Capitolo 27.

Amenadiel's Pov - mezz'ora prima.

Il giorno precedente, quando Mazikeen mi aveva convocato al Lux preoccupata, avevo temuto il peggio.

Avevo persino chiamato mio fratello Lucifer, cosa che non facevo spesso, a meno che la necessità non me lo imponesse.

Mazikeen stava seguendo una delle sue taglie, un assassino che strangolava le proprie vittime con i lacci delle loro scarpe, quando aveva visto in un bar un uomo che si alzava in piedi come se niente fosse dopo aver ricevuto una coltellata in pieno stomaco.

Io e Linda eravamo andati in panico: i demoni stavano tornando per prendere nostro figlio?

Eppure Maze ed io avevamo risolto il
"problema" rispedendo quell'insulso essere all'inferno. Ma prima Mazikeen l'aveva torturato per scoprire se fosse da solo o meno. Lui aveva detto di sì, che era l'unico.

Aveva mentito.

Mi inginocchiai sul pavimento del mio salotto, con il fiatone.

Quattro cadaveri giacevano scomposamente intorno a me. Il sangue dei corpi umani che quei demoni avevano posseduto fino a poco prima ora macchiava il pavimento di casa mia.

Mi toccai piano una tempia, sussultando.

Era solo un livido, niente di grave.

Ero ancora il combattente di una volta, la nascita di Charlie non mi aveva cambiato più di tanto...

Oh, Charlie!

Volevo tenere in braccio il mio bambino. Non feci caso ai miei vestiti sporchi di sangue rappreso - il sangue dei miei avversari - e salii le scale.

Jennifer si sarebbe sicuramente spaventata vedendomi così, ma avrei trovato una scusa. Avrei detto che quegli uomini volevano uccidermi ed io avevo dovuto colpirli, per autodifesa.

Salii le scale a due a due e ad aprii la porta della stanza di mio figlio:<<Jennifer, tranquilla, so... >> la voce mi morii in gola quando notai che il vetro della finestra era completamente polverizzato.

Alcuni frammenti si trovavano sul pavimento.

No. No. Ti prego, Papà, no.

La culla di Charlie era stata spostata non sapevo da chi, e lì accanto c'era una grossa macchia di sangue secco.

Mio figlio era sparito.

Jennifer era sparita.

Mi lasciai nuovamente cadere in ginocchio e gridai con tutta la forza che avevo.

Calde lacrime iniziarono a rigarmi le guance, mentre il terrore - terrore vero - mi stritolava nella sua morsa ghiacciata.

Avvicinai la mano al sangue sul pavimento: non era di Jennifer. Aveva la traccia inconfondibile che rimaneva sui fluidi corporei di un umano che era stato posseduto.

Scattai in piedi.

Sapevo quanto fossero forti i demoni, quanto fossero veloci, e dei poteri che possedevano. La finestra esplosa ne era una prova.

Ma Jennifer poteva essere riuscita a difendersi e a scappare con Charlie.

Sì sì, doveva essere così.

L'avrei chiamata, e lei mi avrebbe confermato di aver portato via con sé mio figlio, e tutto sarebbe andato bene.

Solo in quel momento notai che c'era un cellulare abbandonato sul pavimento. Fino ad allora non l'avevo visto perché veniva coperto parzialmente dalla culla di Charlie.

Lo presi in mano, tremando. Sì, era quello di Jennifer. Doveva esserle caduto nella colluttazione con il demone, prima di scappare con il mio bambino... O forse il demone l'aveva uccisa - nonostante lei lo avesse ferito - ed aveva preso Charlie.

Non dovevo pensarci. Jennifer stava bene e mio figlio con lei.

Accesi il suo cellulare e aprii la segreteria in cerca del numero di mio fratello. Se c'era qualcuno in grado di dare una punizione ad un demone, quello era il Diavolo.

Lucifer aveva mandato a Jennifer ventisette messaggi di scuse, ma io lo notai appena.

Premetti la chiamata.

Mio fratello rispose subito, come se non aspettasse altro da ore.

<<Non pensavo che mi avresti chiamato>> disse.

<<No... No, Luci, sono io, ascolta... >> non riuscivo a parlare. Avevo il respiro accelerato.

<<Fratello? Ma perché mi hai chiamato col cellulare di Jennifer...?>>

<<Luci, il demone di ieri n-non era solo... Si sono c-c-coalizzati per riprovare a rapire Charlie, e Jennifer, lei era venuta a casa mia per parlare con Linda... Non so dove siano...>> mi passai una mano in testa.

