Capitolo 57
"Funziona quella torcia?" Jana indicò un aggeggio tra le mani di Elena, mentre sostava, al buio, con la mano sulla maniglia della porta, in procinto di uscire.
Elena annuì e rigirò l'oggetto tra le dita, come se le fosse estraneo, sino a che non puntò il rotondo fascio di luce sui propri occhi. Solamente a quel punto abbassò la torcia e la osservò con diffidenza. "Sì... funziona."
"Bene. Qualora dovesse servire..." Jana aprì debolmente la porta, quasi fosse impaurita, e la flebile luce del corridoio piombò sul suo viso, rischiarando i suoi occhi chiusi, come in attesa. Attese qualche secondo e poi li riaprì, lanciando un sospiro di sollievo alla vista degli allarmi deceduti oramai da tempo. Dopodiché, si immise nel corridoio e fece cenno ad Elena di raggiungerla in fretta.
L'altra, dopo aver tentennato per una manciata di istanti, procedette in avanti e si accostò al fianco della compagna. "Sei si-cura di volerlo... fare? Insomma, è... è rischio-so! E... e inutile!"
Jana la guardò alzando un sopracciglio. Poi soffiò tra i denti, ammiccando con il capo alla torcia. "Amo il rischio. E poi Ashley merita questo ed altro. Credevi davvero che le avrei perdonato la scena con Byron? No, io sono molto vendicativa. E la mia vendetta è amara." Jana iniziò a camminare, proseguendo lungo il corridoio a passo svelto ma silenzioso, voltando il capo corvino a destra e a sinistra ogni qualvolta un rumore improvviso rintronava tra le pareti. Indossava un'aderente tuta nera, estranea a ogni rigore scolastico, con una maglietta scura a collo alto e una lunga collana dorata pendente sul petto, che era chiaramente antica bigiotteria, ma che Jana accarezzava con premura, quasi fosse un diamante raro. La ragazza era evidentemente euforica e febbrile nei propri panni scuri, palesemente certa di apparire come una temibile investigatrice che agisce quando il sole è calato. In effetti, aleggiava una sorta di mistero.
Elena la seguì, ma era ancora dubbiosa ed incerta. "Magari... l'ha... l'ha bacia-ta Byron e... ed Ashley non c'en-tra nulla, non puoi... non puoi saperlo."
"Ma so con certezza che è una poco di buono. Questo basta e avanza."
Elena sospirò rumorosamente. "Fossi in te... ci pen-serei più attentamen-te."
A quel punto, Jana si voltò e gettò un'occhiata alle proprie spalle. Si avvicinò ad Elena, le strappò la torcia dalle mani e la strinse in pugno. Poi disse: "Io ho bisogno di persone che mi appoggino in ogni circostanza e in ogni mia decisione. Non ho bisogno di persone che mi ostacolano." E prese un grande sospiro, come se ciò che stesse per dire fosse estremamente profondo. "Ergo" sorrise un istante, poi tornò seria, "se non vuoi seguirmi, affronterò la cosa da sola." E si voltò, tornando a camminare per raggiungere la rampa di scale che conduceva al piano superiore, mentre Elena arrancava perplessa alle sue spalle. Jana prese a gesticolare, conversando con il vuoto dinanzi a sé: le sue parole arrivavano sommesse alle orecchie di Elena che cercava di tenere il passo. "Detesto le persone che tentano di infrangere i miei sogni! Ho sempre desiderato essere un agente segreto dello spionaggio, uno di quelli che -bim, bum, bam- saltano da un furgone all'altro in autostrada, che si aggrappano come funivie ai fili dei tralicci come se fossero insensibili all'elettricità, uno di quegli agenti con il cappuccio che si agita sotto le folate del vento, uno di quelli che sfrecciano con automobili all'ultimo grido in mezzo al traffico di New York passando con i semafori rossi." Jana concluse con un sospiro carico di eccitazione e pausò per un istante. Poi riprese con più sicurezza: "Una sorta di James Bond al femminile."
Dentro quella confessione erano nascosti giovani sogni che Elena non avrebbe mai voluto distruggere, quindi si apprestò ad assentire con il capo riccioluto e a seguire l'amica nella sua avventura.
Assieme, salirono al secondo piano e raggiunsero le scale a chiocciola che conducevano al terzo, Jana correndo con eccessiva sicurezza sui gradini -tantoché incespicò sui propri passi più di una volta- ed Elena reggendosi prudentemente al corrimano e osservando con timore la compagna dinanzi a sé che sarebbe potuta cadere e scivolarle addosso in un istante.
