Capitolo 54
Il ciondolo di Dianna balzava sul suo collo ad ogni respiro ansimante. Alternava lo sguardo da Tristan alla spada che le puntava alla gola, dall'arma a Tristan. Deglutì e fece per muoversi, ma l'istinto la portò a retrocedere facendo leva sulle braccia: le sue mani toccarono il terriccio umido e ancora impregnato di sole e acqua piovana, mentre il suo peplo argentato era oramai imbrattato di erba e foglie marce.
Dinanzi a lei, in piedi, con il nastro dorato che gli fasciava la nuca conferendogli una temibile aria principesca, Tristan sorrideva sardonico e, di tanto in tanto, ruotava la spada tra le dita. Poi inclinò il capo curiosamente e soppesò i movimenti della sirena, senza batter ciglio.
Voleva provare la sua forza.
Dianna arrischiò ad alzarsi e lo fece barcollando pericolosamente: alle sue spalle, il fiumiciattolo sembrava scorrere impetuoso e le rocce tremolanti sotto i suoi piedi avrebbero potuto farle perdere l'equilibrio in poco tempo. Distese le gambe e quasi sentì sotto la sua pelle le ossa delle sue ginocchia rompere i loro legami e crearne di nuovi. Chiuse gli occhi, terrorizzata. Poteva quasi percepire la sensazione di essere spinta nel vuoto, di crollare inerme nell'acqua. Eppure Tristan la osservava con una sorta di fascino, speranza e fiducia. Quando la sirena si rialzò completamente e gettò un'occhiata alla spada puntata alla sua gola, muovendosi delicatamente per non lasciare che quella lama le perforasse la giugulare, Tritone sembrò annuire colpito e consenziente, e abbassò l'arma.
Quando lo fece, Dianna esalò un sospiro di sollievo.
"Regola numero uno: mai cantare vittoria in anticipo."
Udendola, Tristan arretrò di qualche passo e raggiunse la sua cavalcatura poco lontana, attaccata ad un largo tronco attraverso le redini, e infilò una mano nella lunga bisaccia appesa al fianco del cavallo. Vi estrasse un'altra spada e ne considerò l'affilatura. E la lanciò a Dianna.
La sirena l'afferrò con qualche difficoltà e quando tornò con lo sguardo verso Tristan lui era già in posizione: aveva preso a girare in circolo lentamente, muovendo cautamente le gambe sempre verso destra, costringendo anche lei a muoversi e a fuggire alla sua avanzata; posava una mano sul fianco, manteneva il capo chino segnato da una profonda espressione concentrata e il braccio disteso a reggere la spada.
Ancora una volta, Dianna vide nella vicinanza di quella lama un pericolo.
Quella paura la portò a cercare di imitare i movimenti di Tristan, quindi alzò il mento per sfoggiare una parvenza di sicurezza e tentò di distendere il braccio, nonostante le sue dita non si fossero ancora abituate a reggere quella spada, che le gravava sulla mano come un macigno. Inoltre, Dianna, in quel momento, vedeva in Tritone una nuova eleganza, che lei non possedeva.
La sirena azzardò: con la propria spada, iniziò a sfiorare con colpi secchi e leggeri quella di Tristan, quasi volesse conoscere il suono del duello. Ciò che ne uscì, fu un sottile clangore che ammutolì i canti degli usignoli.
Ora, in quel tratto di boscaglia diradata, giaceva un silenzio tombale.
Dianna quasi si spaventò quando Tritone reagì slanciandosi in avanti con due passi veloci, costringendola alla retrocessione, brandendo la sua daga e agitandola al vento, ferendo la limpidezza della prima brezza primaverile.
Incespicando sui propri passi e con il cuore che le torturava la gola con i suoi battiti sempre più irregolari, Dianna mormorò: "Non... non sembri un greco, ora."
Tristan piegò il capo sulla spalla ed esaminò le sue parole, mentre continuava ancora a picchiare la propria spada contro quella della ragazza. "No, hai ragione. Devonshire, 1749. Un buon uomo mi ha insegnato la vera scherma. Eleganza e letalità." Il suo tono di voce s'incrinò. "Ma se vuoi grecizzare la cosa..." Il braccio che teneva posato sul fianco scivolò verso le sue gambe e il duello s'intensifico: le spade presero a toccarsi e a respingersi, a respingersi e a toccarsi, e ben presto l'acuto frastuono che sollevavano combaciò con lo stridore dei loro denti che si serravano per la concentrazione.
