Capitolo 3.

Sentivo il cuore che batteva all'impazzata, quasi come se spingesse per uscirmi dal petto. Quello sconosciuto non sembrava intenzionato ad andarsene, ed anzi, aveva persino preso una sigaretta e stava frugandosi in tasca in cerca dell'accendino.

Rimasi immobile, trattenendo il fiato e aspettando il momento in cui la sua fiamma avrebbe illuminato il viso di quell'uomo.

La luce rese visibile la figura dello sconosciuto per pochi secondi, ma tanto bastò per rendermi conto che lo conoscevo.

Che cosa ci fa lui qui?

Perché Lucifer Morningstar mi stava aspettando davanti a casa mia con aria da stalker, ma soprattutto come aveva fatto a scoprire dove abitavo?

Un brivido mi corse giù per la schiena.

Uscì dalla macchina senza più esitare, dirigendomi a passi decisi verso il signor Morningstar, il quale non diede segno di notarmi finché non gli fui davanti al naso.

<<Lucifer, cosa diavolo ci fai qui?!>>
Il mio tono di voce era amaro.

Lui posò i suoi occhi magnetici su di me, sorridendo :<<Beh, sono venuto a trovarti Jennifer>> disse, e poi aggiunse :<<Non sei contenta?>>

Sospirai, esasperata. Poi però mi ricordai che l'individuo sexy di fronte a me era convinto di essere il Diavolo, e già solo questo diceva tutto sulla sua sanità mentale.

<<No, Lucifer, non sono contenta...E poi come hai fatto a sapere dove abito?>> incrociai le braccia sul petto, in attesa di una risposta. Indecisa se chiamare subito la polizia o se prima tirargli un calcio nelle parti basse.

<<Per il Diavolo procurarsi un indirizzo è un gioco da ragazzi, non credi?>>

Ancora con questa storia del Diavolo.

<<Guarda che sono seria>>

<<Anche io>> mi rispose lui, il solito sorriso ad illuminargli gli occhi : <<Mi è bastata una chiacchierata con la titolare del ristorante in cui lavori, et voilà... Les jeux sont fait>>

Qualcosa nel suo sguardo mi diceva che non si era limitato ad una semplice "chiacchierata", con la signora Mills.

<<E ditemi, di grazia, come avreste fatto a scoprire dove lavoro?>>

Lucifer assunse un'espressione divertita, e anche vagamente tronfia
:<<Sai, Jennifer, quando mezza Los Angeles ti deve un favore è piuttosto facile ottenere le informazioni che desideri>>

Ero davvero stanca e non vedevo l'ora di entrare in casa mia. In più le sue risposte enigmatiche da bellimbusto iniziavano a darmi davvero sui nervi.

<<Quindi, vediamo se ho capito bene>> dissi io col tono di voce più tagliente e sarcastico che mi veniva :<<Tu credi di essere il Diavolo in persona, ma nel tempo libero ti piace giocare anche a fare il Padrino?>>

<<Io non credo di essere il Diavolo : io sono il Diavolo. E non è colpa mia se Francis Ford Coppola si è ispirato a me per il suo personaggio più famoso>>

Ah, bene. Un pazzo nevrotico con manie di protagonismo.

<<Ma certo>> commentai ironicamente <<Come ho fatto a non pensarci prima?
Ora mi fai entrare in casa mia, o devo chiamare la polizia?>>

<<Prego>> mi rispose, spostandosi di lato e lasciandomi libera l'entrata del condominio, con un movimento aggraziato. Infilai le chiavi nella serratura e aprii la porta, impaziente di ritrovarmi sotto la doccia, senza più lo sguardo di Lucifer a trapassarmi la schiena.

<<Posso salire?>>

<<Lucifer, torna a casa!>> esclamai.

<<Okay, lo prenderò come un sì>>

Avevo già quasi superato la porta d'ingresso, ma nell'udire quelle parole mi voltai indietro, piuttosto irritata.

<<No, forse tu non hai capito! Quando dico che devi tornare a casa, intendo che devi muovere il culo e andartene. Velocemente!>>

A quelle parole Lucifer si arrestò, interdetto, e aggrottò appena le sopracciglia scure.

