Capitolo 26

Un altro forte colpo sbattè sulla porta. Scattai in piedi di riflesso e feci qualche passo indietro, rischiando di stortarmi una caviglia visti i tacchi alti.

<<Chiamo la polizia!>> esclamai sottovoce, facendo per tirare fuori il cellulare.

Amenadiel si gettò con veemenza verso di me e mi afferrò la mano con cui stavo aprendo la mia pochette:<<No>> disse, mentre i colpi sulla porta diventavano sempre più violenti <<Non farlo!>>

Alzai lo sguardo su di lui:<<Ma come "non farlo"?!!>>

Non potevo credere alle mie orecchie. Qualcuno stava cercando di fare irruzione in casa sua, eppure lui non voleva assolutamente che chiamassi chi di dovere.

<<Tu non farlo e basta, okay?>>

Socchiusi gli occhi guardandolo bene in faccia. C'era qualcosa sotto.

Doveva esserci.

Intanto il cuore mi batteva così forte che se fosse stato una macchina l'avrebbero multato per eccesso di velocità.

L'ansia mi stritolava.

<<Me lo prometti?>> urlò Amenadiel.

Io indietreggiai.

<<Va bene... Lo prometto>> ovviamente mentivo. Non sapevo che problemi avesse quell'uomo, o chissà quali traffici loschi dai quali voleva tenere lontani i poliziotti, ma non avrei rischiato la vita per colpa sua.

Dovevo solo trovare una scusa per allontanarmi da lui, tirare fuori il cellulare e chiamare il 911 e la polizia in fretta, prima che la situazione precipitasse.

Mi imposi di pensare alla svelta: dovevo trovare una scusa per andare in un'altra stanza, magari a prendere qualcosa... O qualcuno.

<<Amenadiel?!>> lo chiamai

<<Sì?>> nel frattempo si era avvicinato alla porta di casa.

Non sapevo bene cosa dirgli per convincerlo, ma per fortuna fu la "provvidenza" a venirmi in soccorso.

Il fratello di Lucifer si avvicinò a me, appoggiandomi una delle sue grandi mani sulla spalla:<<Charlie>> disse.

Perfetto, pensai, vuole che vada a prendere suo figlio.

Era un'ottima motivazione per allontanarmi da lui.

<<Lo vado a prendere>>

Amenadiel annuì, rivolgendo uno sguardo d'apprensione nella direzione dei forti colpi provenienti dall'entrata:<<Sì>> continuò <<Poi esci dalla porta sul retro, quella che dalla cucina si affaccia sul giardino, e portalo via. Qui ci penso io>>

"Ci penso io"? Mi chiesi che cosa intendesse con quelle parole. Forse aveva un'arma nascosta da qualche parte? Non sarebbe stato strano: negli Stati Uniti non era una raro che un cittadino tenesse in casa una pistola o un fucile a pompa.

In ogni caso non discussi e mi fiondai su per le scale coperte da un tappeto bianco. Inciampai più di una volta e mi storsi entrambe le caviglie, ma non mi fermai.

La scalinata di legno dava su un lungo corridoio con quattro porte. Due su ogni lato.

Intuitivamente capì che quelli alla mia sinistra dovevano essere un bagno e lo sgabuzzino, perché la seconda porta era rimasta aperta di qualche centimetro e lasciava intravedere una spirapolvere e diverse paia di scarpe da uomo.

Aprii la prima porta sulla destra, ma mi fermai sull'uscio: era una camera padronale, con un grande letto matrimoniale coperto da una trapunta blu. Le pareti erano di una sfumatura particolare di viola, e una televisione era appesa al muro.

Non mi soffermai più di tanto ad osservare l'arredamento e passai ad aprire la seconda porta sulla destra.

Questa stanza era tutta arredata di giallo - un colore simile a quello delle pareti del salotto - e a occhio pareva poco più piccola della camera da cui ero appena uscita.