<<Cosa?>> il tono di voce di mio fratello era subito cambiato.

<<Hanno fatto irruzione dalla porta d'ingresso... Io ho chiesto a Jennifer di andare da Charlie, per farla allon-ntanare, perché non vedesse quello che stavo per fare ai demoni...M-ma uno di loro deve essere passato dalla finestra, ed ora lei e Charlie sono... >>

Non riuscii a continuare. Scoppiai di nuovo in lacrime.

Se quel maledetto demone aveva riportato mio figlio all'Inferno mel'avrebbe pagata cara... Altroché del Diavolo, avrebbe dovuto avere paura di me, il Figlio Prediletto di Dio.

<<Arrivo>> disse Luci con un filo di voce.

Sapevo che c'avrebbe messo pochi minuti ad arrivare volando, forse ancora meno.

E se ero certo che mio figlio fosse vivo in ogni caso, sapevo che se era stato preso dai demoni dovevano aver ucciso Jennifer, prima.

E poi avrebbero usato il suo corpo senza vita per farlo possedere ad un altro demone infernale. Era così che facevano... Il loro modus operandi era quello.

Se Jennifer fosse morta... Stavo male all'idea di quanto mio fratello avrebbe sofferto.

Nonostante ciò che Luci le aveva fatto, ero certo - così come avevo detto anche a lei - che ci tenesse molto.

Proprio in quel momento una ventata d'aria mi informò che Lucifer era arrivato.

Alzai il volto. Aveva addosso un elegantissimo tuxedo, i capelli scompigliati e gli occhi spiritati.

In braccio a lui c'era la Mamma, avvolta in un lungo vestito grigio. Doveva aver insistito per venire.

Lei mi venne subito ad abbracciare ed io mi abbandonai al suo tocco, tra le sue braccia.

Lucifer si guardava intorno senza posa, soffermandosi alla fine sulla macchia di sangue sul pavimento.

<<Non sarà...?>>

Io scossi la testa:<<È contaminato da una traccia demoniaca... Non è di Jennifer>>

Mio fratello prese in mano una lampada da terra - abbandonata in un lato della stanza - che aveva il fondo sporco di sangue.

<<Deve averla usata per difendersi...>> lo sentii sussurrare, con gli occhi pieni di lacrime.

<<Dov'è la sua macchina?!>> gridò, venendo verso di me e scansando la Mamma.

<<N-non è qui fuori?>> gli chiesi.

Lui scosse la testa mentre una profonda ruga d'ansia gli segnava la fronte:<<No, non c'era quando sono arrivato... Magari l'ha usata per scappare... Massì, dev'essere andata così!>>

Sapevo che non provava affatto la sicurezza che ostentava. L'ansia per quella ragazza gli faceva tremare i polsi.

<<Lucifer, figliolo, non dovresti chiamare quella tua amica, la detective... Donny? Com'è che si chiamava?>>

Gli occhi di Luci divennero rosso fuoco:<<Tu sta' zitta, mamma! Hai già fatto abbastanza danni per stasera... Se tu non mi avessi dato quello stupido bacio in bocca, così all'improvviso, Jennifer sarebbe rimasta con me!
Ed ora non...>> deglutì, liberando la sua faccia da Diavolo rossa.

È lei la donna che Jennifer gli ha visto baciare, quindi. Mio fratello non l'ha tradita come pensava.

Ma forse ora non ha più importanza. Per colpa mia.

<<Ho chiamato Mazikeen, dovrebbe arrivare da un momento all'altro>>mi disse poi, appoggiandomi una mano sulla spalla.

Io gli porsi il cellulare di Jennifer, pensando che dovesse tenerlo lui in ogni caso.

Lui annuì piano nella mia direzione, quasi a mo' di ringraziamento.

<<Io vado!>> esclamò, asciugandosi le lacrime e spiegando le ali candide:<<Voi cercateli pure tutti insieme>> disse <<Ma il Diavolo lavora da solo>>

<<Lucifer, aspetta!>> gli gridò dietro la mamma, ma lui era già volato fuori e tra poco sarebbe svanito alla nostra vista.

Lucifer's Pov

Dromos.

Quella traccia infernale nel sangue non mi lasciava dubbi sul demone che stavo cercando.

Non mi sarei limitato a rimandarlo all'inferno quando l'avrei trovato, l'avrei distrutto completamente.

