Capitolo 4.

Appena fui tornata a casa mi gettai sul divano, sfinita. Erano quasi le quattro di pomeriggio, ma per mia fortuna quella sera non avrei dovuto lavorare. La titolare del ristorante avrebbe fatto un giorno di chiusura per andare a trovare la famiglia di suo marito, in Arkansas.

Mi avviai a passo pesante verso il frigorifero, con la testa che mi girava.

Non mangiavo dalla sera prima, ma con l'interrogatorio e tutto mi era passata la fame.

Mi sentivo lo stomaco murato.

Ed ero stanca.

Molto, molto stanca.

Eppure lo sapevo che se avessi chiuso gli occhi per un tempo sufficiente ad addormentarmi avrei desiderato non averlo mai fatto.

D'altro canto accade spesso che, quando ci si sforza perché un determinato avvenimento non accada, si sta solo ritardando l'inevitabile. Non si può vivere senza dormire, purtroppo.

Fu così che mi addormentai tra i cuscini grigi e bianchi del divano.

All'inizio era buio - come sempre, del resto - poi, mi dimenai nel letto e mi allungai per accendere la lampadina sul comò.
Il telefono fisso del mio appartamento squillava, squarciando con violenza il suono silenzioso della notte. Io mi stropicciavo gli occhi, tiravo su la cornetta e rispondevo.
" Pronto?" dicevo, sorpresa che il mio interlocutore parlasse italiano.
A quel punto lo scenario cambiava senza soluzione di continuità, come spesso accade negli incubi.
La macchina sportiva viaggiava in tangenziale a circa centodieci chilometri orari, il suo colore grigio metallizzato luccivava sotto il sole di una calda giornata di maggio.
Sulla stessa carreggiata, ma nella direzione opposta, viaggiava un camion bianco.
E la cosa peggiore era che sapevo cosa stesse per succedere, ma non potevo fare a meno di guardare, né potevo fare alcunché per cambiare quello che vedevo.

Quando aprii di colpo gli occhi, fui sollevata nel notare che mi ritrovavo sul mio divano, a Los Angeles. Avevo il respiro affannato, come se fossi sotto sforzo.

Uno dei soliti incubi.

Fuori dalla portafinestra del salotto, il cielo sopra la città si era fatto di un colore grigio scuro. Opprimente. Quasi soffocante.

Guardando meglio si poteva notare come i palazzi fossero stati avvolti da uno spesso strato di nebbia, che contribuiva ad accentuare il grigiore complessivo del panorama.

Erano le sette e quarantasette, secondo il mio cellulare : quasi le otto.

Mi sentivo una specie di ameba sebbene non avessi dormito neanche quattro ore, e avevo male a tutti i muscoli.

Dormire sul divano si era dimostrato più scomodo del previsto.

Per prima cosa, dopo essermi stiracchiata, mi andai a fare una bella doccia calda, e quando fui lavata con i capelli puliti mi sentii già meglio.

Andai in cucina e, visto che non avevo alcuna voglia di cucinare, ingurgitai a grandi morsi il panino al formaggio che non avevo mangiato a pranzo.

Non avevo ancora finito di masticare l'ultimo boccone di pane e formaggio che il cellulare squillò, facendomi fare un salto sulla sedia.

Il numero sul display era sconosciuto, ma decisi lo stesso di rispondere. Chissà che non fosse il mio giorno fortunato.

<<Pronto? Chi è?>> chiesi.

<<Ciao Jennifer, come va? Come ci si sente ad essere sospettata per un omicidio?>>

No, decisamente non era il mio giorno fortunato.

<<Ciao, Lucifer. Tutto a posto, grazie>>

Non mi detti nemmeno pensiero di chiedergli come avesse ottenuto il mio numero. Se l'avessi fatto si sarebbe inventato di certo una delle sue storie mirabolanti, mentre era probabile che l'avesse letto nel mio fascicolo, alla centrate di polizia.

<<Senti, volevo chiederti se per caso stasera ti va di fare un salto al Lux>> disse la voce all'altro capo del telefono << Sai, per divertiti un po'. E poi alla detective non dispiacerebbe se ti tenessi d'occhio>>

<<Grazie, ma no, grazie>>

I nightclub non erano il mio genere. Le discoteche al massimo, ma i nightclub proprio no.