Dianna, che sembrava ritrovarsi in quella veloce foga, agitò la spada ed indietreggiò, lasciando che fossero i passi di Tristan a mangiare il terreno nell'avanzata, ma distinguendosi dignitosamente nella difesa.
Con un veloce slancio, Tritone accorciò la distanza tra i loro corpi: ora erano talmente vicini, che se i loro respiri fossero stati capaci di sincronizzarsi, i loro petti si sarebbero incontrati.
Le loro spade, ancora allacciate, si alzarono sopra i loro capi.
Dianna e Tristan posarono entrambe le mani sulle loro else di bronzo, l'uno spingendo contro la daga dell'altro in un gioco di forza e resistenza.
Nel viso della sirena si poteva scorgere un grande impegno -tanto i suoi occhi erano serrati e le sue palpebre increspate a causa dell'immane fatica- mentre in Tristan si notavano solamente i muscoli gonfi e perfettamente ricurvi delle braccia nude, perché il suo viso, invece, non tradiva alcuna emozione: non sembrava sforzarsi.
Quando Dianna alzò lo sguardo provato e vide le lame brillare sotto qualche occasionale spiraglio di luce che bucava la coltre di alberi, vide la spada di Tristan abbassarsi rapidamente e la sua mano scattare in avanti per sottrarle la spada. Ora, che lui impugnava entrambe le else e che lei si ritrovava disarmata, Tritone distese le braccia e lasciò che le due lame lacerassero il peplo di Dianna in tutta la sua lunghezza.
La sirena rimase solamente con la sottoveste bianca, che il timido sole, però, rendeva trasparente sotto i suoi raggi spessi come nastri dorati. Con sospiri imbarazzati e guance paonazze, Dianna si prodigò per coprire le proprie forme visibili con le mani, bofonchiando: "Non guardarmi!"
Tristan stette per un momento in silenzio, assorto, rapito. Eccitato. Il suo sguardo corse lungo il corpo della sirena, quasi a divorarne la sinuosità. "Come potrei non farlo?"
Dianna ripeté, ora con più enfasi e supplica: "Non guardarmi!"
"Impossibile."
"Tristan..."
Tritone allungò il braccio destro e, con un'impressionante abilità, accarezzò con la punta della spada le ciocche intrecciate sulla nuca di Dianna e le sciolse delicatamente dalla loro presa, finché la chioma infuocata non ricadde selvaggia sulle spalle bianche e nude. Si umettò le labbra con la lingua. "Lasciati ammirare." E, con un movimento veloce, accostò entrambe le spade contro i fianchi della sirena e la imprigionò, attirandola a sé, quasi sbattendola contro il proprio petto di uomo e facendole sussultare il cuore contro il suo addome.
Dianna, sebbene non potesse negare e non riconoscere l'emozione avvampante che ora le rivestiva i sensi, provò a divincolarsi dalla stretta scuotendo le braccia, ma più si dimenava ribelle, più quella stretta si restringeva sino ad avvolgerla in un abbraccio senza respiro.
Tristan sorrideva soddisfatto e beffardo, forse perché riusciva a scorgere dietro quel teatrale rifiuto un desiderio dirompente. "Ferma."
Quando i loro visi si ritrovarono estremamente vicini e le loro labbra furono sul punto di sfiorarsi, la sirena sollevò le ciglia come un lungo e folto ventaglio e indirizzò il proprio sguardo su quello di Tritone. Dopodiché socchiuse gli occhi minacciosa e accennò ad un sorriso divertito. "Mossa poco astuta."
Tristan la osservò confuso e perplesso, ma non ebbe neppure il tempo di sfoggiare un'espressione che rappresentasse i suoi interrogativi che un dolore penetrante, acuto ed insostenibile si piantò alle sue tempie. Dapprima non comprese da dove provenisse, perché conservava solamente la certezza che, qualunque cosa fosse, lo avrebbe lentamente ucciso.