<<Tu non vuoi che io salga?>>

<<Vedo che inizi a capire>>

<<Strano... >> lo senti sussurrare appena prima di chiudergli la porta in faccia.

Quella mattina i clienti della Donut furono davvero pochi. Benché la tavola calda in cui lavoravo vantasse una posizione piuttosto visibile al lato della strada, non venne quasi nessuno.

Da quando ero impiegata lì - quasi quattro anni, ormai - mi era capitato di rado di avere così pochi avventori.

Il che era un male per il mio portafoglio ma un bene per la mia salute mentale e fisica. Non volevo ammetterlo a me stessa, ma la decisione di non andare più dalla psicologa mi pesava. Per non parlare poi dei miei due incontri col signor Morningstar. A metà mattinata mi accorsi che pensavo a lui più del dovuto, visto che con ogni probabilità era un pazzo o uno stalker.

O entrambe le cose.

Era quasi mezzogiorno quando finalmente finii il mio turno e potei rimettermi in macchina per tornare a casa. Mentre guidavo mi misi a canticchiare un motivetto allegro a fior di labbra, senza quasi rendermene conto, mentre il sole di metà giugno batteva sui finestrini della mia auto. Il "relax" di quella mattina mi aveva proprio risollevato l'umore.

Tutto sembrava andare per il verso giusto per una giornata, tanto che stavo già iniziando a pregustare il panino al formaggio che avrei mangiato per pranzo, nonché la morbidezza del mio divano...

Poi l'incantesimo si ruppe. Capii che qualcosa non andava appena girai l'angolo e imboccai la strada che portava a casa mia. Il mio palazzo si trovava circa centro metri più in là, sulla destra, e davanti ad esso erano parcheggiate quattro macchine dell'LAPD (Los Angeles Police Department).

Vari agenti in uniforme scambiavano chiacchere concitate nei pressi dell'edificio, e tre di loro si guardavano in giro, tesi, come se stessero aspettando qualcuno.

Nonostante avessi un pessimo presentimento parcheggiai l'auto al solito posto e scesi con noncuranza, chiudendola a chiave.

Senza perdere tempo i tre agenti che avevo notato prima mi vennero incontro. Due uomini sui trent'anni ed una donna sui quarantacinque.

Percepivo dalla loro andatura tranquilla ma sicura che erano esperti nel loro lavoro, e che sapevano quello che facevano.

<<È lei la signorina Jennifer Bianchini?>> mi domandò la poliziotta, storpiando orribilmente il mio cognome.

<<Sì... Sono io>>

Mi tremò la voce mentre parlavo, benché non avessi nulla da nascondere.

<<La prego di venire con noi>> continuò la donna.

Feci senza volere mezzo passo indietro, interdetta e spaventata.

<<Di cosa sono accusata?>>

<<Di niente, signorina. Ma deve venire con noi: dobbiamo solo farle qualche domanda>>

Altro mezzo passo indietro.

<<Riguardo a cosa?>> riuscìì a dire io.

<<Riguardo all'omicidio della signora Anne Rowklins>>

Avrei voluto ribattere qualcosa - qualunque cosa - ma non ci riuscii.

Mi limitai a deglutire e a seguire i due poliziotti in una delle volanti parcheggiate a circa dieci metri alla nostra destra.

Mi sedetti nel sedile posteriore, mentre i due uomini salivano davanti. La poliziotta non venne con noi, il che mi dispiaceva perché la sua figura mi trasmetteva sicurezza.

Tra i sedili posteriori e quelli anteriori c'era una griglia di metallo che li separava, tagliando l'automobile in due.

Questo certo non mi aiutava a restare tranquilla : essere trattata come una criminale mi faceva sentire tale.

Per tutta la breve durata del viaggio mi imposi di rimanere calma, di non iniziare a sudare freddo, di non lasciare che le mie mani tremassero.

Finalmente la mia agonia finì ed arrivammo alla centrale
di polizia, un edificio basso e di un colore grigio slavato.

Anche l'interno aveva le pareti grigie, così come il pavimento e il soffitto.