Quando posarono i piedi sul mezzanino del terzo piano, Elena tirò un sospiro di sollievo e la sua mente si rischiarò.
Jana, intanto, procedeva a grandi falcate lungo il corridoio, osservando le pareti spoglie mantenute in vita dalla flebile luce che spirava dalle lucerne appese al soffitto, mentre -ad un'estremità del lungo andito- era incassata una finestrella, dalle imposte spalancate e dai vetri consunti e appannati. Alzando lo sguardo, si poteva notare il soffitto che curvava a punta verso l'alto, terminando nel tetto dell'edificio e, osservando invece le poche porte dei dormitori sulle pareti di destra e di sinistra, dal loro legno marcio e dagli sfregi attorno alle maniglie si potevano dedurre trascuratezza e dimenticanza.
Elena seguì Jana e, avendo le mani vuote, prese a torcersi le dita in grembo, osservando il corridoio con occhio diffidente. Si sporse verso l'amica quando la raggiunse. "Perché hai... d-deciso di salire al... al terzo piano?" le sussurrò all'orecchio.
"Perché il personale di servizio del Massbury alloggia al terzo piano, e Ashley, facendo la cameriera, non può che avere una stanza nei dintorni." Jana ammiccò ad una delle porte e nel suo sguardo si leggeva chiaramente che, se avesse saputo quale fosse la stanza di dormitorio della sua vittima, vi sarebbe entrata come una furia bollente. Riprese a mormorare: "Le cucine chiudono i battenti alle nove di sera e solamente a quell'ora cuoche e camerieri possono ritornare nelle loro stanze." Jana piegò il braccio e lanciò un'occhiata al suo polso, osservandolo quasi vi fosse allacciato un orologio. "E calcolando che sono le otto e cinquantasei, Ashley dovrebbe passare di qui a breve." E, in un sol, rapido, movimento, Jana agguantò il braccio della sua compagna e la tirò con forza dietro una parete che divideva in due la schiera continua di porte ammassate una di fianco all'altra. Con una mano, tappò la bocca di Elena, la quale spalancò gli occhi, e con l'altra le porse la torcia sussurrando: "Reggila, ma non accenderla, neppure per errore, altrimenti te la fracasso in testa."
Elena annuì, spaurita, e si preoccupò di reggere la torcia solamente all'estremità, tenendosi ben distante dal pulsante di accensione, come se fosse costituito da fuoco e fiamme.
Jana si addossò alla parete, piegò leggermente le gambe feline, chiuse gli occhi e accostò l'orecchio al muro, per poi aggrottare la fronte: ora era in estrema concentrazione. Ad ogni scricchiolio improvviso, rizzava il capo sull'attenti e sbarrava gli occhi per lunghi secondi, senza sbattere le palpebre, sino a farli lacrimare piangenti. Poi, quando deduceva che quei piccoli e sinistri rumori provenivano solamente dalle fiammelle dentro le lucerne, si appassiva contro la parete, delusa.
Elena, alle sue spalle, allungò il collo verso la sua spalla. "Come..."
Jana si lasciò sfuggire un sibilo sordo tra i denti per intimarle di tacere e alzò un indice. "Sta' zitta, se parli non riesco a sentire i passi sulle scale."
"No, fam-mi parla...re." Elena riprese con più enfasi e respirò prima di dire. "Come inten-di agire?"
Ora che Jana percepiva nella compagna un notevole interessamento, poteva dirsi soddisfatta, e alzò gli angoli delle labbra in un sorriso appagato. Poi scrollò le spalle. "Semplice: quando passerà le afferrerò i capelli e la trascinerò per i corridoi come un Muppet."
Elena trasalì. "Inten-di i pupaz-zi... i pupazzi Muppet con i ca-pelli di nylon?"
"Sì, i Muppet del programma Sam and Friends."
Elena sobbalzò e osservò la compagna. Dopodiché si ritirò nell'ombra, temendo improvvisamente l'assassina principiante che aveva dinanzi. Quasi svenne quando Jana si voltò rapidamente e le intimò: "Page, tu sei una veggente, giusto? Insomma, qualcosa del genere, una streghetta, una pizia, una profeta, una di quelle che danno vaticini entrando in una sorta di trance, una di quelle che perdono la coscienza e sussurrano di essere improvvisamente capaci di volare."
