Capitolo 5.
Aprii piano gli occhi e tutto ciò che vidi fu la federa gialla del mio cuscino con sopra stampate delle immagini di Winnie The Pooh.
La luce del mattino illuminava tutta la stanza, trafiggendo le mie povere retine che non si erano ancora riabituate.
La prima vera sensazione che avvertii fu un martellante dolore alle tempie, come se la scatola cranica spingesse ad intervalli regolari per uscirmi dal corpo.
Emisi un gemito di dolore
Mi alzai piano a sedere sul letto, provando a valutare i danni della notte precedente. A parte il forte mal di testa, stavo bene.
Certo: ero andata a dormire in mutande e reggiseno perché non avevo avuto la forza di mettermi il pigiama, e avevo la faccia sporca di trucco perché non mi ero stuccata, ma stavo bene.
E, quantomeno, avevo conosciuto una persona interessante.
Maze non sembra male.
Questo era il tenore dei miei pensieri mentre mi dirigevo in bagno, ancora un po' malferma sulle gambe, e mi pulivo le grosse macchie nere che avevo sotto gli occhi con alcune salviette struccanti.
Poi presi lo spazzolino, ci spremetti sopra il dentifricio e feci per lavarmi i denti.
Fu allora che realizzai due cose importanti, due catrasfofi importanti, a dire il vero.
La prima, grave, ma irrilevante rispetto alla seconda, era che mi ero ubriacata come una cretina e Lucifer Morningstar mi aveva riaccompagnata a casa.
Mi vergognai di me stessa per un lungo attimo, e poi mi vergognai ancora di più quando mi ricordai del mio 'patto', col proprietario del Lux.
Brava Jennifer, tu sì che sei indipendente: non hai bisogno che qualcuno ti metta nei guai, no, perché lo fai già benissimo per conto tuo.
La seconda, infinitamente più terribile della prima, era che erano quasi le undici di mattina.
Avrei dovuto essere al lavoro al Donut già dalle sei, quasi quattro ore prima.
Ebbi una specie di conato di vomito, non so se per l'ansia, per la bevuta della sera prima o per entrambe le cose.
Il titolare della tavola calda, il signor Drump, era un uomo sulla trentita che aveva ereditato il locale dai suoi genitori. Era una persona tranquilla, sedentaria, quasi monotona. Ma, per mia fortuna, era un tipo comprensivo e accomodante.
Feci un respiro di sollievo: avrei potuto semplicemente chiamare, chiedendogli di scusarmi se non ero al lavoro, e dicendo che purtroppo mi sentivo male.
Avrebbe capito. O almeno lo speravo.
Dopotutto, Jakob Drump mi conosceva bene. Mi aveva assunta lui quattro anni prima, e da allora non avevo mai saltato un giorno di lavoro, a parte quella volta in cui non riuscivo a smettere di vomitare, e quindi restare a casa mi era sembrata una buona idea.
Quando ebbi finito di lavarmi tornai in camera da letto e mi infilai le prime due cose che mi capitarono sotto le mani, nella fattispecie una felpa verde acqua e dei pantaloni di seta nera a zampa di elefante.
Adoravo quella forma di pantaloni, benché ormai fosse passata di moda da decenni. Per quel che mi riguardava le cose belle non passavano mai di moda.
Afferrai il cellulare e notai di avere alcuni messaggi da un numero sconosciuto: quello di Lucifer Morningstar, ci scommettevo.
Nel primo, risalente alle otto di quella mattina, mi chiedeva se avessi dormito bene, e poi, nel secondo e nel terzo, mi aveva mandato delle faccine ammiccanti.
Chiusi in fretta l'applicazione, imbarazzata al ricordo della notte precedente.
Chiamai in fretta il numero di Jakob, sforzandomi di non mangiarmi le unghie.
Al settimo squillo, il titolare della tavola calda 'Donut', mi rispose :<<Pronto Jennifer>> esordì <<Tutto a posto?>>
Sebbene lavorassi per lui da anni, e sebbene quindi ci conoscessimo eccome, lui preferiva mantenere un tono formale perché, a detta sua, era una questione di professionalità.
<<Sì, tutto a posto. Grazie mille per l'interessamento. Mi scuso di non averla informata prima, Jakob, ma oggi non sono potuta venire al lavoro perché non mi sento affatto bene...>> presi un respiro di sollievo, una volta che l'ebbi detto:<< Spero di non averle causato troppi disagi...>>
<<Si figuri>> la sua voce era bassa e rassicurante <<Resti pure a casa per oggi, e per domani mi avverta prima se intende fare lo stesso>>
<<La ringrazio molto, Jakob. Non si preoccupi : domani tornerò di sicuro>>
<<Allora ci vediamo domani>>
<<A domani>> replicai, per poi chiudere la chiamata alla velocità della luce.