Seguii i poliziotti attraverso un'enorme stanza in cui donne e uomini lavoravano al computer seduti a delle scrivanie - anch'esse grigie -, poi arrivammo di fronte ad una porta che portava in una stanzetta rettangolare.

Più o meno sei metri per sette, l'unico arredo presente al suo interno era un tavolo di metallo con una sedia da un lato e altre due sedie dal lato opposto.

Una stanza degli interrogatori.

<<Si sieda, prego>> mi disse un dei due uomini che mi avevano accompagnato <<Tra pochi minuti la detective verrà a interrogarla>>

Detto questo i due poliziotti uscirono dalla stanza e si tirarono dietro la porta.
Rimasta da sola ebbi finalmente tempo per pensare.

Non sapevo con chi avessero parlato quegli agenti, ma era irrilevante : chiunque avrebbe detto loro dei miei problemi, se così vogliamo definirli, con la signora Rowkilns.

Essendo lei la proprietaria del palazzo in cui abitavo, ero tenuta ogni mese a pagarle l'affitto, come tutti i condomini, d'altronde.

I veri problemi tra di noi erano iniziati circa due anni prima, quando ormai le pagavo l'affitto da più di ventiquattro mesi. In realtà non le ero mai piaciuta granché fin dall'inizio, probabilmente perché ero italiana, ma dopo quell'episodio era iniziata la vera guerra.

Nei successivi due anni non mi aveva dato un attimo di tregua : sembrava quasi che godesse nel mettere in giro false voci su di me, oppure nel punzecchiarmi se ritardavo di qualche ora il pagamento dell'affitto.

Anne Rowklins era una signora anziana, coi capelli tinti di rosso, sulla sessantina. Eppure si comportava come una
bambina vendicativa di otto anni.

E ora era morta.

Odiavo la signora Rowklins, senza dubbio, e di certo non avrei pianto per la sua morte.

Ma non l'avrei mai uccisa.

Proprio in quell'istante la porta della stanza si spalancò ed entrò una donna sulla quarantina, i capelli biondi legati in una coda alta, con addosso una camicia bianca e dei jeans blu.

Venne a stringermi la mano, poi si sedette di fronte a me e si presentò.

<<Sono la detective Chloe Decker>>

<<Jennifer Bianchini>> sussurrai.

<<Bene, signorina, penso che lei sappia perché è qui: le devo fare qualche domanda riguardo al suo rapporto con la signora Anne Rowklins, la nostra vittima>>

Deglutii a fondo e accavallai le gambe sotto il tavolo di metallo.

<<Com'è...morta?>> domandai.

<<Venti colpi di pistola : diciotto al busto e due alla fronte. Secondo la scientifica il decesso è avvenuto verso le quattro e trenta di ieri notte. Sa dirmi dove si trovava a quell'ora?>>

Mi morsi le labbra, agitandomi mio malgrado sulla sedia su cui ero seduta.

<<Nel mio appartamento. Ero tornata da un'oretta dal mio lavoro e stavo facendo la doccia prima di andare al... mio altro lavoro>>

Jennifer, resta calma, mi dissi.

La Detective annuì leggermente, i suoi occhi chiari mi scrutavano con attenzione, come se riuscissero a leggermi nel pensiero.

<<E immagino che nessuno possa confermarlo...>>

Feci cenno di no con la testa.

<<Sappiamo che lei e la vittima non andavate d'accordo>> continuò la donna di fronte a me <<Anzi, a giudicare da quello che ci hanno detto i suoi vicini, dire che "non andavate d'accordo" è un eufemismo. Vorrei che mi parlasse del vostro rapporto>>.

<<Ho bisogno di un avvocato?>> domandai io, in preda all'ansia. Non potevo permettermi un buon avvocato, neanche uno medio, e avevo come l'impressione che l'avvocato d'ufficio che mi avrebbero assegnato non sarebbe stato il massimo.