Avrei chiesto in prestito a mia sorella, l'Angelo della Morte, la sua spada, e sarebbe stato come se quel lurido verme non fosse mai esistito.

Già una volta aveva provato a rapire mio nipote per farlo re dell'Inferno al posto mio, ma adesso si era spinto troppo oltre.

Sarebbe stato meglio per lui che Jennifer stesse bene.

Non potevo pensare all'evenienza che fosse... Morta. Che fosse stata uccisa da un demone. Per colpa mia.

No.

Era viva.

Se così non fosse stato...

Atterrai sul tetto di un palazzo di quattro piani e ritrassi le ali nelle spalle.

La rabbia, il disgusto e la paura mi facevano vedere più chiaramente.

Avvertivo la scia che il corpo umano posseduto da Dromos aveva lasciato. Era passato di lì da pochi minuti.

Aprii nuovamente le ali per planare fino al cemento bagnato della strada sottostante.

Ero arrivato in uno dei quartieri più malfamati di Los Angeles. Lì ci venivano solo i criminali, gli spacciatori e la gente losca.

Persino la polizia aveva paura di entrarci, ed infatti le retate erano molto rare.

Un paio di tossici seduti contro una vetrina spaccata di un ex negozio di profumi guardarono con avidità il mio completo elegante, ma per loro fortuna non si azzardarono ad avvicinarsi.

Seguii la "puzza" di Dromos fino ad una specie di bed and breakfast decrepito, circa un quartiere più in là, che aveva l'insegna così rovinata da non poterne più leggere il nome.

Vi entrai di botto sbattendo la porta, e tutti gli avventori si girarono a guardarmi. Donne e uomini dall'aspetto più che trasandato: erano tutti sudici, con addosso vestiti rovinati o fuori misura. Quelli seduti al tavolo più vicino a me mi sorrisero, mettendo in mostra un paio di file di denti gialli e rovinati.

Erano palesemente strafatti ed uno dei due fumava una sigaretta arrotolata male.

Non potevo credere che mio nipote - un bimbo di nemmeno un anno - e Jennifer fossero stati portati un posto del genere.

Dovevo trovarli in fretta.

Mi avvicinai al bancone - un pezzo di legno malamente levigato - e mi sedetti su uno sgabello che scricchiolò sotto il mio peso.

Dietro ad esso stava una ragazza tarchiata che aveva lunghi capelli rossi, palesemente tinti, e due grandi occhi chiari che mi scrutavano con disprezzo.

<<Che vuoi, damerino?>> mi chiese, sorridendo, divertita dal contrasto tra quel luogo fatiscente e i miei bei vestiti:<<Dovresti stare attento ad andare in giro così, di notte... Non vorrai mica rovinarti quel bel farfallino, giusto?>>

Mi trattenni dall'afferare quella donna spregevole per la canottiera sgualcita che indossava ed obbligarla
a dirmi quello che volevo sapere.

<<Cerco una persona>> le sussurrai, piegandomi in avanti e sorridendole.

Di solito con le donne funzionava. E anche con gli uomini, a dirla tutta.

<<Ah sì? E chi è la fortunata?>> mi chiese la barista, accendendosi una sigaretta.

Cosa potevo dirle perché non si insospettisse?

<<Cerco un mio amico, tesoro>> le risposi io, facendo tutto il carino <<Se l'hai visto ti sarà parso piuttosto dolorante, di circa mezza età... Magari con una benda in qualche parte del corpo>>

Ero certo che Dromos avesse preso possesso del corpo di un uomo, perché non gli piaceva l'idea del "cambio di sesso durante la possessione", come diceva lui.

<<Potrei anche averlo visto... >> sussurrò, leccandosi le labbra coperte di rossetto rosso.

<<Facciamo un patto>> stavo iniziando a perdere la pazienza <<Dimmi dove posso trovare quest'uomo e io ti darò... Beh, quello che desideri più di tutto>>

La barista inarcò le sopracciglia, il suo sorriso si allargò:<<Affare fatto, damerino>>

Le sorrisi anche io:<<E allora guardami>> mormorai <<E dimmi cos'è che desideri veramente... Più di qualunque altra cosa... >>

I suoi occhi grigi furono immediatamente catturati dai miei, la vidi deglutire con forza ed esitare.

Interessante. Quella ragazza era più complessa di quanto non apparisse esteriormente.