E poi chissà quanto costava il biglietto del locale più esclusivo e famoso di tutta la Città degli Angeli. Non se ne parlava proprio.

<<Eddai, Jennifer, non ti costa nulla venire a farmi un salutino...>> la voce di Lucifer si era fatta scherzosamente implorante.

In realtà mi costava altroché, ma i miei problemi economici non erano affar suo, perciò decisi di trovare un'altra scusa.

<<I nightclub non mi piacciono, Lucifer. E non ho intenzione di pagare un'ira di dio, solo per venire a fare un "salutino">>

Poche ore fa hai detto di non volermi accompagnare a casa, perciò non vedo perché dovresti volermi al Lux.

Una risata, e poi :<<Non preoccuparti, Jennifer, l'ira di mio padre non è così facile da scatenare. E poi il biglietto per te sarebbe gratis. Lo offre la casa>>

L'ira di mio padre...

Ma certo, era logico : Lucifer Morningstar non solo credeva di essere il Diavolo, ma anche di essere il figlio di dio.

Che complessi mentali.

Comunque, complessi o non complessi, non avevo bisogno della sua carità. Né della carità di nessuno.

Me l'ero sempre cavata da sola, in un modo o nell'altro, e non avevo certo bisogno di quell'elegante e molto complessato proprietario di nightclub dall'accento inglese.

<<Grazie mille dell'invito, ma sono costretta a declinarlo>> esclamai ironicamente <<Come ho detto, non mi piacciono i nightclubs.
Buona serata, Lucifer>>.

<<Come preferisci>> borbottò lui tra i denti, appena prima di chiudere la chiamata.

Ero ancora stanca, ma sapevo che non sarei più riuscita a dormire per un bel po' di ore. Probabilmente avrei passato la notte girando tra le stanze del mio appartamento, senza meta. Oppure leggendo finché non fossi crollata. O facendo per l'ennesima volta una maratona della saga del Signore degli Anelli.

Aragorn che sfilletava gli orchi per più di nove ore filate aveva sempre avuto il potere di tirarmi su il morale.

Patetica.

Se la me di pochi anni prima mi avesse vista in quel momento, sarebbe stato quello il suo primo pensiero.

Quanto sono diventata patetica, avrebbe pensato, schifata.

Quella era la mia unica serata libera della settimana, ed invece che uscire a divertirmi con i miei amici la passavo da sola in casa a deprimermi e a pinagermi addosso.

Non che avessi dei veri amici con cui uscire a divertirmi, e non che avessi soldi da buttare via in alcol e schifezze varie... Ma, dopotutto, si hanno ventidue anni solo una volta nella vita.

Ci misi pochi secondi per arrivare ad una risoluzione : volevo uscire, in realtà. Volevo conoscere persone nuove e vedere nuovi posti. Che poi il posto nuovo in cui intendessi andare fosse il Lux, quello, era del tutto casuale.

Ovviamente.

Quella sera le milioni di luci di LA illuminavano il buio della notte, facendo da contrasto con l'oscurità del cielo. Le vie principali della città erano piene di gente di tutti i tipi, di tutte le provenienze e di tutte le estrazioni sociali. Dalle donne d'affari, fasciate in giacche eleganti, alle sedicenni vestite per fare serata. Quella moltitudine di gente sfilava ai lati della mia macchina, sui marciapiedi, e io mi chiedevo cosa avrebbero pensato - tutti loro - della mia vita. Cosa avrebbero pensato se il loro sguardo si fosse posato su di me nel bel mezzo della folla, anche solo per pochi istanti.

Il Lux era una costruzione nera con una grande insegna d'oro sulla facciata, ad informare tutta Los Angeles del suo nome.

Davanti al locale c'era un enorme parcheggio che, pur non essendo neanche le dieci di sera, era già quasi pieno. Per un colpo di fortuna trovai un posto vuoto dopo pochi minuti che lo cercavo, e ci parcheggiai la mia macchina grigia.

Uscita dall'abitacolo il freddo della sera mi investì come uno schiaffio.

Un brivido mi scese per la colonna vertebrale.