<<No>> mi rassicurò la detective :<Non ancora>>

<<Beh>>iniziai io :<< È vero : tra me e Anne non correva buon sangue. Lei mi ha odiata fin da subito, fin da quando ho affittato uno dei suoi appartamenti, quattro anni fa>>

<<E dove abitava in precedenza?>>

<<In Italia>> risposi <<Ed ecco il motivo del suo odio nei miei confronti... Gli italiani non le vanno, cioè non le andavano, a genio. Per niente "

<<Capisco>> asserì la mia interlocutrice, e poi appuntò qualcosa sul fascicolo che aveva aperto sul tavolo davanti a sé <<Ci è stato anche riferito di un avvenimento particolare accaduto tra lei e la vittima, due anni fa...>>

Lasciò la frase in sospeso, invitandomi con lo sguardo a parlarne.

Tanto valeva che fossi del tutto sincera con la detective, perché avevo come l'impressione di avere di fronte una persona dall'intelligenza fuori dal comune, che avrebbe intuito se non le avessi detto la verità.

Feci per iniziare a parlare, ma proprio in quel momento la porta della stanzetta si spalancò di colpo e poi si richiuse dietro l'uomo che era entrato.

<<Scusa del ritardo Detective, ma sono stato impegnato a pianificare il prossimo mega party al Lux, sai, le feste non si organizzano da sole..>>

Non riuscivo a credere alle mie orecchie. Alzai lo sguardo, incredula, e il viso di Lucifer Morningstar entrò nel mio campo visivo. Era vestito con un completo di pantaloni e giacca color crema e aveva addosso delle scarpe lucidate di fresco, che erano sicuramente più splendenti del mio futuro.

Si sedette sulla sedia accanto a quella della detective, sorridendo, molto divertito dalla situazione.

Io lo guardai malissimo, per poi rivolgermi alla donna: <<Cosa ci fa lui qui?>>

Chloe Decker guardò perplessa me e poi lui, a ripetizione, prima di
rispondere :<<Lucifer è un consulente dell'LAPD, nonché mio partner, da quasi un anno>>.

Provai a trattenermi dall'aprire bocca, ma fu più forte di me :<< Mi scusi se mi permetto, ma penso che dovrebbe scegliersi meglio i suoi collaboratori, Detective>>

Chloe Decker rivolse uno sguardo irritato a Lucifer, inarcando appena le sopracciglia e incrociando le braccia.
<<Lucifer, non dirmi che hai fatto sesso anche con lei!>>

<<No!>> esclamai io.

<<Ci ho provato>> asserì lui, rivolgendomi un altro dei suoi sorrisi abbaglianti.

La Detective si limitò a sollevare gli occhi e a sbuffare, per poi tornare concentrata sul suo lavoro.

<<Ritornando al nostro interrogatorio, signorina Bianchini, mi stava per dire cosa è successo tra lei e la vittima>>

Lanciai un'ultima occhiata di traverso a Lucifer, prima di risolvermi a parlare :<< La signora Rowklins aveva un figlio. Si chiamava Max, credo. Non saprei dirlo con certezza, perché ci ho parlato solo una volta, due anni fa, pochi mesi prima che rimanesse ucciso in un'incidente stradale>>

Lucifer si sistemò meglio sulla sedia, incrociando le braccia e dispondendosi all'ascolto :<< E qui le cose si fanno interessanti>> sogghignò.

La Detective si voltò verso di lui e gli riservò un occhiata che mi fece gelare il sangue nelle vene, benché non fosse indirizzata a me.

Io feci finta di non aver sentito e continuai a raccontare:<< Il figlio della signora Rowklins era in macchina con altri due suoi amici. E il ragazzo alla guida aveva origini italiane>> degluti :<< Il fatto di cui vi hanno tanto parlato accadde tre o quattro giorni dopo la sua morte, al funerale>>

Esitai per qualche momento, e Chloe Decker mi guardò invitandomi a finire il mio racconto.

<<Avevo già fatto un grande sforzo per andare al funerale, visto che non entravo in chiesa da anni, e visto che stavo bene così come stavo. In più la signora Rowklins, appena arrivai in chiesa mi mandò via gridando e sostenendo che fosse colpa mia se suo figlio era morto>>

La detective annuì :<<Ti incolpava per la morte di suo figlio, perché sei della stessa nazionalità del ragazzo che era alla guida dell'auto, quando hanno fatto l'incidente>>

Feci cenno di sì con la testa.

