Capitolo 6
Dianna posò il volume di Mr. Cunningham sul davanzale interno della piccola finestra aperta. Le pagine correvano e si agitavano. Ma lei non lo toccò più. Lo lasciò lì, inerme, a succhiare le polveri che turbinavano nell'aria.
Giurò a se stessa di sbarazzarsene il prima possibile. Avrebbe detto al professore di aver divorato il libro in una notte, e Cunningham avrebbe gioito. Dianna conosceva abbastanza di mitologia greca. Inoltre, il sorriso che aveva steso le labbra del nuovo arrivato, Tristan, nel domandarle se ne apprezzasse il tema la portò ad ipotizzare qualcuno potesse smascherare il suo segreto. E lei non era pronta per liberarsi delle sue mentite spoglie.
Quella notte, la sirena non dormì. Era un venerdì gelido e nostalgico come i precedenti e la luna aveva già piazzato la sua bandiera di vittoria nel firmamento. In una camera del dormitorio dirimpetto, notò un paio di studenti tentare di torcere le sbarre della finestra per aprirvi un lasciapassare, ma ben presto si arresero con un rumoroso sospiro di sconfitta. Alcune camere, invece, si illuminarono sotto la fiamma di una candela, come minuscole lucciole pulsanti.
Dianna si chiese se nel Massbury Institute qualcuno si sentisse vivo. Rimase accartocciata tra le lenzuola a seguire le lancette della sveglia che si muovevano brancolanti verso la mezzanotte. A quel punto si sarebbe aspettata Jana interrompesse i suoi pensieri con un nuovo racconto del terrore, ma era già crollata tra le braccia di Morfeo. La vide schiudere le labbra in preda agli spasmi del sonno, il respiro sibilante, il capo abbandonato sul cuscino e le braccia congiunte lascivamente sul petto.
Elena Page, però, era sveglia. Dianna la sentiva trafficare nel piano più alto del letto a castello, ma non aveva le forze per voltarsi e scrutarla meglio. Quindi si limitò a credere qualcuno le facesse compagnia anche senza aprir bocca.
Dianna sussultò terrorizzata quando, d'improvviso, un'ombra distorta irruppe nel controluce della camera. Elena era balzata giù dal suo letto ed era atterrata accanto alla finestra. La sua vestaglia da notte scendeva lacerata sulle caviglie strette e s'approssimava tentennante attorno alle curve quasi infantili del suo corpo.
Dianna finse di dormire, ma il suo sguardo era circospetto sotto le palpebre bianche.
Elena s'inginocchiò sul pavimento e la sua veste creò una sfera trasparente attorno alle sue esili gambe. Poi alzò il capo, fissò la falce lunare che si stringeva nell'oscurità brumosa e si aggrappò alle inferriate della finestra. Dianna la vide congiungere le mani in un gesto pio; le sue dita si allacciarono con vigore e le nocche sbiancarono pallide sotto la stretta. Sembrava pregare, lodare la luna, alzare panegirici al cielo, ma Dianna non riusciva a vedere il suo volto, bensì la sua schiena che si allungava verso l'alto, come per avvicinarsi alle tenebre.
Elena iniziò a sussurrare nel vuoto, ma la sua voce mesta si disperse nel brusio della notte. Nonostante le piccole labbra si muovessero rapide, le parole apparivano sfocate ed astruse, come inghiottite da un uragano sordo.
Dianna si chiese perché lo sguardo della giovane fosse rivolto alla luna, e per quale ragione i suoi occhi sembrassero risucchiare il magnetismo del cielo.
I mormorii confusi della ragazza si fecero più intensi, persistenti, fino a creare un sibilo strisciante seguito da un raspare confuso. Elena iniziò a tremare, ad agitare convulsamente il capo e a scuotere spasmodicamente le grate della finestra, quasi fosse scossa da un'elettricità isterica. Poi afferrò tra le dita le sue due collane, ringhiò, incassò il capo nel petto e spalancò i palmi delle mani per raschiare le unghie sul materiale incrinato del davanzale.
La sua voce era oramai un lamento. Poi divenne pianto. Sfociò in un mugolio nervoso. E divenne un urlo.
Dianna congelò e la paura agguantò le redini della situazione. Poté giurare di aver percepito lo scorrere rapido di un brivido infilarsi tortuoso sotto la sua pelle. Rimase inetta ad assistere al convulso tremare di Elena, al suo urlare dolente e alla sua crescente inquietudine che facevano del suo corpo una vittima di guizzi impetuosi. Il suo petto continuò a sobbalzare e una lacrima bagnò il pavimento.