Davanti all'entrata del Lux c'erano due file a dir poco chilometriche, una per gli uomini e una per le donne. Persone di tutte le età facevano la fila per entrare nel più esclusivo locale della città. Forse anche dell'intera California, stando al suo proprietario.

Ci misi quasi un'ora per arrivare alla biglietteria, finalmente, dove mostrai la mia carta d'identità. Negli States, erano poche le discoteche in cui potevi entrare se avevi meno di ventuno anni.

Allungai alla biglietteria quaranta dollari, facendo una leggera smorfia, e l'uomo mi consegnò un biglietto bianco che aveva stampato sopra un teschio nero con in testa due corna rosse.

Entrai nell'edificio camminando per un lungo corridoio intenzionalmente poco illuminato, alla fine del quale c'erano due persone : una donna e un uomo.

Diedi loro il biglietto che avevo pagato decisamente molto caro, e la donna mi perquisì per assicurarsi che non avessi addosso nessuna arma, per poi passarmi un metal detector dalla testa ai piedi.
Eccertatisi che ero pulita, e che non intendevo compiere un attentato terroristico, mi lasciarono entrare nel vero cuore del Lux.

Rimasi letteralmente a bocca aperta.

L'enorme sala principale del locale era illuminata dal soffitto da una ventina di luci di colore diverso, che rendevano l'atmosfera sognante.

La musica veniva sparata a tutto volume dalle gigantesche casse, poste dall'altra parte della sala rispetto a dove mi trovavo io.

Del resto, il locale strabordava di gente.

Persone da tutte le parti, che si muovevano al ritmo della musica, che ridevano, che bevevano.

La maggior parte bevevano, mentre ballavano e ridevano.

Il tema della serata
era party negli' 80s, e tutti si erano vestiti di conseguenza.

Pur essendo solo le undici avevo come l'impressione che una buona metà di loro fosse ubriaca, o ci fosse molto vicina. Certo, il fatto che fossi venuta lì da sola, senza conoscere nessuno...

Passai accanto ad un gruppetto di tre ragazze che dovevano avere pochi anni più di me, e che portavano tre enormi cappelli rossi in testa. Una di loro stava dicendo qualcosa a proposito di Lucifer Morningstar, il misterioso proprietario del Lux, che organizzava quelle magnifiche feste.

<<Ho sentito dire che Lucifer Morningstar ha contatti con i cartelli della droga messicani>> stava dicendo alle sue due amiche :<<Ecco come fa ad essere così ricco>>

Un trafficante di droga?

Lucifer Morningstar non sembrava proprio il tipo.

Mentre mi avvicinavo al bancone per prendere qualcosa da bere, mi venne da ridere al pensiero che con tutta probabilità ero una delle poche persone a conoscere Lucifer, lì dentro. Su di lui, come è normale, circolavano tante dicerie assurde.

Chissà perché, ma avevo come il presentimento che Lucifer Morningstar fosse solo il personaggio che si era scelto.

Forse un giorno aveva letto "Il Grande Gatsby" di Scott Fitzgerald, e aveva deciso che voleva imitare il protagonista del libro.

E, in effetti, le somiglianze tra Lucifer e Jay Gatsby erano sorprendenti.

Immersa nei miei pensieri non mi ero accorta che il barman si era avvicinato a me, dall'altra parte del bancone. La barman, in realtà.

Difficile dire quanti anni avesse la donna di fronte a me, ma di sicuro era bellissima. Bella da far sfigurare chiunque. La sua carnagione olivastra, gli occhi corvini e i capelli lunghi e mossi non erano caratteristiche fisiche particolari, ma su di lei stavano alla perfezione.

Addosso aveva una tuta total black che le accarezzava le forme del corpo, con una cintura marrone in vita. Sopra portava una giacchettina bianca aperta sul davanti, e alle mani aveva dei guanti dello stesso colore, che risaltavano con la sua carnagione scura.

A completare il look anni '80, aveva in testa un cappellino nero.

Senza dire nulla allungò verso di me un Blue Lagoon, col suo classico colore azzurro accesso. Ipnotico.

Ispirato al celeberrimo film con Brooke Shields. L'avevo visto diverse volte da bambina, ancora prima di decidere di diventare un'attrice.