<<Ma non l'avrei mai uccisa!>> escalamai :<<Non sono un'assassina, e per quanto odiassi la Rowklins non le avrei mai fatto del male>>

<<Bene>> asserì la detective Decker :<< Direi che può andare, signorina. Ma la prego di non lasciare la città finché non avremo risolto questa faccenda>>

Lucifer, che era stato zitto e fermo fino a quel momento, si sporse in avanti sul tavolo, avvicinandosi a me.

Le nostre mani quasi si toccavano.

<<Sei sicura, Jennifer? Sicura di non essere l'assassina?>> domandò, guardandomi dritta negli occhi.

<<Certo, sono sicura>>

<<E allora guardami, Jennifer>>

Le sue iridi castane catturarono le mie come delle calamite. Anche se avessi provato a distogliere lo sguardo non cel'avrei fatta: era come se le mie pupille fossero fuse con le sue.

Ma non era spiacevole, anzi, era una sensazione paradisiaca. All'improvviso desideravo accondiscendere alle eventuali richieste che Lucifer mi avrebbe fatto.

<<Guardami negli occhi e dimmi cos'è che desideri veramente, più di ogni altra cosa al mondo...>>

Aggrottai le sopracciglia, le labbra improvvisamente secche. Me le inumidii con la lingua, esitando. L'ambiente intorno a me pareva sfocato, tutto, ma non il caldo marrone dei due occhi fissi nei miei.

Desideravo rispondergli.

Ma non dovevo.

Con grande fatica scrollai la testa, distogliendo lo sguardo da quelle due calamite, e mi ricomposi.

<<Desidero solo tornare a casa, mangiare e darmi una rinfrescata>>.

Lucifer abbassò lo sguardo, confuso, e poi mi squadrò con sospetto.

La detective, al suo fianco, sembrava parecchio compiaciuta :<<Sembra che non tutti caschino ai tuoi piedi, Lucifer>>

Lui annuì, ma questa volta non sembrava divertito :<<Sembra proprio che tu abbia ragione>> sussurrò.

Non capivo del tutto la conversazione tra quei due, ma provai lo stesso un senso di orgoglio.

E poi ero libera di tornare a casa.

Mi alzai allontanando la sedia dal tavolo, e sorridendo strinsi la mano alla detective Decker.

<<Grazie di tutto>> le dissi, senza sapere bene di cosa la stessi ringraziando.

<<Di nulla>> disse lei, chiudendo il fascicolo appoggiato sul tavolo e infilandoselo sotto braccio :<<Sai già come tornare a casa?>> mi domandò, dopo avermi allungato un foglietto con scritto il suo numero di telefono.

Cazzo, la mia auto era rimasta davanti al mio appartamento.

Avrei dovuto farmi un'ora di autobus per tornare a casa, forse di più. Sospirai.

<<Prenderò l'autobus, suppongo>>

<<Beh>> disse la donna <<Credo che Lucifer sarebbe più che felice di accompagnarti>>

Sospirai di nuovo, questa volta più forte.

Stavo per chiederle se potesse cortesemente essere lei a portami a casa, al posto del suo partner, ma Lucifer Morningstar mi precedette.

<<Spiacente detective, ma anche se volessi accompagnare la signorina Bianchini a casa non potrei farlo : devo andare. Subito. Impegni urgenti al Lux mi chiamano>>

E senza nemmeno aspettare una risposta uscì di scena, ma non prima di essersi messo a posto il tovagliolo nel taschino della giacca color crema.

-
[Scusatemi del "ritardo" ( un po' più che ritardo visto che non pubblico da più di due mesi)].
Ma ho avuto dei problemi seri e degli impegni con la scuola, visto che faccio un liceo, ed essendo io in terza quest'anno ho cambiato quasi tutti i professori e in + si sono aggiunte anche alcune materie.
Poi con tutta questa storia del Covid - 19, ho avuto ancora più disagi, nonché un problema serio in famiglia.
Quindi onestamente non ho avuto ne tempo ne voglia di postare].
MAAAA prometto che da ora in poi posterò con molta più regolarità.

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