Nell'angolo più lontano da me, accanto alla finestra, c'era una culla con all'interno un bambino infagottato in una copertina verde.

Mi avvicinai piano per non spaventare Charlie, che mi puntò in faccia due piccoli occhietti scuri.

Fui sorpresa che non si mettesse a piangere alla vista di una persona sconosciuta. Mi sorrise portandosi le manine color cioccolato in testa, su un piuttosto spesso strato di ricciolini neri.

<<Ma che bel bambino>> gli sussurrai, mentre gli toglievo piano la coperta di dosso e lo prendevo in braccio.

Me lo assicurai al petto con un braccio, mentre usavo l'altra mano per tirare fuori il cellulare.

Ora che ero certa che Charlie fosse al sicuro non mi rimaneva che chiamare la polizia.

Accesi lo schermo del telefono ma non feci in tempo a fare nient'altro perché la finestra della stanza, a pochi metri da me, esplose in una miriade di schegge di vetro che volarono da tutte le parti.

Il mio primo riflesso fu quello di inginocchiarmi sul pavimento dietro la culla per ripararci, poi coprii la testa e il corpicino di Charlie con entrambe le mani.

Diversi frammenti luccicanti mi finirono sui vestiti e nei capelli, ma nel compenso ne uscii illesa se non si contavano un paio di tagli superficiali sulle mani.

Ed era stata una fortuna che avessi coperto Charlie così in fretta, altrimenti sarebbero finiti addosso a lui.

Pochi secondi dopo mi rialzai in piedi.

Avevo il respiro mozzato.

Mi avvicinai di qualche passo verso la finestra per vedere che tipo di impatto potesse aver causato una tale rottura del vetro.

Non riuscivo a capacitarmene, anche perché non vedevo da nessuna parte l'oggetto responsabile di quel disastro.

Sembrava quasi che fosse esplosa da sola. Ma no, era impossibile.

Fu solo in quel momento che mi accorsi che qualcuno stava scalando la parete, all'esterno. L'inconfondibile rumore tintinnante di piedi che si arrampicano su una grondaia era più che eloquente.

<<No... No!>> ero sul punto di avere una crisi con i fiocchi, ma dovevo restare calma e concentrarmi. Per me stessa e per il bambino che avevo in braccio.

Avrei reagito. Non importava chi sarebbe entrato da quella maledetta finestra rotta. Cel'avrei fatta.

Usando un braccio solo spostai la culla di Charlie dall'altra parte della stanza, quella opposta alla finestra, e lo appoggiai dentro rimettendogli la copertina addosso.

Okay, mi dissi, stai calma. Puoi farcela.

Afferrai la lampada da terra che fino a quel momento era posizionata vicino alla porta d'ingresso della stanza, brandendola con entrambe le mani.

Per qualche terribile secondo mi passò per la mente che l'intruso avrebbe potuto avere con sé un coltello o una pistola, ed in quel caso la mia arma di fortuna sarebbe servita a poco...

Non pensarci, mi dissi, non stare a pensarci troppo e agisci.

Era così che mi aveva detto Maze durante i nostri pochi allenamenti:"Il tuo corpo sa meglio di te quello che devi fare, perciò non stare a pensarci troppo e agisci".

Okay Maze, adesso vediamo a quanto servono i tuoi consigli.

Con un ultimo scricchiolio metallico l'intruso si issò sul davanzale della finestra. Proprio in quel momento Charlie scoppiò a piangere disperato e mi spaventò a morte.

L'uomo che ora si trovava di fronte a me aveva un che di cadente, era molto scialbo, aveva la pelle pallida e due grandi occhiaie scure.

Difficile dire quanti anni avesse con addosso quei vestiti scoloriti, stinti e strappati in diversi punti, ma almeno era magro e poco più alto di me.

Dev'essere un senzatetto che è veuto a fare una rapina...

Il mio cervello vorticava furiosamente per stare al passo con i miei pensieri convulsi.