Diedi di nuovo un occhiata al cocktail che mi ritrovavo davanti : un bel mix di vodka e gin, tanto per finire subito k.o.

<<Scusi>> dissi gentilmente alla barista <<Ma io non ho ordinato niente>>.

Lei mi sorrise, ed i suoi denti bianchi luccicarono :<<Lo so, ma sembra proprio che tu ne abbia bisogno, darling>>.

Non lo disse con cattiveria, né con l'intento di schernirmi. Lo disse con naturalezza, come se fosse niente di più e niente di meno che un dato di fatto.

Sembrava quasi che alludesse al mio "costume", che di anni ottanta aveva solo i jeans neri a zampa di elefante.

Del resto, la felpa bianca che indossavo non era particolarmente in tema.

<<Già>> sussurrai <<Quanto ti devo?>> chiesi, mentre la osservavo sfrecciare da un punto all'altro del bancone per servire tutti i clienti.

<<Offre la casa, darling>> mi rispose lei.
<<Goditelo, il cocktail, perché non c'è nessuno che sappia mischiare l'alcol meglio della sottoscritta>>

Staccai gli occhi dal viso della barista e assaggiai il Blue Lagoon : era buono, anzi, era fantastico. Il sapore era intenso e bruciava un po' in gola, ma il gusto era piacevole.

Dopo il primo, cauto sorso bevvi metà del cocktail senza prendere aria, poi inspirai, e lo finii del tutto, rimanendo a succhiare il cubetto di ghiaccio che non si era sciolto del tutto. Intanto, intorno a me, gli avventori del Lux erano sempre più ubriachi e sempre più disinibiti.

Comunque non c'era il rischio che qualcuno venisse a disturbarmi. Con tutte le belle ragazze nessuno avrebbe notato me, per mia fortuna. Non avevo voglia di muovermi a caso sulla pista da ballo, per niente. Il mio equilibrio non era dei migliori, e poi non sapevo ballare.

E comunque nessuno voleva ballare con me, quindi inutile porsi il problema.

Chiamai la barista, che mi domandò come fosse il cocktail. Io le risposi con la verità:<<È fantastico>> dissi.

<<Potrei avere un Angelo Azzurro, per favore?>>

Quella sera mi andavano i cocktails blu.

Lei mi sorrise di nuovo, mentre annuiva con la testa e i lunghi capelli castani le si scuotevano sensualmente. Poteva essere una delle ragazze più belle che avessi mai visto. Anzi, quasi di sicuro lo era.

Una vocina nella mia testa mi diceva che dovevo smetterla di bere, anche perché ero andata fin lì in auto e non potevo rimettermi alla guida ubriaca.

La invitai gentilmente a farsi i cazzi suoi, una volta tanto.

La barista tornò col mio cocktail, e io le appoggiai i soldi sul bancone, lasciandole anche una bella mancia nonostante il rimprovero della mia coscienza.

Afferrai l'Angelo Azzurro con entrambe le mani e ne bevvi il contenuto tutto in un colpo, praticamente.

Forse, adesso, la me più giovane non si sarebbe più vergognata se mi avesse vista.

La barista tornò a ritirare il bicchiere vuoto, continuando a sorridere. Sembrava che non smettesse mai.

<<Posso chiederti come ti chiami?>> le chiesi, mentre l'alcol abbassava lentamente le mie barriere di inibizione.

Forse sono un po' ubriaca, pensai.
Il sorriso della barwoman si allargò, gli occhi scuri luccicarono :<<Mazikeen Smith>> rispose <<Per gli amici Maze>>.

<<Bel nome>> le sorrisi anche io:<<Io sono Jennifer Bianchini. Ma tutti mi chiamano Jen...o Jenny>>

<<Senti Jenny, che ne dici se ci beviamo qualcosa insieme?>> mi domandò lei.

Aggrottai le sopracciglia.

Non ero troppo stabile, quindi mi sedetti su uno sgabello.

<<Pensavo che stessi lavorando...>>
Non si dovrebbe bere sul turno di lavoro, giusto?

