Capitolo 60

Lucifer's pov - ore 11:25
<<Cara, mi faresti il favore di ricordarmi come mai abbiamo deciso di prendere la macchina?>>

Jennifer mi rivolse un breve occhiata, usando nel frattempo la mano destra per cambiare la marcia:<<Guidare mi tranquillizza>>

<<Sì, ma - per gentile concessione di mio Padre nonché del mio subconscio - sarei al momento dotato di un bel paio di ali, perciò...>> mi appoggiai con il gomito destro sul bordo del finestrino, guardando fuori.

Non che mi dispiacesse passare più tempo possibile con lei, era solo che lamentarmi contribuiva a calmare il tornado di paura e ansia che sentivo formarsi nel mio petto.

La lama demoniaca che tenevo infilata nella tasca della mia giacca, mi ricordava in ogni momento che mancava meno di mezz'ora al momento fatidico.

<<Tuo Padre, eh?>> borbottò Jennifer, sovrappensiero.

Alzai le spalle:<<Lui c'entra sempre qualcosa, in una via misteriosa o nell'altra. I vantaggi dell'essere Dio, suppongo>>

Lanciai una veloce occhiata di scherno verso l'alto, sperando come sempre che il mio caro Paparino stesse osservando.

<<E non farà nulla?>> domandò la mia compagna di viaggio.

<<In che senso?>> la sua voce mi aveva riscosso violentemente dai miei pensieri che urlavano disprezzo, perciò non avevo ben capito cosa intendesse.

<<Voglio dire>> si spiegò <<Lascerà che due dei suoi figli combattano tra loro? Senza fare nulla per impedirlo?>>

A volte dimenticavo che lei non era abituata ad avere a che fare con quel bastardo come lo ero io.

<<Mio Padre è più il tipo da "guardare ma non toccare". Diciamo che preferisce non muovere un dito per aiutare le creature che lui stesso ha creato, salvo poi per punirle se commettono il minimo passo falso>>

Ogni volta che parlavo di mio Papà, l'Onnipotente ed Onniscente, sentivo le viscere rimescolarmisi per tutto il rancore che provavo nei suoi confronti. Per tutto il male che mi aveva fatto, ma sopratutto per tutto il bene che avrebbe dovuto farmi e che invece mi aveva negato.

Era in parte colpa sua, se da quando ero tornato ad LA non ero del tutto sincero con Jennifer.

Le avevo promesso di dirle la verità, tutta la verità.

Ed il Diavolo - lo sapevano tutti - non infrangeva le proprie promesse.

Almeno non fino a quel momento.

E mi odiavo per questo. E odiavo Lui ancora di più, più di quanto non avessi mai fatto in tutta la stramaledetta eternità.

<<È davvero strano>> sussurrò lei, dopo diversi minuti di silenzio assoluto. Rise sommessamente, come se le avessi appena raccontato una barzelletta:<<Ho passato tutta l'adolescenza nel disperato tentativo di dimostrare di essere degna di mia madre, e solo ora mi rendo conto di quanto io sia sempre stata simile a lei>>

<<Beh, cara, non tutti ci trasformiamo nei nostri genitori>> parlai senza pensare, mai poi mi corressi subito <<Almeno non per quanto riguarda me, il che è una autentica fortuna perché mio Padre è un vero stronzo - come hai detto una volta - ma tu, invece, sembri essere stata molto attaccata a tua madre>>

Gli occhi di Jennifer sembrarono velarsi per qualche momento, mentre si concentrava sulla strada che sfilava accanto a noi alla moderata velocità di circa cinquanta chilometri orari:<<Sì, direi di sì, ma sai una cosa? Per quanto ci volessimo bene, non riuscivamo a stare insieme per più di mezza giornata senza finire per gridarci addosso>>

Ogni volta che la sentivo raccontare dei suoi genitori - troppo poco spesso, in verità - mi sentivo stringere il cuore in una morsa d'acciaio.

Quando ero stato cacciato di casa, la verità era che né mio Padre né mia Madre mi avevano mai amato davvero, perciò non avevo sofferto di quella separazione.

Per Jennifer doveva essere stato un trauma vedersi strappare all'improvviso le persone che l'avevano cresciuta e che le avevano voluto bene.