Iniziò a respirare trafelato e la sua fronte si schiumò di sudore; le palpebre gli tremavano, gli occhi non riuscivano a fissare alcun'immagine che non apparisse poi sfocata.
Mille lance sembrarono trafiggergli la testa, graffiandogli i pensieri con le loro lame pungenti. Il dolore si dilatò fino a soffocargli l'udito e tutto ciò che riusciva a percepire era solamente l'eco lontana e soffusa del vento che si tramutava in un sibilo sordo simile al sussurro di un serpente.
Tristan cadde in ginocchio mugolando di dolore, portandosi le mani alle tempie, incassando il capo al petto e stringendo i denti dai quali, di tanto in tanto, filtravano respiri agitati. Gli occhi gli si serrarono pietrificati e le ciglia sembrarono incollarsi sotto il marchio di un sigillo di fuoco.
D'improvviso, sopra quel sibilo lontano e confuso, si distinse una voce: una bellissima voce. Pacata e ipnotizzante. Persuasiva.
Quando riuscì ad aprire gli occhi, Tristan scorse Dianna camminare ancheggiante verso la sua figura in ginocchio. E cantava, cantava queste parole:
Sole tra i capelli e occhi di mare,
minaccioso come l'ombra che s'addensava nel suo sguardo,
la sconfitta non conosceva,
la morte sfidava,
ma la stessa lo colpì nel fulgore della sua virilità.
Uomo carismatico, da tutti ricordato,
grande fascino e immani imprese.
Da Pella partì domando il suo destriero,
temibile stallone nero dall'animo di Ares;
Babilonia gli aprì le porte,
come un dio lo riconobbe l'Egitto,
l'Asia piegò ai suoi piedi.
L'aquila di Zeus sopra la sua spada,
daga meravigliosa che ferì i duri barbari d'Oriente;
o' uomini, non ricordate forse la gloria di Gaugamela?
Non ricordate i nomi di coloro che egli mandò in fuga
con cuori tremanti?
Non rimembrate le città che di terrore vibravano al suono
del suo nome di miele?
Neppure Lisippo fu in grado di incidere su marmo
la reale magnificenza del suo coraggio;
non riuscì a disegnare la bellezza del suo spirito,
perché Alessandro, oh, Alessandro superava gli eccessi.
Petulavano per un ultimo sospiro di vita, quegli uomini,
ma la cresta rossa di quell'elmo dorato scorgevano
brillare al sole prima di chiudere gli occhi in eterno.
E marciò, continuò la marcia verso l'indicibile sogno;
e a venticinque anni Zeus riconosceva in lui il prediletto figlio.
Gli gelò la pelle il freddo delle montagne dell'Hindu Kush,
ma non il cuore,
no, esso pulsava di guerra.
Ma chi troppo vola in alto con il fuoco del sole
si scontra:
sino all'India, agli estremi confini del mondo viaggiò;
di Bucefalo gli zoccoli erano duri ancora,
la bardatura ancora splendeva.
All'Idaspe fronteggiò gli uomini che cavalcavano mostri,
pachidermi ingrigiti dalle tenebre della loro bruttezza,
ma Alessandro paura non ebbe.
E mentre i macedoni soldati al suo seguito arretravano impauriti,
bistrati gli occhi e preghiere affannose tra i denti,
il Grande Macedone cavalcava ancora,
la spada s'alzava nei boschi dell'India.
Saltò il minaccioso Bucefalo.
Con la sarissa lunga a ferire
il grande pachiderma Alessandro provò,
ma da lontano una freccia scoccò:
il suo cavallo colpì,
sangue fresco a terra si riversò.
E crollò l'intramontabile Bucefalo,
il suo condottiero abbandonò in un ultimo sospiro,
i sogni infrangendogli e le ambizioni soffocandogli.
Non vinse quella battaglia Alessandro,
col ricordo delle precedenti glorie curarsi dovette.
Perché troppo vicino ad un fuoco era andato
e la spada si era bruciato.
Tristan annaspava ancora in cerca di respiro. La sua veste, oramai, era imbrattata di fanghiglia e muschio, e ogni qualvolta il suo busto si ripiegava sul terreno, una nuova chiazza tingeva il suo chitone. Aveva ancora le mani portate al capo, le dita premevano contro le tempie, poi le unghie graffiavano gli zigomi, e le labbra si aprivano a spasmi per catturare un fugace respiro. Dalla bocca gli uscivano sospiri trafelati e mugolii di dolore si levavano dalla sua gola.