<<Io...I-io..>> alla fine cedette anche lei <<... Desidero poter andare via da questo posto orribile... Sai, ho un figlio di pochi anni, e davvero vorrei potergli dare una vita migliore di quella che ho vissuto io fin'ora, lontano da questo inferno>>

<<Ma certo>> le dissi <<Vuoi andare via da qui, e chi non lo vorrebbe, dopotutto?>>

Lei annuì, vagamente sorpresa di avermi rivelato il suo segreto più nascosto.

<<Facciamo così: tu dimmi dov'è l'uomo che cerco - perché so che è stato qui - ed io ti offro un appartamento vicino al centro di Los Angeles ed un lavoro come barista nel mio nightclub, il Lux>>

Lei mi rivolse un'occhiata in tralice:<<Ma fai sul serio?>>

Io anuii, portandomi una mano al petto:<< Sono un diavolo di parola>> risposi, e le porsi un sul quale c'era scritto il mio numero di cellulare.

<<Va bene>> mi disse lei <<L'uomo che stai cercando è arrivato qui circa quattro o cinque minuti prima di te, ha barcollato un po' in giro ed ha prenotato una stanza per questa notte. Aveva una fasciatura sulla spalla, che tra l'altro era fatta malissimo. Ha chiesto di non essere disturbato... Ora che ci penso portava una grossa sacca. dalla quale proveniva un pessimo odore. Davvero, davvero orribile>>

Oh no.

L'ultima frase mi fece tremare il cuore.

<<Che stanza?>> domandai.

<<La due>> ed indicò con la testa una porta che da quel locale dava presumibilmente sulla parte "bed" del bed and breakfast.

Mi fiondai giù dallo sgabello e in pochi secondi fui davanti alla stanza numero due.

Presi un respiro profondo e con un movimento veloce scardinai la porta.

<<Jennifer!>> la chiamai con il cuore in gola <<Jennifer, sei qui?>>

Nessuna risposta. Avrebbe potuto essere morta per allora, o essere ferita troppo gravemente per parlare.

I demoni non disdegnavano la tortura, soprattutto se la vittima era un uomo o una donna giovane ed in salute.

Serrai i denti, imprecando mentalmente.

La prima stanzetta che mi ritrovai davanti era un bagno, ma la porta era chiusa a chiave. Da lì dentro proveniva una puzza acre e disgustosa, come di un... Cadavere.

Mi coprii la bocca con una mano, mentre con l'altra spaccavo la maniglia e ad aprivo la porta.

No. No. No.

Sul pavimento c'era il corpo di una ragazza che poteva avere più o meno l'età di Jennifer, ma era difficile dirlo viste le innumerevoli bruciature, tagli e graffi che la ricoprivano.

Il panico mi chiuse la gola per una manciata di secondi, finché non notai che in un angolo del bagno erano buttati alla rinfusa una maglietta nera, una gonna di jeans e delle zeppe rosse.

Tirai un sospiro di sollievo. Quelli non erano i vestiti di Jennifer, perciò la ragazza lì per terra non era lei.

Povera donna, doveva essere morta tra atroci tormenti.

Dromos doveva essersi divertito parecchio. Le aveva persino tolto i vestiti per torturarla meglio, un'altra usanza tipica dei demoni.

Gliela avrei fatta pagare anche per quello.

Uscii dal bagno e mi ritrovai di fronte ad una piccola stanza da notte.

Nel lettino, contro una parete, dormiva un ragazzo con i vestiti scoloriti e con una grossa fasciatura sulla spalla.

Era lui. Piccolo, sporco demone...

Lo scrollai forte per diversi secondi, finché non aprì gli occhi.

<<Ci incontriamo di nuovo, caro Dromos!>>

Provò ad alzarsi e fuggire ma io lo afferrai per la camicia, immobilizzandolo contro il muro.

<<Ehy, come va, amico?>> mi disse, sorridendo come se niente fosse. I miei occhi divennero rossi senza che potessi farci nulla.

<<Loro dove sono?!>> gridai.

Dromos serrò le labbra.

<<Parla! E fallo in fretta!>>

Lui sorrise beffardo ed un brivido di terrore mi scosse.

<<Davvero vuoi saperlo, mio Re?>> mi guardava con disprezzo.

<<Parla...>> ma un leggero tremolio del mio labbro inferiore tradì la paura che mi agitava.