Non riuscì a trattenere un sospirone di sollievo, mentre mi ributtavo distesa sul letto. Fuori dalla finestra la luce della mattina Californiana era filtrata da spesse nuvole grigie, che coprivano il sole.
Il tempo non era cambiato chissà quanto, dal giorno prima.
Avendo il resto della mattinata libera pensai bene di andare a fare un giro per le vie principali della città. Ad appiccicare il naso alle vetrine dei negozi, ben sapendo che non potevo permettermi di comprare ciò che si trovava all'loro interno.
Comunque potevo sempre fare il vecchio giochetto dell'entrare da Gucci fingendo di essere una specie di ricca imprenditrice o roba così, girare per il negozio con aria altera, quasi schifata, per poi uscire scuotendo la testa con finto disappunto, come a voler dire:''la qualità qui è alquanto deludente".
Non mi faceva sentire meglio con me stessa, e di certo non faceva sparire i miei problemi economici e non, però era divertente.
E mi aiutava a tenere la recitazione allenata.
Afferrai la borsa a tracolla della sera prima, ci misi dentro il telefono e le chiavi di casa e mi infilai la una giacca a vento bianca.
Controllai velocemente che tutte le luci di casa fossero spente (la bolletta della luce era già abbastanza salata), e poi passai a controllare che il gas non fosse rimasto acceso.
Proprio in quel momento qualcuno bussò alla porta.
Mi immobilizzai, interdetta. Non solo perché non aspettavo nessuno, ma anche perché avevo un gran brutto presentimento.
Ebbi un brivido.
<<Arrivo!>> esclamai, ed andai ad aprire la porta di casa.
Davanti a me c'era una donna alta più o meno quanto me, con addosso una giacca nera e dei pantaloni coordinati.
La mano destra era appoggiata sulla pistola che teneva nella fodera, appesa al fianco.
<<Buongiorno, detective Decker. Posso aiutarla?>>
<<Jennifer Bianchini>> disse lei, il tono di voce solenne <<La dichiaro in arresto per l'omicidio della signora Anne Rowlins. Ha il diritto di rimanere in silenzio; ogni cosa che dirà potrà essere usata contro di lei in tribunale. Ha diritto ad avere un avvocato, e se non può permetterselo gliene forniremo uno d'ufficio. Allora, ha capito i suoi diritti?>>
Io ero scioccata, senza parole.
<Sì>> mi limita a sussurrare.
Perché ora venivo accusata di un crimine che non avevo commesso?
Mentre la Detective mi faceva strada fino alla macchina della polizia, le lacrime mi spingevano da dietro gli occhi.
Stavo per avere una crisi di pianto.
Decker mi fece accomodare in uno dei sedili posteriori, mentre lei si sedeva al posto di guida e metteva in moto l'auto.
Due viaggi su una volante della polizia per due giorni di seguito.
Dovevo aver stabilito una specie di record.
Imprecai mentalmente.
Quanti anni di prigione potevo beccarmi per un omicidio che non avevo commesso? E poi: in California c'era la pena di morte?
Sì, era stata reintrodotta nel 1992, mi ricordai.
Mi presi la testa tra le mani, infilando le dita tra i capelli e applicando una leggera pressione.
Il mal di testa stava peggiorando, in risposta alla mia angoscia.
Più terrore che angoscia, in verità.
<Non l'ho uccisa io, Detective, deve credermi>> sussurrai.
Lei mi rivolse uno sguardo inquisitore tramite lo specchietto retrovisore. I suoi occhi, proprio come la prima volta che l'avevo incontrata, sembravano essere in grado di valutare la purezza della mia anima.
Il suo sguardo restò fisso su di me per qualche secondo come se stesse cercando qualcosa, ma poi, alla fine, tornò a concentrarsi sulla strada.
Forse aveva trovato ciò che cercava.
Fu solo quando arrivammo alla stazione di polizia che incominciai davvero a tremare.
L'interno della stazione, ovviamente, non era cambiato dal giorno prima, ma a me sembrava di sì.
La situazione era cambiata altroché, e l'intero dell'edificio pareva più buio, più opprimente.
Mentre la detective mi accompagnava nella stanzetta degli interrogatori ebbi la sgradevole sensazione che le pareti ai miei fianchi si ripiegassero su loro stesse, pronte per soffocarmi.