Era come se stesse sputando sofferenza.
Ad ogni nota cantata da Dianna, ad ogni parola, ad ogni istante tinto dei suoni della sua meravigliosa voce, una profonda agonia gli colpiva il cuore, quasi artigli bollenti gli si conficcassero senza pietà nella carne viva.
Si sentiva stordito, elettrizzato di lei.
Gli stava succhiando e prosciugando le energie con il suo canto.
D'un tratto, piegato sulle ginocchia e martorizzante, Tritone si ritrovò a pensare che Omero, nei suoi grandi poemi e creazioni, non era mai riuscito ad eguagliare in canto la formidabile e deleteria letalità delle sirene.
Lui stesso, armato della forza, dell'immortalità e della bellezza di un dio, ora era completamente asservito a quella creatura, e nonostante dolesse il suo canto -alla mente e all'anima- benché fosse una prigione, Tristan voleva aggrapparsi ancora a quelle sbarre, in un assurdo circolo masochista.
Eppure, tra le labbra tremanti, le sussurrava di smettere, di cessare il suo canto, un canto che metteva alla luce i sogni e le ambizioni degli uomini che peccano di superbia e crollano, crollano come lui in quel momento.
Quando Dianna, giuntagli di fianco, diritta come una statua di Afrodite e più bella di Elena di Troia, lo squadrò con soddisfazione, quasi fosse un relitto spossato, terminò il suo canto in una nota bassa, grave ma sinuosa.
Tristan si lasciò del tempo per recuperare il respiro e si capovolse sulla schiena, una mano in grembo e l'altra adagiata lungo il fianco. Sospirò un'ultima volta, poi aprì cautamente gli occhi.
Nonostante fossero stanchi e stravolti dagli stenti, Dianna vide in essi una luce meravigliosa.
Egli si schiarì la gola e si alzò a sedere, passandosi una mano sulla fronte ustionata dal sudore che, a differenza del suo corpo raggelato, pulsava bollente sotto il passo delle gocce che scendevano come lacrime di sangue. Dopodiché alzò lo sguardo verso la sirena, inclinò il capo sulla spalla e rimase ad osservarla ammirato, e un dialogo silenzioso si levò dai loro sguardi che si erano intrecciati.
Tristan fece per alzarsi e Dianna arretrò immediatamente, perché ora aveva paura di una punizione.
Ma egli, pericoloso e fatale, le si avvicinò soltanto. Con occhi socchiusi, le posò una mano sotto il mento e costrinse Dianna a guardarlo. Poi, anche lui intonò una poesia. "Sei giunta: hai fatto bene: io ti bramavo. All'animo mio, che brucia di passione, hai dato refrigerio."
La sirena riconobbe le parole di Saffo, nello stesso istante in cui Tristan retrocedeva e se ne andava.
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Bentesicima continuò a scartabellare tra i fascicoli del regno sopra l'immenso scrittoio, sfogliando i grandi fogli imbrattati di inchiostro nero con le sue lunghissime unghie curate, e sospirando spazientita ad ogni movimento quando si accorgeva sempre di più che in quell'ultima ora trascorsa a rovistare furtivamente tra i registri degli abissi, non era riuscita a trovare ciò che così insistentemente stava cercando.
Persino la sua coda splendente riluceva elettrizzava di impazienza.
"Quei papiri, quei papiri dannati!" sbraitò poi tra i denti, sbattendo le unghie ricurve sulla copertina consunta dell'ennesimo fascicolo. Dopodiché lanciò un'occhiata alla porta socchiusa per assicurarsi nessuno la stesse osservando e, afferrando burberamente un bracciolo della poltrona dietro lo scrittoio, si sedette e continuò a strappare fogli e documenti, quando questi non soddisfacevano le sue richieste.
"Oh, dannato, finalmente!" Bentesicima agguantò un nuovo foglio di papiro, posò i palmi delle mani sullo scrittoio e spinse indietro tutti i fascicoli che non le occorrevano. Alcuni caddero sul pavimento. Poi stese il braccio aggraziato e ghermì la penna d'oca dentro la boccetta d'inchiostro in un angolo dello scrittoio. Fece per iniziare a scrivere, ma nel momento esatto in cui sembrava pensare a quale grafia imprimervi, la voce di sua sorella Roda -che le era stata accanto- la fermò.