Sì, sembra proprio un senzatetto, ma perché non è entrato per rubare quando non c'era nessuno in casa? E perché aveva provato - lui o un suo complice - a buttare giù la porta, quando poteva semplicemente salire dalla fines...

<<Consegnamelo, umana, e nessuno si farà del male>> la sua voce suonava molto acuta e stentorea, come se avesse le corde vocali bruciate, o qualcosa del genere. L'accento era quello del Sud America, probabilmente era di origini messicane.

<<C-consegnarle che cosa?>> riuscivo a malapena a respirare. Le parole di quell'uomo non avevano il minimo senso.

<<Il bambino, quel Charlie>> disse <<Dammelo>>e fece spaziare i suoi occhi neri e di un'intensità spaventosa sulla culla, alle mie spalle, nella quale il bambino singhiozzava spaventato.

<<No>> risposi.

Mi venne naturale dirlo. Non mi importava a che costo: non avrei lasciato che quello svitato rapisse Charlie.

L'uomo davanti a me rise di una risata acuta e fastidiosa, come se fosse molto divertito. Eppure la sua espressione rimase seria, assolutamente seria e impassibile.

Un brivido freddo mi fece tremare dalla pianta dei piedi alla radice dei capelli.

A dispetto della sua andatura strascicata si mosse incredibilmente veloce: mi afferrò il polso sinistro e mi spinse all'indietro.

Era incredibilmente forte per essere così magro.

Caddi all'indietro e sbattei forte la schiena contro la culla.

Charlie ricominciò a strillare.

<<Beh, ma tu non sei l'amichetta del caro vecchio Lucifer? Strapparti le viscere dal petto sarà il doppio più divertente... >>

Che cosa significa?

Mi massaggiai la schiena, gemendo di dolore. Tra la caduta di poche ore prima e quella spinta mi sentivo la schiena a pezzi.

Mi rialzai a fatica.

L'uomo rise di nuovo sguaiatamente e si sporse in avanti per mettermi le mani intorno al collo, ma io lo colpì forte sulle braccia con il fondo della lampada.

Lui barcollò ma non emise nemmeno un sussurro.

Allora lo colpì di nuovo, con tutta la forza che potevo, una volta sulla clavicola e la seconda in pancia.

Dalla spalla gli uscì un fiotto abbondante di sangue e l'uomo cadde sul pavimento, contorcendosi.

Lasciai andare la lampada, con le lacrime agli occhi per colpa di quella vista orribile, e ripresi in braccio Charlie.

Non persi tempo che non avevo e mi precipitai fuori dalla stanza e giù dalle scale, stringendomi il bambino sul petto.

Non potevo pensare a quello che era successo, a quello che io avevo fatto, altrimenti sapevo grazie all'industria cinematografica di Hollywood che sarei crollata, in lacrime, e non sarei più stata in grado di fare quello che dovevo.

Mi diressi in cucina, dove Amenadiel mi aveva detto essere la porta per il giardino, senza badare ai forti rumori di lotta e alle grida che sentivo provenire dalla stanza attigua.

Praticamente scardinai la portafinestra per la foga con cui la spalancai, e finalmente fui fuori.

L'aria della sera era fredda nonostante fosse ormai quasi luglio, ed il cielo era buio. I lampioni illuminavano solo parzialmente la strada sulla quale dava il giardinetto privato della villetta.

Scavalcai il cancello senza problemi perché era alto quanto metà delle mie gambe, ed in più avevo anche i tacchi addosso quella sera.

Camminai più veloce che potei fino alla mia macchina. Il rumore che fece quando la aprii con le chiavi sbloccò qualcosa in me, perché improvvisamente mi sentii le ginocchia molli.

Appoggiai il piccolo Charlie sul sedile del guidatore e mi lasciai cadere in ginocchio sul cemento freddo del marciapiede, coprendomi la bocca con le mani ma guardandomi febbrilmente intorno per controllare che non si avvicinasse nessuno.

