da notte. I capelli neri come la pece, che di solito erano sempre composti raccolti in un piccolo chignon, erano lasciati sciolti sulla schiena, scompigliati. La pelle, solitamente bianca, era rossa come le sue guance e un segno rossastro si intravide dietro il lobo dell'orecchio.

«La prossima volta di a Frederick di uscire dalla porta, e molto più comodo.» disse fredda Soraya incrociando le braccia al petto, mentre si sedeva sulla poltrona, «Sappi però che non lo chiamerò mai papà.»

La Regina Madre si rabbuiò, mentre la camicia le lasciava una piccola scollatura a partire dal collo esile. Era risaputo che anche quando il re era ancora vivo, sua moglie si concedeva moltissimi vizi. Come cambiare uomini ogni sera, con o senza il consenso del marito. Certo, il loro non era stato un matrimonio legato da nessun sentimento d'amore, ma tale notizia fece grande scalpore all'epoca per tutto il regno. Se ne parlò per mesi interi. Il re fu così costretto a ordinare alla regina di non vedere più nessun uomo, almeno il tempo necessario per far calmare le acque. Però, alla morte prematura del re, la regina si lasciò andare ai piaceri più estremi e passionali.

«Bambina insolente!» esclamò la donna e protese la mano verso il suo viso, schiaffeggiarla.

Soraya rimase in silenzio, anche se in quel momento avrebbe tanto voluto piangere. Fin da piccola era sempre stata costretta ad assistere a come la madre si rendeva ridicola, meritandosi l'appellativo di puttana. L'aveva odiata, immensamente, ma tutto le ricordava costantemente che era sua madre. Dai suoi occhi blu come l'oceano, il naso alla francese, e alle mani piccole e sottili. Ma soprattutto era la sua regina.

«Non capisco perché mia madre perda ancora tempo con te. Sei soltanto una bambina viziata. Una regina... Ma non fatemi ridere.» ridacchiò la donna sistemandosi i piedi nelle pantofole, «Però visto che la Master ha piena fiducia su questo piano non posso fare altrimenti.»

Soraya rimase ad ascoltare l'ennesima raccomandazione della madre, mentre ricominciava a spiegarle ogni parte del piano. Esso consisteva nel unire il regno di Salem con quello di Ardevia sposando il giovane principe James facendo così di lei la sua regina. Dopo aver lasciato credere, per un po' di tempo, della veridicità dell'accordo, avrebbe ucciso il principe diventando la vera e unica regina.

Soraya, però, non riusciva a trovare niente di sensato è logico in questo ridicolo piano che avrebbe comportato la nascita di una guerra. Generando nuove morti e massacri e vittime innocenti utilizzati come burattini dai sovrani dei 2 regni.

«Hai capito?» concluse la donna scrutandola in pieno volto risvegliandola dai suoi pensieri. Soraya semplicemente annuí.

«Si, Regina Madre.»

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