<<Mi dispiace>> fu tutto ciò che riuscii commentare.

Lei mi rivolse un sorrisetto, come ad invitarmi a non preoccuparmi:<<Quello che intendevo è - e non lo prendere come un insulto, ti prego - che tu e tuo Padre potreste assomigliarvi più di quanto tu non creda>>

La guardai con gli occhi spalancati, preso completamente alla sprovvista:<<L'ultimo che si è azzardato a dirmi una cosa simile...Beh, se ne è pentito piuttosto in fretta. Sei fortunata ad essere tu>> scherzai.

La verità era che nessuno mai si era azzardato neanche lontanamente a pensare di farmi una simile osservazione. O, se l'avevano pensato, di certo non avevano avuto il coraggio di dare voce a quel pensiero in mia presenza.

Jenny alzò gli occhi al cielo:<<Per esempio: entrambi avete una decisa tendenza verso l'immotivata melodrammaticità>> il suo riflesso che sorrideva dallo specchietto retrovisore.

Non potei fare a meno di essere contagiato dalla sua allegria, anche perché ragionai ed arrivai alla conclusione che potevano essere gli ultimi momenti che trascorrevamo insieme.

<<Guarda che se continui così dovrò andare a prendere le manette>> sogghignai.

<<E, sentiamo, di cosa sarei accusata, detective Morningstar?>> scosse la testa, mordendosi il labbro inferiore per non lasciarsi scappare una risata.

<<Oltraggio a pubblico ufficiale>>

<<Non sono molto sicura che un consulente civile possa essere definito un pubblico ufficiale>> stette al gioco <<E poi, tutte queste tragedie solo perché ho detto che potresti essere simile a tuo Padre!>>

Io annuii:<<Molto oltraggioso, in effetti. Un vero insulto>>

<<Ma smettila, che siamo quasi arrivati!>> tentò di pronunciare la frase col tono scherzoso e leggero di cui si era servita fino ad allora, ma fu chiaramente un tentativo inutile.

Sentii il respiro mozzarmisi in gola quando vidi apparire davanti a noi, superati l'ultimo incrocio e dopo aver percorso una svolta a destra, il Los Angeles Memorial Coliseum.

Una struttura imponente, formata da un cerchio di archi alto circa ventisette metri di colore bianco, avente la funzione di fare da stadio per le partite di football.

Il vero Colosseo, a Roma, sarebbe stata l'ideale location per il nostro duello, ma alla fine ci eravamo accordati per quella copia in muratura bianca, inaugurata nel millenovecentoventitré invece che nel settanta dopo Cristo.

Quel giorno - complici le vacanze natalizie imminenti - lo stadio era completamente deserto ed in giro non c'era quasi nessuno.

Eccetto per Michael e i nostri fratelli che si erano schierati dalla sua parte. Sapevo che loro erano già lì, in attesa.

Anche i nostri alleati dovevano essere già arrivati, essendo venuti a volo d'angelo, perciò io e Jennifer dovevamo essere gli ultimi.

Lei parcheggiò la macchina a poche centinaia di metri dalla monumentale entrata dell'edificio, stringendo le labbra ed estraendo la chiave dal cruscotto.

<<Abbiamo tutto?>> le domandai.

Lei annuì ed io uscì dalla sua auto, esponendomi al rigido vento invernale, per andare ad aprirle la portiera.

Battei i denti per il gelo e sfregai le mani tra loro, infastidito.

Ero ancora abituato alle temperature estreme dell'Inferno, perciò stavo letteralmente battendo i denti come se fossi al Polo Nord.

Jennifer se ne accorse subito e riaprì la portiera della sua macchina nuova, recuperò lo zainetto di tela che si era portata dietro e tirò giù una zip.

Ci frugò dentro per qualche secondo e ne estrasse una felpa rossa e bianca, con al centro del petto la raffigurazione stilizzata del muso di un toro, poi me la porse:<<Immaginavo che avresti avuto freddo, perciò ti ho portato questa. Non è mia, come vedi, ma di Dani: l'ha scordata a casa mia quando è venuto>>

Io feci una lieve smorfia, disgustato all'idea di dover indossare un abito fatto di un tessuto così dozzinale, mentre mi sentivo anche sul punto di diventare emotivo a causa di quel gesto così dolce.