Mi sedetti sulla stessa sedia dove mi ero seduta poco meno di ventiquattro ore prima, e così fece anche Chloe Decker.
Mi sembrò di essere tornata indietro nel tempo.
Solo che ora rischiavo di finire in guai seri. Molto molto seri.
Non parlare, Jennifer, non parl...
<<Detective, lei mi aveva lasciata andare... Non capisco cosa sia cambiato da ieri!>>
Appoggiai i gomiti sul metallo freddo del tavolo, prendendomi la testa tra le mani e trattenendo a stento le lacrime.
<<Ci sono stati degli sviluppi>> disse lei <<La pistola con cui è stata uccisa la vittima era stata lasciata sul luogo del delitto. Beh, il nostro assassino - o la nostra assassina - si è accorto del suo errore, e questa notte è venuto a riprendersi l'arma che ha usato. Purtroppo cel'ha fatta: l'arma del delitto è sparita, e probabilmente non la rivedremo mai più, tuttavia la Scientifica ha trovato delle impronte del nostro soggetto sul tavolo del salotto della signora Rowklins>>
Deglutii, temendo di sapere dove volesse andare a parare.
<<Le impronte corrispondono con le sue, signorina Bianchini>>
Chiusi gli occhi, mordendomi le labbra.
Una prova del genere, in tribunale, sarebbe bastata a condannare anche il più innocente degli imputati.
E io non potevo nemmeno permettermelo, un buon avvocato.
D'un tratto mi sentivo male.
Sentivo il cuore pesante come una pietra, che spingeva per squarciarmi il petto e rotorale sul pavimento.
<<Non è possibile! Non sono mai entrata nell'appartamento della signora Rowklins! Non so nemmeno come sia fatto, Detective, lei deve credermi!>>
La donna bionda di fronte a me mi guardava impassibile. Chissà...
In effetti, le prove contro di me erano inconfutabili. Eppure non ero colpevole del crimine di cui mi accusavano.
<<Hai un alibi per la notte scorsa? Diciamo tra le due e mezza di notte e le sei di mattina?>>
Mi imposi di pensare velocemente.
Non potevo dire che Lucifer mi aveva riaccompagnata a casa e poi mi aveva lasciata lì, da sola, e che nessuno poteva confermare la mia innocenza.
Stavo per mentire ad un ufficiale di polizia.
Sì, ma per una buona causa.
Non meritavo di pagare per un omicidio che non avevo commesso.
<<Ero al Lux, a bere>> dissi, guardando la Detective negli occhi con l'aria tranquilla che potei assumere <<Sono arrivata alle undici di sera e ho un po' alzato il gomito, quindi ci sono rimasta fino alle sei e mezza di mattina, per non dover mettermi ubriaca alla guida>>
Chloe Decker mi guardò dall'altra parte del tavolo, scuotendo la testa.
<<Diversi testimoni affermano di aver visto un auto grigia simile alla sua parcheggiarsi davanti al suo palazzo, verso le tre di notte>>
Trattenni il respiro, terrorizzata.
Avrei dovuto immaginare che mentire sarebbe stata una pessima idea... adesso la Detective avrebbe pensato che l'avevo fatto per coprire la mia colpevolezza.
<<Meglio che confessi subito, signorina>> disse <<Se lei mi rende più facili le cose, prometto di ricambiare il favore>>.
Mi morsi il labbro inferiore.
<<Io non intendo...non intendo dire più una parola, se non in presenza di un avvocato>> sudavo freddo mentre parlavo, nella mia voce avvertivo un lieve ma costante tremolio.
<<Come vuole>> concesse la Detective <<Vorrei solo farle presente che collaborare con me potrebbe alleggerirle una condanna piuttosto pesante, signorina. Nonché una discreta multa per guida in stato di ebrezza>>
Si vedeva che era brava col suo lavoro. Sapeva il fatto suo, di certo.
Non dissi nulla.
Non volevo parlare, ed anche se avessi voluto non avrei potuto farlo, perché non avrei saputo che dire.
Deglutii piano.
Mi preparai a passare un discreto tempo in prigione, in attesa del processo che di sicuro (o quasi) avrebbe portato alla mia condanna per omcidio a... Quanti anni?
O alla pena di morte.
Mi toccai piano una guancia: era bagnata.
Non mi ero accorta di aver iniziato a piangere come una bambina, ma ormai era fatta. Una volta iniziato non riuscivo più a smettere.
<<Devo dirle, per correttezza, che la sua cauzione è fiss->>
Interruppi la Detective:<<Tanto, di qualunque cifra si tratti, non posso permettermi di pagarla>>
<<Non ce n'è bisogno!>>
La voce di Lucifer, una voce che avevo imparato a conoscere fin troppo bene, arrivava da dietro le mie spalle.