La sirena afferrò le lenzuola del suo letto, le scostò e si precipitò verso la porta, agitando le mani come se volesse allontanare il velo di ombra che si plasmava nell'aria.
Un terrore impellente sembrava voler ghermirle il cuore e strapparlo dal suo petto, mentre il righiare esiziale alle sue spalle scorreva serpentino fino alle sue orecchie.
Dianna aveva paura.
Quando spalancò la porta della camera con il respiro corto, la capigliatura scomposta e i piedi nudi e freddi che si arricciavano contro il pavimento crepitante, udì la serratura balzare in un debole clangore. La corsia era vuota, buia, avvolta da un alone di luce flebile che rifulgeva sulle pareti.
Le gambe di Dianna erano pronte a scattare in un galoppo disperato verso la fuga, se l'urlo di un allarme non fosse risuonato fragoroso nell'edificio. Una piccola luce rossa iniziò a lampeggiare accanto alla porta della stanza 73.
Era chiaro: il Massbury Insistute aveva imposto un coprifuoco.
Ma, quando una camminata funesta e pesante andò avvicinandosi, Dianna aveva già fatto marcia indietro, chiudendo la porta alle sue spalle.
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"Ascoltatemi, ascoltatemi." Jana si schiarì la gola, chiuse gli occhi e portò una mano sul petto. "Questo di sette è il più gradito giorno, pien di speme e di gioia: diman tristezza e noia recheran l'ore, ed al travaglio usato ciascuno in suo pensier farà ritorno."
Dianna, che sedeva ai pié del letto con le gambe incrociate, alzò lo sguardo perplesso ed increspò la fronte. Elena, invece, lanciò sulla propria spalla il panno impolverato con il quale stava lucidando la sua macchina da scrivere, ed incollò la sua attenzione verso Jana.
"Cosa avete da guardare? Credete io non abbia un po' di cultura?" Jana deglutì infastidita. "Ho recitato Il sabato del villaggio di Leopardi, grande poeta italiano, -o almeno credo fosse italiano- per esprimere la mia gioia. Oggi è sabato, insomma, niente lezioni, nessun libro di fisica aperto, nessun pranzo indecente in mensa! Ma, come ogni sabato che si rispetti, ci sarà una degna rimpatriata alla piana del fuoco, stanotte. Ti vuoi unire a noi?" rincarò, osservando Dianna.
Quest'utlima afferrò un lembo della sua veste da camera e la avvolse attorno al proprio indice, sbattendo le lunghe ciglia ricurve un paio di volte. Il pensiero della notte le portò alla mente le urla irrespirabili di Elena, ma disse: "Con piana del fuoco intendi una larga distesa pianeggiante adornata di erba bruciata e rinsecchita dalle fiamme?"
"No, sciocca! E' un appezzamento di terreno oramai disadorno. O meglio, c'è solo una quercia. Da tre anni a questa parte, ogni sabato sera, io, Kristiàn, Elena e soprattutto Byron sgusciamo fuori dalle camere prima che Mandy attacchi gli allarmi. Dopodiché lasciamo l'istituto, raggiungiamo la piana e accendiamo un falò. Per questa ragione abbiamo deciso di chiamarla la piana del fuoco. Poi ci sediamo sull'erba ed iniziamo a blaterare, a raccontarci le strane avventure della nostra infanzia, racconti dell'orrore, pettegolezzi, progetti di fuga ma anche pianificazioni di omicidi." Jana assentì alle sue parole e aprì le ante dell'armadio scardinato. "E' un diversivo alla noia. Rimanere in camera con la maglia del pigiama infilata nei pantaloni e pantaloni nei calzini sarebbe davvero barboso. Inoltre..." sospirò, "è un'opportunità per allontanare il pensiero della solitudine, per credere che, magari, non siamo stati buttati qui come cani abbandonati. Forse possiamo essere vivi."
La sirena fu certa di aver notato una vena di triste sarcasmo nelle parole di Jana, ma si limitò ad annuire. Eppure, le sue riflessioni mulinavano incontrollate come granuli di sabbia sotto il soffio del vento: quando Mandy le aveva proposto di accompagnarla a vedere l'inferno, non credeva potesse esserlo realmente.
Probabilmente è necessario vivere un po' di inferno, prima di vedere il paradiso, pensò.