L'idea che ci fosse qualcuno che pensasse fino a quel punto ai miei bisogni, era del tutto nuova per me.

Lei si accorse della mia esitazione e come sempre mi seppe leggere dentro:<<Puoi sempre metterla sotto la giacca a vento, così non si vede>> mi rassicurò.

Feci come chiedeva e, quando ebbi finito, mi sentii molto meglio. La attirai a me.

Le strinsi le mani sulle guance e la baciai intensamente.

Definirlo un bacio passionale sarebbe stato inesatto: era più che altro un'estrema richiesta di contatto fisico, nonché una riconferma del nostro sostegno reciproco.

Jennifer mi prese per mano e ci dirigemmo insieme verso l'entrata del Colisium, appoggiata alla quale attendeva un certo demone di mia conoscenza.

Il suo corpo snello era come sempre avvolto da dei vestiti di pelle nera attillati, con la sola differenza che d'inverno erano foderati di pelo sintetico, mentre d'estate ne utilizzava di più leggeri.

Assicurati ai fianchi portava due pugnali ricurvi racchiusi nelle loro fondine, mentre altri due, meno affilati ma più aerodinamici, ideali per essere lanciati, li teneva assicurati dietro la schiena, pronti ad essere estratti nel minor tempo possibile.

Sapevo anche che, da qualche parte negli scarponcini che indossava, racchiusi in piccole tasche di cuoio, aveva nascosto due shuriken.

Quando fummo abbastanza vicini mi rivolse un cenno di saluto e venne ad abbracciare Jennifer, la quale ricambiò il gesto affettuoso del demone.

<<Sei pronta, partner?>> le domandò.

<<Dopotutto ho imparato dalla migliore, no?>>

Il sorriso che Maze le rivolse mi fece capire che il loro legame doveva essere maturato esponenzialmente, nei mesi in cui ero stato via.

<<È tutto sotto controllo, Mazikeen?>> le chiesi io.

Il demone annuì:<<Eve è dentro con Amenadiel e gli altri, Michael era già qui da tempo e Linda e Charlie sono nascosti al sicuro>>

<<Ottimo>> feci per entrare nello stadio.

<<Ehy, non così in fretta!>> Maze si frappose tra me e l'entrata <<Fammi vedere la tua lama, prima>>

Con un sospiro la tirai fuori dalla tasca della giacca e gliela porsi, perché la esaminasse.

Lei la squadrò attentamente da cima a fondo, rigirandosela tra le mani con cautela.

Estrasse un pugnale da una tasca della quale non mi ero accorto e me lo consegnò, tenendosi quello che fino a poco prima era stato mio:<<Ti presto Stabby Junior, per questa volta: è più affilata della tua>>

Lei e il vizio di dare nomi alle proprie armi.

Appoggiai una mano sulla sua spalla, sforzandomi di rivolgerle un mezzo sorriso:<<Grazie, Mazi>>

Le ero davvero grato, per più di una ragione.

<<Ricordati piuttosto di proteggere i fianchi: li scopri troppo, mentre combatti>> tagliò corto ll demone, dando tutta l'impressione di aver finito con le raccomandazioni, ma poi aggiunse<<Ah, e, Luci, cerca di non farti ammazzare, intesi?>>

Sorrisi:<<Sì, l'idea è questa>>

Maze si congedò con una breve pacca sulla spalla di entrambi ed entrò nello stadio, precedendoci.

Jennifer, accanto a me, fremeva di impazienza, così, noi due insieme, ci incamminammo verso quello che era a tutti gli effetti un appuntamento col destino.

<<Per quel che vale, cara, non c'è nessun altro con cui vorrei farlo>> le sussurrai.

Lei diede una breve occhiata al cielo mezzo nuvoloso sopra di noi, riprendendomi per mano:<<Nemmeno io, per quel che vale>>

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Ci ho messo un po' per buttare giù la stesura definitiva di questo capitolo 60 - anche perché avevo tantissime idee diverse - e ci ho messo ancora di più a revisionarlo per bene, prima di pubblicarlo. Spero non sia deludente.

Del resto, nel prossimo capitolo assisteremo all'attesissimo duello finale e ad un paio di altri colpi di scena che vi sorprenderanno (O almeno spero).

A presto 🥰

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