La Detective lo guardò con disapprovazione, scuotendo la testa e facendo ondeggiare la sua coda di cavallo bionda.
<<E questo cosa vorrebbe dire?>> domandò, incrociando le braccia.
<<C'ho pensato io, ecco cosa vuol dire>> affermò lui, per niente toccato dallo sguardo di fuoco della detective Decker.
Poi si rivolse a me, sorridendo cordialmente e ammiccando, nonostante vedesse bene che stavo cercando di asciugarmi in fretta le lacrime.
<<A proposito, come va, cara? Visto che ieri notte ci siamo andati giù pesante, ho pensato bene di passare a vedere come stessi>>
Lo sguardo stupefatto che gli rivolsi era stupefatto almeno quanto quello della Detective.
<<Davvero, Lucifer? Fare sesso con una sospettata? Un comportamento assolutamente inappropriato>>
Lui mi rivolse uno sguardo complice, inarcando leggermente le sopracciglia nere:<<Che posso dire, Detective? La signorina Bianchini, qui, è davvero una gran esperta di giochetti con le manette. Per non parlare poi delle cose che sa fare con la lingua! Quando si dice "saperne una in più del diavolo"!>>
Il viso di Chloe Decker era a metà tra l'imbarazzato e lo scocciato. Poi, l'illuminazione.
Mi guardò negli occhi:<<Ecco perché mi ha mentito su dove è stata ieri sera. Non voleva che sapessi che voi due... Beh, capisco. Per ora è libera, signorina. Ringrazi il suo nuovo amico>>
Detto questo uscì dalla stanza, rifilando un'ultima occhiataccia di biasimo al suo partner.
Quando io e Lucifer Morningstar ci trovammo da soli, mi venne voglia una violenta voglia di tirargli un pugno.
Chissà che col naso sfasciato non si togliesse quel sorrisetto compiaciuto dalla faccia.
<<Come ti è venuto in mente, eh?!>> avevo alzato la voce, ma non mi importava.
Lucifer non pareva colpito dalla mia rabbia improvvisa, quasi come se niente potesse fargli perdere la sua espressione eternamente tra il beffardo e il compiaciuto, neanche fosse scolpita nella roccia.
<<Come mi è venuto in mente di fare cos- Oh, ti riferisci al fatto che ho bluffato per tirarti fuori da una bruttissima situazione? O al fatto che ho pagato la tua cauzione con i miei soldi, perché tu non te la puoi permettere?>>
Non era arrabbiato, era solo beffardamente ironico. Si divertiva.
Come poteva essere che una persona fosse così insensibile?
Mi veniva da piangere.
Ancora.
<<No, mi riferisco al fatto che continui ad interferire nella mia vita!>> mi avvicinai a lui, finché non ci trovammo a pochi centimetri di distanza <<Non ci hai pensato due volte a mettere le mani sul mio numero di cellulare e sul mio indirizzo di casa, che cazzo! Queste sono informazioni private e tu non ti sei chiesto nemmeno per un secondo se io fossi d'accordo che tu le avessi! E infine non solo hai pagato la mia cauzione senza nemmeno chiedermelo, eh no, adesso me lo vorresti anche far pesare!>>
Dopo questa sfuriatona avevo le lacrime agli occhi ed ero rossa in viso.
Decisi che sarebbe stato meglio se avessi abbassato il tono di voce.
<<Ti comporti con tutti come ti comporti con me, o sono l'unica ad avere l'onore di godere di questo trattamento speciale?>> l'ironia nella mia voce era più affilata della lama di un pugnale.
Lucifer fece per aprire bocca per rispondermi, ma io lo anticipai:<<No, penso proprio che questo sia il tuo modus operandi con tutti quelli che conosci. Beh, forse tu pensi di avere il diritto di mettere bocca nella vita degli altri, ma ho una notizia flash per te: non è così! Probabilmente nella tua testa malata pensi di essere Dio, e di poter trattare tutti gli altri come pedine del tuo gioco... Sai, no? muoverle a piacimento, divertirti con loro e sorprenderti se poi hanno dei sentimenti e ci restano male>>
L'espressione sul viso di Lucifer era cambiata. Il sorrisetto strafottente era sparito ed ora pareva davvero serio.
<<E ora scusami>> dissi, mentre lo toccavo per farlo spostare di lato, in modo che potessi uscire da quella maledetta stanza.
Stavo per chiudermi la porta alle spalle, ma poi mi ricordai che avevo un'ultima cosa da dire.