Una sciarpa lanciata improvvisamente sul suo viso interruppe il flusso nutrito dei suoi pensieri.
Jana gesticolò nella sua direzione. "Avvolgila attorno al collo. E' piuttosto freddo, lì fuori. E muoviti! Byron ci sta aspettando."
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Le lancette della sveglia si erano appena spostate malferme sulle nove, quando Jana aveva afferrato il polso di Dianna e l'aveva trascinata con sé fuori della camera. Anche Elena le aveva abbrancato la mano: la sirena era riuscita ad avvertire la stretta gelida delle sue dita.
Poi si erano slanciate lungo le corsie dei dormitori e si erano aggrappate al corrimano delle scale, prima di scendere i gradini con foga e atterrare nell'androne dell'edificio.
E, ora, Dianna poté avvertire la rugiada di sudore scendere lungo i contorni del suo viso. La sciarpa ardesia abbracciata al suo collo sembrava imprigionarle il respiro e la gonna dell'uniforme era troppo corta perché la rivestisse dal vento ghiacciato che le schiaffeggiò le guance, una volta uscita nel cortile.
Ingenti folate di vento sembravano voler diradare il cielo dalle grandi nubi amorfe, ma esse continuavano ad avanzare impettite come soldati temerari, sguainando la loro spada. Con questa, talvolta, strappavano il firmamento viscerato. Ed ecco che, da quella crepa, usciva il lieve sorriso della luna.
Gli occhi di Dianna tremarono sotto le palpebre pallide. La sua esistenza era stata abituata a palpiti di brio, a canti gaudi, a sguardi ridenti e a balli raggianti, e ora, invece, la vita le riservava la guancia opposta della medaglia: era soggiogata dall'imperiosità di quella notte fosca. La sensazione di instabilità incollata al suo corpo la fece tremare: era lì lì, sul bordo dello scoglio, pronta a cadere nella melma scura. Quando si fosse tuffata, la pesantezza della poltiglia l'avrebbe schiacciata sul fondo.
Jana piegò circospetta il busto e scrutò con minuziosa attenzione ogni angolo del largo patio.
Solo un paio di studenti erano nascosti sotto il loggiato, con le mani racchiuse a coppa attorno al viso per accendere una sigaretta. Il fumo si levò in spire sinuose verso il cielo macchiato della notte.
In lontananza, due figure si appiattirono contro un cespo aggroviato affiancato al cancello dell'istituto; poi alzarono una mano e fecero cenno alle tre ragazze di avvicinarsi.
"Il ragazzo che è rimasto incastrato nel cespuglio è mio fratello. L'altro è... è Byron." La voce di Jana zoppicò e l'alone porpora che le infestava le guance si incediò con una brama smodata.
Quando si avvicinarono, Kristiàn prese a farfugliare sommessamente, cercando di liberarsi dalla stretta pungente dei rami della fratta. "Siete in... ritardo," sibilò poi tra i denti, una volta che riuscì a tirarsi in piedi.
Gli occhi verdi di Byron, invece, guizzarono con fervore dietro la luce della candela che reggeva tra le mani. Rivolse il suo sguardo verso Dianna.
"Uh, hai portato anche la novellina?"
"Sì, e vedo che tu hai fatto lo stesso..." Jana voltò il capo, guardò oltre la sua spalla e socchiuse le palpebre.
Dianna seguì il suo sguardo: una scura sagoma indistinta stava attraversando il portico della loggia e il suo passo sussurrato fu accompagnato dal mormorio sinistro del vento.
Pochi istanti dopo, la sirena distinse Tristan Waves irrompere nella quiete notturna, camminando lentamente nella loro direzione. Le mani erano infilate nelle tasche e sopra la camicia dell'uniforme indossava una vecchia felpa stinta; il viso era chino, ma la mascella spesso si tendeva in una morsa salda.
Kristiàn gli rivolse un'occhiata veloce ed infilò le dita tra il ciuffo platino. "Quel ragazzo è... strano."
Jana rise. "Oh, fratello, questa è una scuola per gente strana!"
Byron intervenì ed il suo sguardo si fece cupo e apprensivo. Si sporse pericolosamente verso la fiamma della candela, e numerose ombre astratte si fecero largo sul suo volto. "Ma lui è... davvero strano," iniziò, poi prese a mormorare sospetto. "Insomma, stamattina io e Kristiàn ci siamo svegliati tardi e... e quando abbiamo aperto gli occhi quello là era già sveglio e... e stava infilando un pugno di sale dentro l'acqua in un bicchiere."