"N-no, non proprio... non so nep-pure io cosa..."
Ma Jana la interruppe, alzando dirigente una mano e mettendola a tacere. Sbarrò gli occhi grigi e si chinò verso Elena. "Sapresti prevedere... insomma, sapresti dirmi quando Ashley sta per affacciarsi su questa parete?" Indicò l'alto muro dietro il quale si erano nascoste. "In sostanza, saresti capace di avvertirmi in tempo affinché io possa allungare le mani e afferrarla prima che lei si accorga della nostra presenza?" Nei suoi occhi albergava supplica, preghiera e speranza.
In realtà, Elena non era assolutamente certa di essere all'altezza di quel compito. Ma al contempo non voleva deludere le aspettative della compagna ed infrangere i suoi sogni, la sua fama di avventura che credeva fosse come una lacuna di affetto che doveva essere colmata. Quindi annuì, prima di rendersi conto che Jana, dalla contentezza, aveva sorriso e le aveva posato le mani sulle spalle, scuotendola.
Trascorse qualche minuto e Jana era di nuovo appostata con l'orecchio contro l'intonaco bianco e sbriciolato. Ella si riscosse solamente quando un susseguirsi di passi lontani sulle scale non riecheggiò tra le pareti. A quel punto, dopo essersi istantaneamente pietrificata, Jana voltò la massa di capelli verso Elena, lanciandole uno sguardo.
Nel frattempo, i passi si avvicinavano, si facevano meno distanti e dal loro rapido avvicendarsi si poteva comprendere come quella fosse una camminata agitata, frenetica e affrettata.
Nel petto di Jana, il cuore sobbalzava eccitato, e la ragazza avvertì i palmi delle sue mani riscaldarsi e i muscoli delle sue braccia indurirsi. Sul suo volto, invece, affiorò un sorriso infervorato.
La fioca luce del corridoio che batteva sui pavimenti opachi si adombrò quando una sagoma nera vi si riflesse sopra, al passo rapido.
Ma Jana era di spalle, guardava la compagna e aspettava un suo segnale, e non notò la figura che stava per affacciarsi.
Quando Elena annuì, Jana si girò nuovamente con uno scatto fulmineo, pronta al salto. Allungò le mani e afferrò con rabbia e forza i capelli della figura che era appena comparsa. La strattonò e la trascinò lungo i corridoi, facendola quasi piegare sulle ginocchia, ma la figura sembrava estremamente forte, robusta. Dopodiché, Jana, quando si sentì soddisfatta e percepì i fili sottili dei capelli strappati tra le sue dita, spinse la figura verso il pavimento, ma questa non cadde, rimase diritta in piedi, solamente un po' barcollante e frastornata.
Jana portò la propria mano davanti agli occhi e osservò le ciocche che le erano rimaste tra le dita: non erano bionde. Bensì erano ciuffi di capelli con riflessi grigiastri, quasi bianchi.
Solamente a quel punto Jana abbassò impaurita la mano e osservò la figura dinanzi a sé. Deglutì.
Era la custode dell'istituto. Mandy.
Tutto quello che Jana riuscì a sputare tra i denti quando si paralizzò, fu: "Ti odio, Page."
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Palazzo reale di Poseidone, Abissi marini, Mare di Eubea, Grecia.
Tutti gli Olimpi, persino il grande Zeus, erano rimasti allibiti, affascinati e concordi alla strategia militare di Tristan. Tranne Ares. Egli, infatti, si era avvicinato a Tritone con sguardo severo e occhi macchiati dall'odio, e gli aveva promesso una gloria oscurata. A quel punto, la reazione di Tristan era stata turbinante: per tutto il tragitto di ritorno non aveva dato pace al suo cuore, aveva camminato a grandi falcate, incassando la testa nel petto egemone e aveva ripetuto tra le labbra che sarebbe stato lui -come già deciso- il generale, il capo supremo e il comandante dei battaglioni della falange e del corpo di cavalleria. Nessun altro.
Dianna aveva dunque compreso che in lui albergava un altro potente, distruttivo e recondito sentimento: la competizione.
E quel desiderio di schiacciare, di mietere e di falcidiare chiunque gli dichiarasse apertamente guerra, lanciandogli una sfida guardandolo diritto negli occhi, aveva fatto avvampare e scoppiare in lui un fuoco che neppure i Mari del grande Poseidone avrebbero mai quietato e spento.