<<Senti>> lo chiami, girandomi indietro
<<Grazie di avermi pagato la cauzione. So che - nel tuo strano modo di fare - hai agito con buone intenzioni. Solo...non voglio più avere a che fare con i tuoi miliardi, okay? Dio solo sa come li hai guadagnati>>
<<Dio non sembra interessarsene, Jennifer...>> lo sentii sussurrare appena prima di chiudermi la porta della sala degli interrogatori alle spalle.
Durante tutto il viaggio che feci per tornare a casa in autobus guardai fuori dai finestrini le strade di Santa Maria de Los Angeles che mi sfilavano affianco.
Provavo un senso di vuoto, dentro.
Niente rabbia o paura, nessun sospiro di sollievo per la libertà ritrovata; assolutamente niente.
In verità, però, scavando in fondo nei recessi della mia anima, c'era qualcosa : disgusto.
Ero disgustata - molto disgustata - da tutto.
Non era così che immaginavo la mia vita quando ero venuta a vivere negli States.
Era andato tutto male.
L'autobus frenò di colpo ed io sbattei la fronte contro il vetro del finestrino.
Ero cresciuta guardando i cartoni della Disney fin da piccolissima - come quasi tutti nella mia generazione ed in quelle precedenti - e li adoravo.
Continuavano a piacermi anche ora, a ventidue anni compiuti.
Peccato che la vita reale non funzionasse come i cartoni.
Impegnarsi, dare tutto te stesso per raggiungere uno scopo, lavorare duro, erano metodi che nei cartoni funzionavano sempre. La protagonista doveva affrontare prove difficili e avventurose, certo, e in alcuni momenti credeva di non farcela, ma alla fine si sapeva che avrebbero vissuto tutti per sempre felici e contenti.
Beh, la vita reale era giusto un pochino più complicata di così.
Potei tirare un sospiro di sollievo solo quando fui a casa, seduta al tavolo della mia cucina, a mangiare un cespo di lattuga che sapeva di plastica.
Il cibo in Italia era molto più buono.
Cavolo, mi manca casa.
Non avevo nemmeno bisogno di salare l'insalata, perché le mie lacrime che ci cadevano dentro erano più che sufficienti.
Mangiai metà della ciotola che mi ero preparata, poi andai in bagno e vomitai tutto nel water.
Mi distesi sul pavimento gelato del bagno, cercando di non vomitare di nuovo. Eppure non stavo male.
Non fisicamente, quantomeno.
Forse smettere di andare dalla psicologa non mi aveva fatto bene...e nemmeno ubriacarmi la notte precedente.
In verità, ora che ci pensavo, era tanto tempo che non facevo una scelta davvero degna di essere definita una buona scelta.
Ebbi di nuovo una crisi di conati di vomito, ma non mi disturbai ad alzarmi dal pavimento. Sapevo che non avrei più vomitato: il mio stomaco era vuoto.
Quando sentii le lacrime premermi dietro le palpebre - per la settecentesima volta in quella giornata - non mi detti pena di ricacciarle indietro. Lasciai che scendessero giù per le mie guance e poi, arrivate al mento, me le asciugavo con una manica della felpa.
Quelle crisi esistenziali erano piuttosto frequenti. Le avevo circa una volta ogni due, tre settimane. Di certo l'assenza di sonno non mi aiutava.
Ero un disastro assoluto.
Per un lungo momento mi sfiorò il pensiero che, se l'avessi fatta finita, non sarebbe importato a nessuno.
Certo, forse qualche mio collega della Maccheroni House si sarebbe dispiaciuto, ma non più di tanto.
Di certo non avrebbero pianto.
Mi alzai lentamente dal pavimento del bagno, constatando che ero stabile sulle gambe, e andai in sala.
Avevo spalancato la portafinestra per fare entrare un po' di aria fresca dall'esterno, dato che d'estate il mio appartamento era un forno.
Fuori da essa, il cielo sopra la città era terso ed il sole splendeva alto.
Non una nuvoletta, non un alito di vento, sopraggiungeva a sconvolgere l'immutabile tranquillità del cielo azzurro.
Se mi fossi affacciata alla portafinestra ed avessi poi scavalcato la bassa ringhiera di ferro oltre ad essa, niente avrebbe potuto salvarmi.
Lo forza di gravità avrebbe fatto il suo corso, le macchine avrebbero continuato a circolare come sempre per le strade della città e quel terso cielo azzurro non sarebbe di certo caduto, se io fossi morta.
Mi avvicinai finché non fui appoggiata con tutto il mio peso alla ringhiera esterna.