Dovevo chiamare la polizia. Subito.
Amenadiel era ancora lì dentro e poteva succedergli qualcosa se non mi fossi mossa...

Mi frugai nella borsetta col cuore che mi batteva fin dentro le orecchie. Una, due, tre volte, ma non lo trovai.

Doveva essermi caduto dopo lo scoppio della finestra.

<<Cazzo!>> gridai con rabbia e poi scoppiai a piangere.

Fu un attacco di pianto più che un pianto vero e proprio. Durò meno di un minuto.

Poi salii in macchina, mettendo il piccolo Charlie appoggiato sulle ginocchia, e partii a tutta velocità.

Guardavo nello specchietto retrovisore ogni due secondi, terrorizzata che in qualche modo mi stessero seguendo.

Mi tremavano le mani e proprio non riuscivo a farle smettere.

Dove stavo andando? Beh, da nessuna parte. Solo lontano da lì.

Ad ogni macchina che vedevo un nuovo brivido mi scuoteva, e non potevo fare a meno di temere che sarei svenuta da un momento all'altro.

Respirai profondamente. O almeno ci provai.

Dove sarei potuta andare, comunque?

E cosa diavolo avrebbe dovuto significare che quell'uomo - quel pazzo assassino - conosceva Lucifer?

E che cosa voleva da Charlie?!

Stavo per avere un altro attacco di panico. Fermai la macchina al lato della strada mettendo le due frecce.

Charlie si era addormentato secco, probabilmente cullato dal lento dondolio dell'automobile.

Chiusi gli occhi e rimasi ferma così per qualche minuto, inspirando ed espirando profondamente per calmarmi.

Era difficile tenere gli occhi chiusi, perché appena le palpebre si abbassavano rivivevo dei flashbacks dell'orribile uomo che mi aveva appena aggredita... Che voleva strapparmi le viscere...

Vedevo il suo sangue sgorgare dalla spalla, uscire rosso accesso dalla ferita che io gli avevo procurato...

Oltreché le mani mi tremavano anche le labbra.

In più iniziavo anche a sentire freddo, visto che l'effetto dell'adrenalina sul mio corpo stava svanendo.

Charlie stava bene, però. Dormiva rannicchiato sulle mie gambe, appoggiando la testolina sul mio stomaco.

Era davvero un bel bambino. Forse il più carino che avessi mai visto.

Non che fossi molto esperta di bambini, visto che tra parentesi non mi piacevano granché, ma...

Una Tesla passò alla mia destra, sulla strada, ed io tremai di nuovo.

Se volevo andare da qualche parte avrei dovuto farlo ora, prima che gli ultimi residui di adrenalina smettessero di circolare nel mio corpo.

Secondo l'orologio della mia macchina erano le nove meno tredici.

Altre due automobili mi passarono accanto ed io sobbalzai. Charlie, sulle mie gambe, aprì piano le palpebre.

Mi era anche venuta l'emicrania, nel frattempo, probabilmente in risposta allo stress emotivo.

<<Shhh>> sussurrai <<Dormi, piccolino... Va tutto bene>>

Tolsi per qualche secondo la mano dal cambio e gli accarezzai piano i soffici capelli scuri.

I taglietti sulla pelle si erano completamente rimarginati, essendo molto superficiali.

Linda era ancora al lavoro, no? Quindi forse avrei dovuto portare Charlie dalla sua mamma, e da lì chiamare la polizia...

Ma se Amenadiel fosse stato in pericolo, non era forse meglio che mi fermassi nel primo supermarket e chiedessi un cellulare in prestito a qualcuno?

A parte che, se avessi dovuto stare ad ascoltare il fratello di Lucifer, non avrei neanche dovuto chiamarla la polizia.

Anche quello era... Troppo strano.

Non riuscivo a pensare al nome di quell'uomo senza soffrire per ciò che gli avevo visto fare quella sera, ma soprattutto senza che mi ricordassi con struggente precisione il modo in cui il tizio che avevo affrontato aveva pronunciato il suo nome.