Ella disse: "Ti è andato di volta il cervello, Bentesicima? Questo, oltre ad essere una mancanza di rispetto nei confronti di nostro padre, è un tradimento e oltraggio! Posa quella penna, per Era, e mantieni un contegno!"
Bentesicima alzò il capo e lacerò rabbiosa lo sguardo della sorella. "Non devo giustificare a nessuno le mie azioni. Va' via." E ammiccò alla porta con un cenno del capo.
Roda, indispettita, si stanziò maggiormente nella sua posizione e agguantò la penna dalle mani della sorella. "Non ti permetterò di farlo. È uno sfregio anche alla sua dignità di donna!"
Bentesicima, in un primo momento, guardò con occhio offeso la penna sottrattale, poi osservò la sorella e respirò per mantenere la calma. "Restituiscimi immediatamente quella penna o ti scanno, te lo giuro."
Roda alzò un sopracciglio. "Per farti scrivere una finta missiva a nome di nostro padre indirizzata a Kassandros, l'ipparco tutt'addome che hai preso di mira con le tue unghie, Bentesicima?"
L'altra si alzò e si sporse tentando di recuperare la penna. "Certamente. Da molto non si vede a palazzo e io voglio vederlo. È un semplice invito. Quando nostro padre lo vedrà a corte non gli chiederà certamente se è giunto sotto convocazione."
"Perché lo vuoi vedere?" Roda indietreggiò e nascose la penna dietro la schiena, reggendola con entrambe le mani.
Bentesicima si mostrò spazientita. "Perché mi interessa."
"O perché ti interessa la posizione che assumeresti se fossi al suo fianco?"
Impallidendo e boccheggiando, Bentesicima tacque tremendamente offesa, ma celò la rabbia per quell'affronto dietro una postura di grande sussiego.
Roda le si avvicinò e sporse il capo verso il suo. Per un istante, quegli occhi della medesima forma e colore si incontrarono. "A corte ti chiamano puttana. Forse non hanno tutti i torti..."
Bentesicima finse di barcollare e spalancò le labbra teatralmente, per poi richiuderle più volte sul punto di dire qualcosa. Allungò una mano verso il bordo dello scrittorio e vi si resse. "Come osi, maledetta..." Ma non terminò la frase perché, nel momento in cui fece per slanciarsi verso la sorella, urtò alcuni fascicoli che caddero a terra. Bentesicima chinò lo sguardo: una cartella si era aperta su un foglio dalla parvenza molto antica. Incurvando le sopracciglia disegnate sopra gli occhi trasparenti, si piegò a prendere il foglio con occhio curioso. "E questo che cos'è?" Prima di leggerne il contenuto, però, il suo sguardo corse al termine dello scritto. Ad inchiostro nero, vi era inciso: Lettera di un Mezzosangue, 1887.
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Dianna si è finalmente difesa e al fevior ha aggiunto la letale e ipnotica potenza del suo canto, peculiare arma di ogni sirena.
Le ho fatto cantare una sottospecie (?) di poesia (o chiamatela come vi pare) che ho scritto io. Probabilmente non è il massimo, ma ancora non scrivo poesie e questa è la prima volta che ci provo. Racconta in breve le avventure di Alessandro Magno -il mio idolo!
Mi auguro che almeno un po' vi sia piaciuta.
Che ne pensate dello scontro fisico e verbale tra Dianna e Tristan?
E poi Bentesicima... la odiamo tutte, lo so. Roda è stata davvero coraggiosa a definirla una poco di buono. Secondo voi, Bentesicima si avvicinerà a Kassandros per un secondo fine? Si vedrà.
La lettera che lei trova menzionata a fine capitolo è quella scritta nel prologo, non so se ricordate.
Per anticipi e altro passate dalla mia pagina Facebook: "Alexandra-writes on Wattpad".
Fatemi sapere che ne pensate di questo capitolo. Se vi è piaciuto, votate e commentate :)
Grazie mille a tutti e buon fine settimana!
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