Cos'è che si dice sempre in queste situazioni? Ah sì :"Sembra un buon giorno per morire".
E quello lo era davvero.
Mi sarebbe bastato scavalcare la ringhiera e poi lasciarmi cadere, e tutta la sofferenza sarebbe svanita.
Poof
Sarebbe stato facile.
<<Il terzo piano è un po' troppo basso>> commentò una voce alle mie spalle <<Andiamo, cara, se tu volessi davvero suicidarti ti butteresti almeno dal settimo!>>
Feci un salto, terrorizzata, e per poco non mi sbilanciai in avanti.
<<Lucifer, esci subito da casa mia! Il discorso che ti ho fatto un' ora fa non è stato abbastanza eloquente?! Non voglio più vederti?!>> esplosi, gridando a pieni polmoni.
Il fatto che entrasse in casa degli altri senza chiedere il permesso - chissà come facesse, poi - mi faceva rabbrividire.
"Non entrare mai più in casa mia in questo modo!>>
<<Scusami, cara>> sussurrò lui, lisciandoci la giacca di seta color ametista <<Ero solo preoccupato per te, ed a quanto pare avevo ragione>>
Non sembrava allegro come al solito.
<<I-Io non volevo buttarmi>> provai a giustificarmi <<Stavo solo... osservando il panorama>>
Tecnicamente non era una bugia, solo una mezza verità.
Lucifer non parve credermi, ma non mi contraddisse:<<La prossima volta che osservi il panorama, fammi il favore di non sporgerti così tanto>>
<<Ed io che pensavo che al Diavolo piacessero i suicidi>> dissi la prima cosa che mi venne in mente, tanto per cambiare discorso <<Insomma, più anime dannate con cui divertirsi, no?>>
<<Pensi che mi piaccia veder soffrire le persone?>>
<<Il Diavolo è il padrone dell'inferno, luogo nel quale tormenta i dannati per l'eternità... In teoria, quindi, sì>>
Lui mi guardò piccato, quasi a rimproverarmi:<<Penso che sia giusto che chi ha fatto del male venga punito, e sono ben felice di dargli ciò che merita, ma ora non ho alcun desiderio di vedere altra sofferenza>> smise di parlare per mettersi a frugare negli scaffali della mia cucina, alla ricerca di qualcosa.
<<Cosa cerchi?>> gli domandai.
<<Non hai dello Whiskey, della vodka- Dell'alcol, in generale?>>
Scossi la testa.
Lui estrasse da una tasca interna della giacca una fiaschetta, la aprì e ne bevve un sorso.
<<Cos'è?>>
<<È un Jacques Senaux Black>> disse lui.
Aggrottai le sopracciglia:<<È...cosa?>>
<<Assenzio nero>> spiegò lui, bevendone un altro sorso <<Ottantotto gradi>>
<<Cavolo, Lucifer, smettila subito di bere!>> esclamai allora io, prendendogli la fiaschetta di mano e chiudendola.
<<Ehy!>> si lamentò quello.
Io mi misi la fiaschetta nella tasca della felpa, cosicché non potesse riprenderla:<<Devi andartene, ricordi? E non ti lascerò guidare da ubriaco: non voglio essere considerata la responsabile della tua dipartita>>
Lui sorrise e mi fece l'occhiolino:<<E io che pensavo di non piacerti!>>
<<No, infatti non mi piaci chissà quanto, ma questo non vuol dire che ti voglia vedere morto>>
<<In effetti, ora che me lo dici, comincia a girarmi la testa>> disse Lucifer, barcollando <<Quegli ottantotto gradi si fanno sentire, cara... Penso proprio di non essere in grado di mettermi alla guida in questo stato>>
Che bastardo.
<<Non c'è problem: posso riportarti a casa io. Ricordi? Ti devo un favore>>
Sarai anche furbo, caro signor Morningstar, ma io sono più furba di te.
Lui, allora, si lasciò cadere a peso morto sul mio divano, sfregandosi le tempie con le mani e socchiudendo gli occhi.
<<Mi dispiace>> sussurrò, con tono appositamente fragile <<non credo di riuscire a camminare... Penso proprio che farei meglio a rimanere disteso>> e mi guardò facendo gli occhi da cucciolo implorante.
Io alzai al cielo i miei.
<<E va bene, va bene: puoi restare per un po'>>concessi <<Ma solo se smetti di far finta di essere ubriaco>>
Lui mise subito da parte la sua recita, mettendosi a sedere sul divano con espressione compiaciuta e lisciandosi la giacca viola.