"Il caro vecchio Lucifer"... Chiusi gli occhi, tremando, e sbandai leggermente verso destra. Per fortuna ripresi il controllo della vettura piuttosto in fretta, prima che succedesse qualcosa di grave.

Ero anche stanca, all'improvviso mi si chiudevano gli occhi.

Presi una decisione.

Svoltai a sinistra ed entrai nel parcheggio di un motel. Non guardai neanche come si chiamasse o di quale catena facesse parte. Non mi importava.

Però pareva un posto abbastanza economico. Forse con trenta euro cel'avrei fatta a pagarmi una notte.

Appoggiai piano Charlie sul sedile del passeggero e mi sistemai i capelli e i vestiti, almeno per quel che potei. Mi spazzai via con le mani le schegge di vetro più evidenti e controllai per la seconda volta nella serata che il trucco fosse messo sufficientemente bene.

Non era troppo rovinato, nonostante il forte chock che avevo subito.

Recuperai il figlio della dottoressa Linda e scesi dalla macchina, per poi chiuderla a chiave.

Non ero molto stabile sui piedi, mi tremavano ancora un pochino le gambe, ma il freddo della sera mi aiutava a concentrarmi.

Non potei fare a meno di lanciare diverse occhiate intorno a me finché non fui entrata nell'edificio.

Alla reception c'era una donna di colore, più o meno di mezza età, vestita con colori sgargianti come l'arancione e il giallo fluo.

Mi sorrise vedendomi entrare e si sistemò la lunga treccia nera.

Mi schiarii la voce, tentando di apparire come una persona normale... Che ero, in realtà.

Ma non mi sentivo così in quel momento.

<<Salve>> mormorai io, notando che il mio tono di voce era tutto sommato accettabile <<Avreste per caso una camera libera?>> mi schiarii di nuovo la voce <<Solo per stanotte>>

Lei mi scrutò attentamente dalla testa ai piedi, senza smettere di sorridere ma un po' in apprensione.

<<Sì>> rispose <<Ne abbiamo diverse. Preferisce una matrimoniale o singola?>>

<<Matrimoniale, grazie>>

La signora annuii e prese un foglio da una pila di fogli, a lato della scrivania.

<<Allora deve firmare qui, cara>> indicò la carta che aveva appoggiato davanti a me e mi porse una penna <<Con il suo nome, cognome, data di nascita e il tempo per cui vuole affittare una stanza>>

<<Va bene>> mi piegai sul bancone e iniziai a compilare il foglio. La mano mi tremava in modo a malapena percettibile.

La gentile signora mi fece il favore di tenere fermo il foglio, visto che io avevo solo una delle due mani libere.

<<Fatto>> e le porsi il modulo compilato.

<<Perfetto. Per una notte di pernottazione di due persone il prezzo sarebbe quarantotto dollari, ma il piccolo è minorenne quindi non paga. Perciò sono ventisei>>

Alla fine i trenta euro che mi ero portata sarebbero tornati più che utili, a quanto pareva.

<<Ehm... Mi dispiace: non ho la carta di credito. Solo contanti>>

La donna alzò gli occhi al cielo e sospirò:<<Eh vabbè>> disse <<Farò un'eccezione, ma solo per questa volta>> e prese i soldi che le porgevo, dandomi il resto di quattro dollari.

<<Venga pure con me, cara>> mi fece cenno di seguirla fuori <<La accompagno fino alla sua stanza>>

Per uno strano, dolceamaro scherzo del destino, la proprietaria del motel non era l'unica a chiamarmi "cara".

<<Grazie>> ripetei, sebbene non fossi affatto entusiasta di uscire di nuovo al freddo. Strinsi più saldamente Charlie tra le braccia.

In effetti, avrei potuto chiedere alla signora di chiamare la polizia, ma cosa avrei detto poi?

Che un uomo - o più uomini, non ne ero sicura - avevano fatto irruzione in casa del... Fratello dell'ex - ragazzo che frequentavo per rapire suo figlio, e nel frattempo uno di loro aveva minacciato di strapparmi le viscere e aveva sparato una o due cose senza senso.