Dromos mi sorrise, passandosi la lingua sulle labbra:<<Charlie stava bene, l'ultima volta che l'ho visto... Adesso dovrebbe essere con i miei compagni, da qualche parte lontano da Los Angeles... Presto lo porteranno all'Inferno... Se già non l'hanno fatto>>>

Deglutii, incapace di reagire in qualunque modo.

<<... E Jennifer?>> sussurrai.

Intuivo la risposta ma finché non l'avessi sentito dalle sue labbra non avrei potuto crederci.

<<Chi? Oh, la ragazza che mi ha fatto questo>> e accennò alla ferita sulla spalla <<Devo ammetterlo: un bel caratterino, te le scegli proprio bene! ...Farla a pezzi è stato più divertente del previsto>> e scoppiò a ridere.

A ridere.

Gli tirai un pugno in piena faccia. Forte.

<<Se vuoi sapere dov'è di preciso ho paura che dovrai cercare quel che resta di lei tra le onde dell'oceano>>

Gli tirai un altro pugno ed un altro ancora.

Qualche secondo dopo il corpo di quell'umano si abbandonò tra le mie braccia.

Dromos era tornato all'inferno.

Mi lasciai cadere sulle ginocchia guardandomi intorno come inebetito.

Non poteva essere. No.

Era impossibile.

Ed era colpa mia.

Scoppiai a piangere.

L'avevo fatta stare male, innumerevoli volte, sia psicologicamente sia fisicamente, e l'avevo uccisa.

Era colpa mia. Solo colpa mia.

La mia faccia da Diavolo appariva e scompariva a scatti, come se fosse impazzita...

Forse ero io quello che stava impazzendo.

Perfetto, pensai, almeno la pazzia mi impedirà di fare caso al dolore.

Se solo non l'avessi mai incontrata, se solo l'avessi lasciata perdere fin dall'inizio, lei sarebbe stata bene.

Nessun demone si sarebbe interessato a lei, nessun mafioso francese avrebbe messo della droga nella sua bottiglia di vino bianco.

Mi alzai barcollando, piuttosto instabile sulle gambe, e buttai il letto per aria, gridando.

Odiavo me stesso più di quanto avessi mai fatto, persino più di quando Dio in persona mi aveva ripudiato.

Ero... Ero distruttivo. Santo Papà, ero una specie di palla da demolizione impazzita ed immortale, che avrebbe fatto meglio ad allontanarsi da tutto e tutti.

Alla fine con mio fratello c'era Mazikeen. La migliore cacciatrice di taglie e torturatrice del mondo intero: avrebbe aiutato lei Amenadiel a riportare suo figlio a casa.

Dopotutto, il miglior favore che potessi fare a mio nipote era stargli alla larga più che potevo.

Uscì dalla finestra in volo, lasciando che l'impatto con l'aria fredda mi asciugasse le lacrime.

Mi tolsi il farfallino e la giacca con rabbia, lasciando che cadessero nel vuoto sotto di me.

Sempre vestito elegante, circondato da bellissime donne, con in mano un bicchiere di cognac o di whisky pregiato.

Peccato che i vestiti fossero solo delle muraglie di stoffa che alzavo tra me e il mondo esterno, le donne nient'altro che degli incontri senza importanza e l'alcool costoso un vano tentativo di riempire la mia vita altrimenti vuota.

Avevo dato importanza a tutti quegli stupidi, inutili, futili, passatempi.

Avevo avuto abbastanza tempo con lei... Sarebbe bastato per farla felice. Non avrei dovuto perdere tempo a cincischiare, tra dubbi vari e incertezze, avrei dovuto dirle quello che provavo... Dirle che quella donna che mi aveva baciato, quella sera, altri non era che mia madre, la maledetta Dea di tutto il creato, che non l'avrei mai tradita...

Ed invece, ogni volta che aveva chiesto spiegazioni, anche le più piccole, io mi ero sempre ritratto.

Avevo inventato delle stupide scuse, una dopo l'altra, che avevano finito per allontanarla da me, anche se avrei solo voluto che ci avvicinassimo.

Mi aveva persino raccontato del suo passato, nonostante le fosse costato un certo sforzo farlo, per dimostrarmi quanto tenesse a me.

E il massimo che io avessi fatto per lei era stato regararle una stupida automobile e prepararle la colazione, come se ciò potesse bastare a farmi perdonare per tutte le menzogne e le mezze verità che le avevo rifilato.

Mi asciugai gli occhi con le mani, perché le lacrime mi appannavano la vista e non vedevo dove stessi andando. Anche se più che andare da qualche parte lasciavo che le correnti d'aria mi trasportassero.