<<Oh, sì!>> esclamò lei per sovrastare il pompare della musica :<<Ma lo vedi quel ragazzo laggiù?>>

Indicò un tizio che stava dietro il bancone come lei, alto e biondo, che stava preparando un paio di Negroni sbagliati per due ragazzi.

<<Sì>> dissi.

<<Per qualche minuto può cavarsela senza di me!>> esclamò Maze.

<<Che cosa bevi, darling?>>

Non lo sapevo bene, cosa volevo. In verità, sapevo che dovevo smetterla di bere, ma non ne avevo voglia.

<<Scegli tu, Maze. Immagino tu sia un po' più esperta di me>>

Il solito sorriso della ragazza si allargò, orgoglioso, e lei si allontanò per fare i cocktails.

In attesa che tornasse chiusi gli occhi, rilassandomi. L'alcol si faceva sentire.
Maze fece la sua comparsa davanti a me pochi minuti dopo. Teneva in mano due Negroni, col loro classico colore rosso e la fettina d'arancia.

<<Mi sembra di capire che sei italiana, darling. Spero che questo ti faccia piacere>>

<<Mi farà piacere di sicuro, Maze. Grazie mille>>

Mi guardò con uno sguardo negli occhi scuri che sembrava dire:<<Non c'è di che, darling".

<<Al mio tre, beviamo tutto d'un sorso, eh!>> non sapevo perché l'avessi detto.

Maze ridacchiò :<<Non sei per niente male, sai?>>

<<Idem>> ussurrai io, mentre entrambe scolavamo il nostro Negroni.

<<Bene, Jenny. Avrei una proposta da farti...>> Il suo tono di voce era basso e sensuale.

<<E sarebbe?>>

Maze si avvicinò ancora di più a me, sporgendosi sul bancone e leccandosi le labbra.

<<Non ti andrebbe di venire su con me, nella mia camera da letto?>>
mi sussurrò all'orecchio.

Ci misi qualche secondo per capire il senso della frase, intontita com'ero dai cocktails, ma alla fine ci arrivai.
Alzai le sopracciglia.

Ero lusingata di interessare ad una ragazza così bella, ma proprio non potevo darle ciò che desiderava.

<<Maze, mi dispiace, ma...>> non era semplice mettere insieme una frase di senso compiuto <<Non sei il mio tipo>>
<<Cioè, le ragazze in generale, non sono il mio tipo>>

Maze si raddrizzò, vagamente delusa, e mi sorrise con cordialità :<<Non c'è niente di male, darling, a sperimentare, una volta tanto>>

<<Non stasera>>

<<Come non detto>> si rassegnò lei, appena prima di allontanarsi per tornare a servire i clienti.

Provai ad alzarmi dallo sgabello, ma la testa che mi girava e le gambe non tanto stabili mi suggerirono che avrei fatto meglio a stare seduta ancora per qualche minuto.

Sì, decisamente.

Guardai l'orologio che avevo al polso. Era l'una e trentanove.

E io ero ubriaca. E non potevo mettermi alla guida per tornare a casa.

E tra poco più di cinque ore sarei dovuta andare al lavoro.

Quanto potevo essere stupida?

Tanto, in effetti.

Non che gli altri avventori del Lux fossero messi meglio di me.

All'improvviso mi misi a ridere ad alta voce, facendo addirittura fatica a smettere.

Maze riapparve nel mio campo visivo quasi all'istante, appoggiandomi le mani sulle spalle :<<Ti senti bene?>> domandò, guardandomi con attenzione.

<<Dovrei andare a casa, ma non posso mettermi alla guida in questo...così>>

<<Infatti, non puoi>>

Mi faceva piacere che si preoccupasse per me. Magari stava solo fingendo interesse, ma mi faceva piacere in ogni caso.

<<Puoi sempre restare qui fino a domani mattina, finché non ti sentirai un pochino meglio. Tanto ci sono io che controllo la situazione>>

<<Grazie, Maze, però io dovrei davvero tornare a casa. Domani devo andare al lavoro alle sei. Dovrei proprio andare a casa subito>>

La ragazza di fronte a me aggrottò leggermente le sopracciglia scure, mentre lucidava un bicchierino da shot con uno straccetto logoro.