Oh, e, agenti, dovete sapere che una delle finestre del primo piano è esplosa senza alcun motivo, proprio davanti a me!

Del resto, avendo perso il cellulare, non potevo chiamare nessuna delle persone che conoscevo. Ormai non sapevo più i numeri di nessuno a memoria.

E non era nemmeno sicuro per me rimettermi a guidare in quelle condizioni. Avrei rischiato di ammazzarmi, ma, molto più importante, di fare del male al figlio di Linda.

Per quanto riguardava il padre di Charlie, non potevo fare altro che sperare che stesse bene. Che non gli fosse successo nulla di male, perché se così non fosse stato, sarebbe stata colpa mia...

Scossi la testa. No.

Sarebbe stato bene. Doveva stare bene.

<<Che bel bimbo!>> esclamò la signora, una volta che fummo arrivare davanti alla porta della stanza "12A".

Fece per toccare Charlie ed io mi ritrassi, di riflesso, ricordando quel "consegnamelo" che mi aveva gridato addosso il mio aggressore.

Capii subito il mio errore e provai a rimediare:<<È il mio fratellino, si chiama Charlie. I nostri genitori sono fuori per lavoro ed io ho stupidamente dimenticato le chiavi di casa, perciò eccomi qui>> sorrisi alla proprietaria, sicura che stesse cercando di fare conversazione anche per assicurarsi che stessi bene.

Non ero certa di quanto fosse credibile la scusa che avevo inventato sul momento, ed onestamente non avevo le forze o la lucidità mentale per stare a preoccuparmene troppo.

<<Allora buonanotte>> la donna mi consegnò la chiave della mia stanza, non senza rivolgermi un'occhiata mista di apprensione e sospetto, poi si allontanò.

Aprii la porta e la rinchiusi alle mie spalle a due mandate.

La camera era la classica camera di un classico motel.

Letto matrimoniale, bagno, frigo e un microonde.

Appoggiai piano Charlie sul letto e andai a controllare se ci fosse qualcosa tenuto in fresco che potessi dargli.

C'erano circa una dozzina di lattine di birra, un cartone di succo all'ananas e una bottiglia di vetro di Coca Cola.

Niente che potessi dare ad un bimbo di qualche mese.

Tirai la Coca fuori dal frigo, la aprii  e mi distesi sul letto vicino a Charlie, guardandolo dormire.

Provai a svuotare la mente. Quello era l'unico modo in cui potevo sperare di sopravvivere a quella nottata.

Da sola. Al freddo. In un posto che non conoscevo.

Desideravo che ci fosse Daniele lì con me, o Maze, o Eve... O, beh, Lucifer.

Tutte le volte che avevo dormito con lui avevo passato delle notti più che serene, quasi paradisiache.

Scossi la testa, ingurgitando cautamente un sorso di Coca che mi scoppiettò in gola.

Non persi neanche tempo a togliermi le scarpe.

Nel caso avessi dovuto... Andarmene in fretta.

Volevo lavarmi la faccia, ma ero troppo spaventata per lasciare Charlie da solo, né volevo spostarlo visto che dormiva così tranquillo.

E poi Lucifer era... Lucifer.

Senza contare che quel pazzo che aveva fatto irruzione nella stanza del piccolo, aveva chiaramente dimostrato di conoscerlo.

Non dovevo pensare a quello che era successo quella sera, da quando ero uscita di casa con Dani a quando ero arrivata in quella modesta ma pulita cameretta di motel.

Ora che ci pensavo anche Daniele sarebbe stato in pensiero per me quando non gli fosse arrivata la chiamata che gli avevo promesso.

Chiusi gli occhi, respirando a fondo e provando inutilmente a rilassare i muscoli.

Sarebbe stata una lunga nottata e già sapevo che non sarei stata in grado di chiudere occhio.

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