Mi ero detto che le mentivo per tenerla al sicuro, per non perderla, ma l'unico a cui stessi pensando ero io stesso. Ero io ad essere spaventato dalle possibili conseguenze.

L'avevo trattata come una pedina. Quella consapevolezza fu come un pugno allo stomaco.

Precludendole la verità su di me, su ciò che veramente ero, le avevo sempre impedito di compiere una scelta consapevole riguardo a noi due.

Una delle poche persone che avessero mai davvero tenuto a me, ed io l'avevo trattata proprio come incolpavo mio Padre di trattarmi da millenni.

Mi sentivo male.

Non solo a livello mentale, ma anche a livello fisico.

Il che non aveva senso. Voglio dire, io ero il Diavolo. Il maledettissimo signore dell'Inferno, il padrone del Desiderio, e tutte quelle altre cazzate... Titoli altisonanti con cui amavo definirmi.

Privi di significato. Come qualunque altra cosa.

Milioni di anni di vuoto. Completo vuoto.

Il vuoto camuffato con un affascinante accento britannico e abiti di marca, ma sempre vuoto rimane.

Jennifer, lei aveva visto qualcosa in me, e mi aveva aiutato a vedere qualcosa in me che onestamente non sapevo se fosse reale o meno.

Non riuscivo nemmeno a pensarlo quel nome.

E ora era... Lei...

"Penso proprio che andrò all'inferno" mi aveva detto qualche giorno prima.

Cosa impossibile, ovviamente.

Mi concentrai sul ricordo ormai vecchio di millenni che avevo della Città d'Argento: era lì che era lei.

Su, molto più sopra di me, in un luogo dove tutti erano felici, sereni e in pace.

In un luogo dove per definizione non esiste il dolore, dove il sole non tramonta mai.

Chissà se aveva già ritrovato la sua famiglia. Di certo l'avrebbe trovata presto e sarebbe stata felice.

Pensai con rabbia quella parola, più volte.

Certo che era felice, d'altronde come poteva non esserlo?

Se in questo stupido mondo che mio Padre aveva creato esisteva ancora un minimo di giustizia, Jennifer avrebbe dovuto essere la persona più felice di tutto il mondo in risarcimento per ogni goccia di dolore che aveva patito.

Non mi aiutava. Non mi aiutava, cazzo!

Il senso di colpa mi avrebbe ucciso. Per un secondo sperai che una cosa del genere potesse accadere sul serio.

Doveva essere notte fonda ormai, ed io volavo senza meta nel cielo sopra Los Angeles, come in trance.

Il cielo era completamente buio. Niente luna, niente stelle. Solo nuvole nere e fosche.

Ed io ero davvero troppo troppo spossato per continuare a volare.

Iniziai a planare senza neanche accorgermene, come se il mio corpo fosse settato in modalità pilota automatico.

Mi posai su di un grattacielo di centro città, non mi detti nemmeno la pena di controllare quale fosse, e mi distesi sul cemento del tetto.

Il mio cellulare, nella tasca dei pantaloni, squillò.

Mi chiedi distrattamente chi potesse essere. Mio fratello o mia madre, di sicuro.

E invece no: era Mazikeen.

La sua morte avrebbe fatto soffrire anche lei.

Davvero non avevo voglia di parlare. Con nessuno.

Ma alla fine decisi di rispondere.

<<Sì?>> dissi.

<<Lucifer, mi senti?>>

<<Sì>> le ripetei.

<<Ottime notizie!>> il suo tono di voce era allegro. Assurdo che qualcuno fosse così di buon umore mentre io ero a pezzi.

<<Che succede?>>

<<Charlie e Jennifer stanno bene, li ho rintracciati ad una mezz'oretta circa dal Lux, in un motel>>

Sto impazzendo?

<<Luci? Luci, mi senti?>>

<<D-dici davvero, Maze?>>

<<Perché non dovrei?>> mi domandò lei, piuttosto sorpresa dalla mia titubanza.

A quelle parole scattai in piedi come un giocattolo a molla:<<Come si chiama il motel?>>

<<Si chiama La Playa, credo... Aspetta che...>> sentii rumore di oggetti che venivano spostati <<Sì, confermo>>

<<Grazie!>> esclamai <<Grazie mille>> e misi giù.

In pochi secondi spiegai le ali. Tutta la stanchezza era svanita nel nulla ora che avevo un vero "posto" in cui andare.

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