"E poi l'ha bevuta!" convenne Kristiàn sbarrando lo sguardo stupito.
"Oh..." Jana sfoderò un cipiglio perplesso, stendendo le labbra in una linea scomposta dal disgusto.
"E questo non è tutto!" Kristiàn impallidì. "Dopodiché si è chiuso in bagno. Per una doccia, credo. E ne è uscito fuori dopo -oh, lasciatemi ricordare...- settantatré minuti."
Byron roteò lo sguardo smeraldino. "Oh, Kristiàn, sei così tardo nell'inutito, a volte! Credi davvero che quel tizio avrebbe fatto davanti a te quello che fa ogni uomo in assenza di una donna?" Ma, quando Tristan si avvicinò a Byron, si ricompose. "Ciao, novello."
Il ragazzo chinò il capo in un freddo, breve e conciso cenno di saluto.
Byron lo scrutò velocemente, lasciando scivolare la propria attenzione sul suo abbigliamento. Poi scosse rassegnato il capo e alzò lo sguardo. "Credo che ora dobbiamo scavalcare questo cancello."
Dianna strinse tremante le braccia attorno al corpo e balbettò. "Ma... ma c'è il filo spinato!"
Jana chiuse gli occhi e soffocò una risata. "E' un gioco da ragazzi, non ti corrucciare: la tua pelle candida non verrà graffiata da queste spine maligne!" La sua voce era tinta di una crudele ironia.
La sirena tacque e annuì. Elena, al suo fianco, le strinse la mano.
Byron cedette la candela a Kristiàn, sospirò e agguantò con agilità le inferriate spoglie di reticolato, rivolgendo di tanto in tanto un'occhiata alle sue spalle per assicurarsi nessuno li stesse osservando. Dopodiché fece per levarsi sulle gambe con un salto, ma fu interrotto da una voce.
Jana torse le mani in grembo, sinceramente in ansietà. "Byron... ti prego... sai bene che io non sono agile e.. e non so scavalcare il cancello. Non mi fido di mio fratello, quindi... quindi mi potresti aiutare?"
Byron portò sulla nuca una ciocca corvina di capelli e liberò il suo sguardo. Quindi scese dalla grata e prese Jana in spalla, tendendo i muscoli delle braccia in una linea gonfia. La ragazza allungò segretamente la mano e mostrò soddisfatta il pollice alzato alle compagne.
Dianna era immobile, i capelli le si incollavano sul viso e gli occhi lacrimavano sotto l'assalto del gelo. La sciarpa allentò la presa attorno al suo collo e scivolò via, danzando in un turbine confuso attorno al vento. Dianna le corse dietro, tentando di recuperarla allungando le braccia al cielo, ma quando udì un fioco sghignazzare alle sue spalle, si voltò. Tristan si passò la lingua sulle labbra: egli osservava con occhio malizioso la gonna di Dianna che si era alzata sotto le spire delle folate, lasciando dunque nuda la pelle d'avorio dei suoi glutei.
La sirena gli scoccò un'occhiata in tralice e si affrettò a rassettare la sua uniforme
Elena e Kristiàn, intanto, strinsero audacemente le dita attorno alla cancellata e con veloci balzi riuscirono a cadere dall'altra parte, per poi dileguarsi velocemente verso la piana del fuoco, trottando oltre la corrente.
Dianna provò ad alzare una mano e a richiamare la loro attenzione, e li guardò finché non sparirono, come la luna tra due colli.
Dunque cercò con lo sguardo Tristan. Voltò il capo, ma egli non era più al suo fianco. Era invece dall'altra parte del cancello ed i suoi occhi oceano sfavillavano come soli d'argento dietro le grate.
La ragazza non lo aveva visto superare le inferriate con il filo spinato. Si chiese come avesse fatto, in così poco tempo.
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(Pubblicità alle storie di LilyPound).
Spero non vi siate spaventate per il comportamento di Elena, dato che sarà essenziale per lo sviluppo della storia.
Inoltre, non manca molto all'incontro "ravvicinato" tra Tritone/Tristan e Dianna. Nel prossimo capitolo si scopriranno alcuni particolari.
Che ne pensate di questo capitolo? Come ha fatto Tristan a superare il cancello in così poco tempo? Secondo voi, cosa accadrà nel prossimo capitolo?
Passate dalla pagina Fb dedicata alla storia "Alexandra-writes on Wattpad".
Votate e commentate in tanti! Grazie mille!
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