<<Vorrei proprio accompagnarti io>> disse infine <<Ma non posso mancare per così tanto tempo. Se per te non è un problema, penso che Lucifer Morningstar potrebbe portarti a casa>>

Alzai le sopracciglia, ricordandomi che se ero lì, al Lux, era proprio per il suo proprietario.

<<Conosci Lucifer?>>

<<Sì, da miliardi di anni>> rispose lei, allusiva.

Senza aggiungere altro chiamò il suo aiuto barista, il tizio che avevo visto poco prima, e gli chiese qualcosa. Il mal di testa martellante che sentivo nelle tempie coprì le sue parole.

Il ragazzo si allontanò, iniziando a salire una rampa di scale a chiocciola che portava al piano di sopra.

Maze parve accorgersi della mia espressione confusa, e pensò bene di chiarirmi le idee:<<Sta andando a chiamare Lucifer>> mi spiegò <<Sperando che non sia troppo occupato con le Brittany>>

Feci una smorfia, immaginando senza fatica a cosa Maze si riferisse.

Intanto, senza che me ne fossi accorta, lei si era allontanata. Strano che non mi fossi accorta di dov'era andata. Avevo avuto un momento di black out?

Cazzo

Tenni gli occhi chiusi per vario tempo.
Non sapevo dire per quanto perché l'alcol sfasava tutto, e nel frattempo mi appisolai quasi di sicuro.

Quando mi svegliai del tutto guardai l'orologio: le due meno sette.

Cazzoooo

Pochi secondi dopo entrò nel mio campo visivo un uomo alto e ben vestito.

Mi girai piano, con attenzione, e Lucifer Mornistar mi sorrise nel suo completo blu notte firmato Gucci.

<<Salve, signorina, come si sente, in questa magnifica serata?>> mi domandò, piegandosi su di me. Provava a non scoppiare a ridere, forse per non essere troppo sgarbato, e ciò dicendo mi porse il braccio.

Io gli rivolsi uno sguardo ironico, per quanto potei, e mi tirai su aggrappandomi a lui.

<<Sono stata meglio>> risposi, mentre, sempre senza staccarmi da lui, ci avviavamo verso l'uscita del Lux.

<<E dire che avevi detto che i nightclubs non ti piacciono... Pensa se invece ti piacevano!>>

E poi si mise a ridere vedendo che rischiavo di inciampare in un bicchiere di plastica abbandonato sul pavimento.

<<Divertente, Lucifer. Sei davvero uno spasso>>

<<Grazie, me lo dicono in tanti>>

<<Voi non siete un gentiluomo...>> sussurrai tra me e me, citando Via col Vento, uno dei miei film preferiti in assoluto. Non stavo parlando con nessuno in particolare, stavo solo dando voce ai miei pensieri.

Un mix di stanchezza e alcol.

Lucifer Morningstar si mise a ridere ancora più di gusto :<< E voi non siete una signora>> rispose <<Non è un titolo di demerito: le signore non mi hanno mai interessato>>

Mi misi a ridacchiare anche io, per la scoperta che avevo appena fatto : Lucifer Morningstar sembrava avere una buona cultura cinematografica.

Che sorpresa.

<<Sai, Jennifer, se devo essere del tutto onesto con te, Clark Gable è sopravvalutato>>

<<Ma cosa dici?!>> lo rimbreccai io.
Stava dando ad uno degli attori più
affascinanti di sempre, nonché alla cotta della bambina di sette anni che era in me, del sopravvalutato.

<<Clark Gable era fantastico>>

<<Beh>> disse lui <<Era un bravo attore, ma come compagno di bevute lasciava a desiderare>>

<<Oh si, certo. Immagino. Bei tempi andati quanto tu e Gable bevevate insieme...>>

Va bene che io ero ubriaca, ma lui no, lui diceva cose senza senso anche da sobrio.

<<Come ho detto, cara, lui era praticamente astemio. Beveva pochissimo. Una noia che non ti dico, uscire con lui>>

L'aria notturna mi investì in pieno non appena ci ritrovammo fuori  dall'edificio.

<<Aspettami qui>> mi disse Lucifer, liberandosi con delicatezza dalla mia presa.

Strizzai gli occhi.