<<Molto meglio>> commentai.
<<Quindi, cara>> disse lui <<Parliamo del nostro patto di ieri sera. Ricordi? Sei in debito con me>>
Non avevo voglia di parlare con lui. In verità non avevo voglia di parlare con nessuno.
E mi veniva da piangere, ancora.
<<Beh>> mi sedetti sul divano accanto a lui, a gambe incrociate <<Ha davvero poca importanza, Lucifer: hanno trovato le mie impronte sulla scena del delitto di cui ero la principale sospettata... Quindi non ci vorrà molto perché venga buttata in una cella per i prossimi trent'anni.
O, in alternativa, mi condanneranno a morte>> mi misi a ridere.
Non c'era niente da ridere, ma farlo mi aiutava a stemperare la tensione.
Avrei voluto solo piangere, a dire il vero.
<<Su questo puoi stare tranquilla: finché potrò fare qualcosa per impedirlo, non lascerò che una persona innocente venga punita>>
Mi guardò e sorrise dolcemente.
<<Grazie di... di credermi>> non era molto, ma era pur sempre meglio di niente.
Lucifer si avvicinò di qualche millimetro <<So riconoscere una persona colpevole quando la vedo, Jennifer, e tu non lo sei>>
<<E comunque>> mi piegai in avanti e apoggiai i gomiti sulle gambe <<Comunque è Chloe Decker ad avere l'ultima parola, e lei non sembra pensarla così>>
Lui fece un gesto come per sminuire l'importanza di quello che avevo appena detto:<<Conosco la detective: è una donna dalle mille risorse, ed è molto intelligente. Vedrai che capirà come stanno davvero le cose.
Gli rivolsi uno sguardo dubbioso, pieno di speranza, eppure dubbioso.
<<Ma ora>> cambiò discorso Lucifer, battendosi le mani sulle cosce <<Parliamo di cose importanti. Come ti dicevo tu sei in debito con me, ed io ho perfettamente in mente ciò che desidero>>
Lo guardai, invitandolo a continuare.
<<Sai, sono stato invitato ad un importante evento stasera, allo Chateau Marmont, ed avrei bisogno di un'accompagnatrice>>
<<Hai bisogno di un'accompagnatrice per andare ad un evento in uno dei più esclusivi hotel della città?>> non capivo.
<<Sì, avrei bisogno che tu fingessi di essere la mia fidanzata, Jennifer>>
C'è qualcosa che ancora mi sfugge...
<<Fatti accompagnare da una delle Brittany>> replicai, sarcastica <<Scommetto che loro ti conoscono molto meglio di quanto ti conosca io. In tutti i sensi>>
Lucifer si avvicinò ancora di più a me:<< Per fingere di essere la mia fidanzata non devi per forza sapere di quanti centimetri cel'ho lungo- Cioè, se vuoi posso anche dirtel->>
Lo interruppi, decisamente imbarazzata:<<No! No, grazie, sto bene così!>>
Lui trattenne a stento una risatina:<<Il punto è che ho bisogno di una attrice valente ma allo stesso tempo che non sia conosciuta, capisci?>>
Feci segno di sì con la testa.
Non mi presi nemmeno la briga di chiedermi come avesse scoperto che fossi un'attrice. Probabilmente nello stesso modo in cui aveva scoperto dove abitavo e tutto il resto.
<<Eppure ancora non capisco perché hai bisogno di fingere di essere fidanzato? Non eri tu quello che si vantava di essere l'eterno scapolo, quello che "una ragazza diversa per notte"?>>
<<Vedi, stasera ho un incontro con una persona davvero importante, che ha qualcosa che voglio davvero tanto->>
"Ed ovviamente questa persona si tratta di un miliardario>> tirai ad indovinare.
<<Ovviamente, cara, è il padrone dell'hotel. E, sai, non è che quest'uomo si fidi tanto di me. Insomma, secondo Internet, un uomo ben vestito, dall'accento inglese e che si sta per sposare è più affidabile di uno che ha la reputazione di... Beh, una reputazione tipo la mia>>
<<E pensi che funzionerà? Fingere di mettere la testa a posto ti farà apparire più affidabile?>>
Lui tentennò per un momento <<Il piano è questo>>
<<Potrebbe funzionare>> dissi io <<Sempre a patto che tu non ti tradisca facendo qualche cosa di stupido>> precisai.
Un'altra risatina soffocata da parte sua, e poi:<<Proverò a tenere la lingua a freno la lingua>>
<<Bene>> sorrisi debolmente.