E ora lo guardava lì, seduto con la grande coda smeraldo nell'ufficio di suo padre, a scartabellare tra documenti e fogli di papiro imbrattati, a rigirare e rigirare sul dorso pagine e pagine macchiate di carboncino, con le mani che correvano veloci ad afferrare lo stilo, a rigirarlo tra le dita, e a posarlo infine sullo scrittoio. Lo vedeva chiudere di tanto in tanto gli occhi, per poi riaprirli velocemente, accecato dalla stanchezza, mentre il suo occhio destro sostava nella luce e l'altro nella penombra della sera che filtrava nera dalle onde. Stava studiando il progetto di guerra e ora esaminava intensamente un rotolo di papiro su cui era incisa la disposizione di ogni soldato, della cavalleria e degli arcieri. Poi aggrottò la fronte e posò la fronte su una mano, rigirò il foglio, ne guardò i bordi, e poi lo abbandonò sul cumulo degli altri documenti.
Dianna lo capì, in quei mesi aveva imparato a conoscerlo: si era sempre mostrato forte, imbattibile, indomabile, irriducibile, ribelle e magnanimo. Dunque non era difficile comprendere quando mostrava il rovescio della medaglia: stanco, debole, dubbioso, ansioso, apprensivo, troncato dalla forza dei sentimenti che ribollivano in lui come sassi che rotolano sui lidi.
Eppure, in quell'improvvisa e momentanea fragilità, c'era ancora gloria nel suo sguardo. C'era ancora brama, guerra, competizione.
La sirena capì che sarebbe bastata solamente una scintilla a ravvivare quel fuoco, quindi si fece avanti: oltrepassò l'uscio e portò con sé un aroma di freschezza e pulito, una fragranza di ninfa. Con il leggero mantello blu di lino che teneva posato sulle spalle, si coprì i seni e avanzò verso Tristan con la pelle bianca baciata in parte dall'ombra e in parte dalla luce.
Egli percepì immediatamente la sua presenza: dapprima non alzò lo sguardo, ma il suo volgere frenetico degli occhi si acquietò. Fissò un punto vuoto in lontananza, poi sorrise dolcemente e levò lo sguardo su Dianna. Non le disse nulla, ma elogiò con gli occhi la sua bellezza.
Anche la sirena tacque. Gli sostò accanto per un istante per vedere nei suoi occhi i mutamenti della sua anima: ora pareva più sereno, placido, pacato. Il cuore cessò di ribollirgli nel petto per un lungo istante: non era più solo.
Dopodiché, Dianna gli nuotò attorno e si posizionò dietro alla sua figura seduta. Gli posò le mani sulle spalle e fece scendere le dita lunghe e delicate lungo il suo petto nudo, accarezzando la morbidezza vellutata dei suoi muscoli rigonfi sotto il torace e disegnando cerchi immaginari sul suo addome. Poi si chinò verso di lui, posò il mento sulla sua spalla e le sue mani risalirono ai capelli: infilò le dita tra le ciocche e gli massaggiò le tempie, per poi inspirare appagata il profumo virile e inebriante che si levava dai suoi capelli dorati.
Poco dopo, sentì Tritone gemere sommessamente di piacere.
Le labbra di Dianna si mossero e raggiunsero le sue basette, poi la guancia e infine la mandibola. Depositò innocenti, casti e dolci baci sul suo viso e Tristan chiuse gli occhi. Qualche tempo dopo, però, le braccia della sirena si strinsero istintivamente attorno al suo collo, abbracciandolo calorosamente, e per qualche motivo Tristan sobbalzò. Forse di sorpresa, forse di timore.
E lei gli disse all'orecchio, con voce morbida e soffusa: "Domani partiremo per Alexandroupolis. Sarà un grande giorno e la mattinata sarà dura." Gli prese la mano e la strinse alla propria. "Non stare qui. Quei documenti e quei fogli non servono più." Ammiccò con il capo ai fascicoli disfatti sopra lo scrittoio. "Va' a coricarti. Domani la tua mente dovrà essere ben rinvigorita."
"Grazie." Tristan le strinse in risposta la mano. "Ma non riuscirei a riposarmi."
Dianna sorrise alle sue spalle e sbatté i grandi occhi blu. "Neppure se ci fossi io al tuo fianco?"