<<Dove vai?>>

<<A prendere la mia macchina>>

<<No no, meglio di no... Cioè, voglio avere la mia macchina già da domani mattina, per...>>

Mi zittì di colpo, interdetta. Non mi ricordavo più cosa stavo dicendo.

Il vuoto più totale.

<<Va bene>> disse Lucifer riprendendomi sotto braccio <<Ma facciamo in fretta... Al momento non mi va di portarti in spalla>>

Lo guardai di traverso:<<Non sono così ubriaca, in fin dei conti>>

<<Dopotutto penso che sia meglio prendere la tua macchina: non vorrei che mi vomitassi sulla pelle dei sedili>>

<<Che eleganza...>> farfugliai.

Mi sarei di sicuro sentita in imbarazzo davanti a Lucifer per la mia umile macchina usata, se solo fossi stata abbastanza sobria da pensarci.

Lui non dette segnali di disagio, limitandosi ad allungare la mano aperta nella mia direzione

<<Le chiavi, prego>> disse.

Mi frugai per una ventina di secondi buoni nella borsetta che portavo a spalla, prima di trovarle e consegnarle al mio "accompagnatore".

Lucifer aprii la portiera del guidatore, tirando un po' indietro il sedile per stare più comodo, mentre aspettava con pazienza che mi sedessi nel posto a destra del suo.

Per non rischiare di cadere e di scatenare così l'ilarità di Lucifer mi appoggiai con una mano alla mia auto, mentre facevo tutto il giro fino al sedile del passeggero.

Una volta che fui seduta comoda, legata, ed ebbi chiuso la portiera, potei tirare un sospiro di sollievo.

<<E, per la cronaca, non sono affatto contenta di vederti al voltante della mia auto>>

Lucifer ridacchiò - di nuovo! Sembrava che ridacchiare fosse l'unica reazione che fosse in grado di avere - e mise in moto.

<<Se la mettiamo così sappi che io, per riportare a casa te, ho rinunciato ad un....ehm... giochino con Brittany numero uno, due e tre>>

Tipico.

<<Maze lo sospettava>> farfugliai tra me e me, appoggiando la tempia al finestrino gelato, mentre le vie di LA viaggiavano di fianco a me a circa cinquanta chilometri orari.

<<Hai conosciuto il mio demone personale, vedo. Beh, lei ha ragione una volta sì e l'altra pure. Dev'essere una cosa che ha preso da me, sai, stando a contato col sottoscritto per millenni>>

Mi stiracchiai sul sedile, la vista annebbiata dalla stanchezza.

<<Cos'è, tipo la tua ragazza?>>

<<No>> rispose Lucifer, divertito <<Non direi proprio. È più tipo quella che mi salva il culo quando ne ho bisogno>>

Scoppiai a ridere.

Ero io adesso ad essere divertita, adesso.

<<No, perché sai, ha provato a convincermi ad andare a letto con lei, quindi->> risi di nuovo <<Sarebbe stato strano se foste stati fidanzati>>

<<Proprio tipico di lei. Per la verità mi sorprendere che non ci sia riuscita...>>

Mi schiarii la gola :<<Sono etero>> mi limitai a dire.

<<Non che questo abbia mai fermato Mazikeen Smith>>

Il silenzio calò tra di noi. Forse perché ero stanca come non lo ero mai stata in vita mia, forse perché avevo bevuto troppo e non sapevo come portare avanti la conversazione. O forse, forse, mi stavo solo biasimando per la mia vita sessuale che negli ultimi anni non era stata proprio attiva.

Mi tappai la bocca con la mano per non scoppiare a ridere di nuovo, guadagnandomi un'occhiata interrogativa dal guidatore.

<<Sai la strada?>>

<<Sì, e me la ricordo bene, non preoccuparti>>

Ricadde il silenzio.

Non dicemmo più una parola finché non parcheggiò la macchina al suo solito posto davanti al mio palazzo, e si allungò per aprirmi la portiera.

<<Grazie mille>> lo ringraziai.

<<Non c'è di che, cara>> mi rispose Lucifer, alzando ed abbassando le sopracciglia scure <<Adesso però che il Diiavolo ti ha fatto un favore, tu sei in debito con lui>>

Alzai gli occhi al cielo, esasperata, ed ebbi un violento giramento di testa.