Una pausa, una lingua pausa, e poi:<<Però tu stai bene, vero?>> domandò lui <<Sai, prima... Ho avuto come l'impressioneche ci fosse qualcosa che non andava>>
<<E con "prima" intendi quando ti sei intrufolato in casa mia come un ladro e mi hai fatto venire un infarto, immagino>> evitai abilmente la sua domanda perché non volevo mentirgli dicendogli che sì, stavo bene.
<<Sì, vero>> disse <<Mi dispiace>>
Dubitavo che gli dispiacesse.
<<Il piano è che stasera, verso le sei e mezza, tu venga al Lux, da dove ti cambierai. Da lì andremo direttamente a destinazione. I dettagli te li spiegherò durante il viaggio, intesi?>>
Fu solo in quel momento che mi ricordai che non potevo proprio.
E mi fece strano constatare che la cosa mi faceva dispiacere.
Volevo aiutarlo.
<<Non posso venire, mi spiace. Dovrai trovare qualcun'altra>>
<<Non capisco>> protestò, alzandosi in piedi <<Qual è il problema?>>
<<Il problema, Lucifer, è che io - al contrario di qualcun'altro - devo lavorare stasera. Già stamattina non ho guadagnato nulla. I soldi di stasera mi servono. Mi spiace>>
Lui, senza scomporsi, si frugò in tasca e ne tirò fuori un rotolo di banconote da cinquanta. Lo divise in due e me ne mise in mano circa una metà.
<<Questi saranno almeno quattromila dollari>> balbettai, sbarrando gli occhi
<<È molto più di quello che guadagno in un mese...>>
Guarda lui e poi fissai sorpresa il rotolo di banconote che mi aveva appena dato come se nulla fosse.
Erano tantissimi soldi.
<<Per quanto riguarda la titolare del ristorante in cui lavori, lascia ci parli io>> terminò, soddisfatto della sua logica inoppugnabile.
Forse "parlare" non era il termine giusto per descrivere ciò che Lucifer avrebbe fatto, ma avevo affettato il concetto.
<<A proposito>> chiesi, esitando <<Puoi assicurarmi che questi soldi non li hai ricavati dalla vendita di diamanti insanguinati o, chessò, dallo sfruttamento della prostituzione minorile?>>
<<Certe cose non le faccio neanche io, cara. E puoi stare tranquilla quando ti dico che i soldi che ti ho dato sono puliti>>
<<Va bene>> mi morsi il labbro <<Allora a stasera?>>
<<A staser- Oh, a proposito, mi stavo quasi dimenticando di>> si frugò in una tasca interna della giacca e ne estrasse qualcosa <<Questo>>
L'anello che teneva nel palmo della mano era di fattura pregiatissima.
Dio, deve valere una fortuna.
Era fatto d'oro bianco che splendeva alla luce del sole che entrava dalla finestra, e sulla sommità aveva uno smeraldo enorme, il cui verde scuro era di un'intensita quasi innaturale.
Rimasi a fissarlo, senza riuscire a muovere un muscolo. Con un anello del genere, avrei potuto... chissà quanto valeva.
Non avevo mai visto una pietra preziosa così enorme, non dal vivo, quantomeno.
<<Allora>> si spazientì Lucifer, dopo diversi secondi che fissavo l'anello senza spiccare parola <<Hai intenzione di accettarlo, cara? O vuoi che te lo chieda ufficialmente?>>
Non aspettò una risposta e si inginocchiò ridacchiando di fronte a me, che ero ancora seduta sul divano.
Mi riebbi all'istante dal mio stato di trance.
<<Non fare lo stupido>> bofonchiai, e mentre lui rideva mi prese la mano sinistra e me lo infilò all'anulare.
Poi si avviò alla porta.
<<Chi te lo dice che stasera sarò al Lux, alle sei e mezza? Chi te lo dice che non scapperò in Messico, e non mi rifarò una nuova vita con il ricavato della vendita dell'anello?>> stuzzicarlo mi divertiva.
Lui scosse la testa piano,
sorridendo:<<Ci vediamo stasera alle sei e mezza, amore mio >>
Sentii la risata di Lucifer Morningstar riecheggiare dall'esterno del corridoio per diversi secondo, dopo che ebbe chiuso la porta dietro di se.
Appena fui da sola in casa corsi a mettere la metà dei soldi che avevo ricevuto come pagha nel doppio fondo del cassetto del comodino di camera mia.
Era ormai una mia abitudine da quasi tre mesi.
Poi, quando ebbi svolto anche quella faccenda, mi risedetti sul divano, fissando strabiliata come l'anello - se esposto al sole - illuminasse la mia mano di riflessi verdi.
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