"Men che meno." Le labbra di Tritone si stesero in un ghigno e, in un sol movimento prese Dianna per i fianchi e la portò dinanzi a sé. Le prese entrambe le mani e ne accarezzò le dita, per poi depositare un debole bacio sul loro dorso.
La mente di Dianna si riaccese di domande poco dopo. "Tristan?" Ma avvertì come una nota strana nella sua voce e qualcosa la portò a correggersi: "Volevo dire... Tritone?"
"Tristan mi piace di più."
"Mi hai addestrata, mi hai fatto impugnare una spada, mi hai fatto cavalcare, mi hai fatto sudare, mi hai persino messo a dura prova con un leone, ma..."
Tritone non incalzò: bensì deglutì, impallidendo.
Dianna continuò: "Ma non mi hai detto cosa dovrò fare durante la battaglia, che posizione dovrò occupare, come dovrò comportarmi. Io..." La sirena rivolse una fugace occhiata al soffitto e sventagliò velocemente le palpebre come per trovare le parole. La sua voce si incrinò, quando bofonchiò: "Io non so cosa dovrò fare."
Tristan si ritrasse in un rapido scatto e volse lo sguardo sul pavimento, chinando il capo e iniziando a muovere freneticamente lo sguardo in qualunque punto della stanza che non fosse lo sguardo di Dianna. Dopodiché, aprì le labbra più volte, ma da esse non uscì alcun suono. Borbottò qualcosa tra i denti, poi ci ripensò, stette in silenzio e chiuse gli occhi. Posò le mani ai lati della sedia e incassò la testa nel petto: le sue braccia rivelarono i bicipiti contorti e tesi. Poi rialzò la testa, ma i suoi occhi non riuscirono ugualmente ad incontrare quelli di lei. "Io..." soffiò, "io non lo so. Non ci ho pensato... io... forse perché non voglio." Si alzò in uno scatto improvviso dalla sedia e nuotò verso la finestra, con le braccia conserte, guardando le onde che fuori si aggrovigliavano e si combattevano nella loro fluidità.
Dianna, alle sue spalle, gli rivolse un'occhiata stupita. "Non ci hai pensato?" ripeté le sue parole come se a stenti riuscisse ad elaborarle nella sua mente. "Che vuol dire?"
"Che non ci ho pensato," ribadì lui senza voltarsi.
"Perché arriverà quel giorno in cui un dio perderà il senno e una tremenda battaglia capovolgerà le sorti del mondo. E per amore, poi! Questo sentimento rende gli dei ciechi, balordi e guerrieri, ve lo assicuro!" Un'altra voce irruppe nella stanza.
Tristan e Dianna si voltarono all'unisono e notarono Bentesicima entrare con passo delicato e danzante, piroettando leggiadra tra il corpo del fratello e quello della sirena.
Tritone si riscosse e serrò i pugni, chiudendo la mandibola e facendola scattare in una morsa rabbiosa. "Cosa vuoi?"
"Io?" Bentesicima si finse ingiustamente incolpata. "Niente." La sua voce toccò note acute. Poi rise. "Ma l'amore lascia dubbiosi gli uomini. Oh, che brutta situazione."
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In questo capitolo ritroviamo Jana ed Elena. Che ne pensate? Povera Jana, ahahahah, ha confidato troppo nella compagna e ora si è messa nei guai. Come verrà punita, secondo voi?
Dopodiché, assistiamo ad un rovescio della medaglia: è di spicco l'altra parte della personalità di Tritone -anzi, Tristan, a lui piace di più, ahahah- che lascia un po' a pensare. Si spera che questa improvvisa debolezza non si noti durante la battaglia... no?
Dianna si sta aprendo con lui, gli ha confessato le sue incomprensioni ed è venuta praticamente a capo di una questione importante: non sa come dovrà agire. Ma questo si vedrà, ci saranno delle sorprese.
Bentesicima è sempre più odiosa... bisogna, ripeto, stare attenti.
Nel prossimo capitolo, come accennato in questo, si partirà per Alexandroupolis e tutto avrà inizio. State bene attente al prossimo capitolo...
Che ne pensate di questo? Fatemelo sapere! Votate e commentate!
Per anticipi e altro, passate dalla mia pagina Facebook dedicata alla storia: "Alexandra-writes on Wattpad".
Grazie mille a tutti!
(Pubblicità a Scrittrice In Segreto di FioreDArgento e a Rebel di Denise0902)
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