<<Lucifer, in teoria... Ma solo in teoria, un favore si definisce tale quando chi lo fa non si aspetta di ottenere nulla in cambio>>

<<Ma i favori del Diavolo si pagano cari, Jennifer, pensavo lo sapessi>>

I suoi occhi scuri, ipnotici, sembravano invitarmi ad avvicinarmi al loro possessore.

Così come le sue labbra.

<<Ci sto>> dissi infine.

<<In che senso,"ci sto" ?>> mi chiese.

<<So che ti piacciono gli accordi, Lucifer, perciò ti accontento: voglio fare un accordo>>

L'alcol stava iniziando a parlare al mio posto.

<<Bene, Jennifer... Dimmi, cos'è che desideri veramente?>>

Le sue pupille scure splendevano come diamanti nel cuore della notte.

<<Non c'è bisogno che usi il tuo trucchetto, anche perché sai che con me non funziona. Te la faccio io una proposta: dimmi la verità sul perché hai deciso di accompagnarmi a casa invece di restare a divertirti con le tue amiche, ma soprattutto perché hai accettato stanotte, mentre ieri hai rifiutato di farlo>>

<<E io cosa otterrei, se accettassi?>>

Feci finta di pensarci su per qualche secondo, anche se in verità sapevo bene che risposta dargli :<<Scegli tu. Chiedi una cosa qualunque>>

<<Bene>> disse lui, mentre mi stringeva la mano <<Affare fatto, cara. Non so quanto ti convenga firmare un assegno in bianco al Diavolo, ma gli affari sono affari, no? Se proprio ci tieni a saperlo, ieri ho avuto davvero un problema al Lux che dovevo tornare a risolvere, e poi... Beh, non capita spesso che qualcuno resista al mio trucchetto - come lo chiami tu - e sono rimasto un po' scosso. Del resto, tu mi piaci. Mi stai simpatica, insomma. Non che io ti conosca granché, ma mi incuriosisci, in un certo senso>>

Mi passai una mano sul viso, solo per poi pentirmene, temendo di aver sbavato il mascara.

<<Ti incuriosisco? Tipo esperimento scientifico?>>

<<No>> si affrettò a smentire lui <<Quello che voglio dire è che non mi è mai capitato di frequentare gente come te, ecco tutto. Sai, non ho mai frequentato davvero nessuno che non fosse miliardario. A parte la Detective, ma con lei è diverso>>

<<Ah>> sbadigliai per l'ennesima volta
<<E per la tua parte del patto, cos'è che desideri tu?>>

<<Per adesso niente, cara: terrò la mia richiesta in serbo per i prossimi giorni>>

Lo fissai, interdetta, chiedendomi per un attimo se non avessi capito male.

<<Quindi nessuna richiesta ambigua riguardante l'accompagnarmi fino a su in casa, niente del tipo : "dovrai partecipare ad una sexchat di gruppo una volta alla settimana per i prossimi sette secoli" ... Niente del genere?>>

Lucifer si mise a ridere, riconsegnandomi le chiavi dell'auto.

<<No, cara, per stanotte puoi tirare un sospiro di sollievo. Ripensandoci, se proprio insisti posso accompagnarti fino alla porta, perché non sono molto sicuro che tu sia in grado di centrare il buco della serratura, ora come ora>>

Ciò detto uscì dall'auto e richiuse la portiera dietro di sé, per poi aiutarmi a farlo a mia volta.

Quando fui ben stabile sui miei piedi lui mi lasciò andare, e, mentre chiudevo la macchina, tirò fuori dalla tasca un accendino e si accese una sigaretta.

Feci una smorfia di disgusto mentre il suo odore acre mi arrivava alle narici.

<<Sei veramente un comico nato, Lucifer. Complimenti. E buonanotte>>

Mi stavo già avviando verso la porta di casa, quando lui mi chiamò.

Mi girai piano per non rischiare di perdere l'ecquilibrio:<<Che c'è ancora?!>> esclamai.

<<Quindi sei sicura di non aver bisogno d'aiuto per salire le scale?>> domandò, non appena prima di scoppiare a ridere.

<<Buonanotte, Lucifer>> ripetei, sorridendo tra me e me.

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