7. Storia di uno spettro

Micalisto chiuse gli occhi, ma la stanchezza era lontana, difficile da afferrare.

Cercò un ricordo cui aggrapparsi, immagini da far scivolare in sogno, mentre la canzone dello spettro vibrava nel suo cuore lasciandolo sospeso tra la calma e l'emozione.

Sua madre gli cantava una canzone, per farlo addormentare, non ne ricordava parole o melodia, ma ne aveva dentro ancora il ritmo, era lo stesso delle sue carezze. Gli parve di sentirle ancora quelle carezze, forse erano vere, forse era Lancetta, o forse era sogno. Scelse di credere la seconda e farsi trasportare.

E improvvisamente fu lì.

Il grano era sparito, al suo posto un prato verde brillante macchiato di bianche margherite. Al centro era seduta una ragazzina, magra, le trecce nere diseguali, il volto spigoloso ingentilito da un sorriso pieno. Era Magda, anche se era difficile riconoscervi la donna insopportabile che era adesso.

Alla sua destra, sul limitare del campo, un'altra ragazza forse poco più grande, la osservava senza essere vista.

Non gli fu difficile riconoscere lo spettro che aveva scorto poco prima da sveglio. E anche lei parve riconoscerlo.

Micalisto alzò le mani, in segno di pace, ma quando lei gli apparve davanti era furiosa.

Doveva essere stata molto bella, ma mentre gli ringhiava contro, il furore ne aveva disgregato i lineamenti in una maschera grottesca: «Vattene, esci dal nostro paradiso, stai rovinando tutto.»

Non fu facile restare impassibile: «Voglio solo parlarti un momento. Voglio capire.»

«Non sono affari tuoi.»

«Ma di Magda sì. È lei che mi manda.»

Non ottenne il risultato sperato, lo spirito non parve sorpreso: «Menti! Perché dovrebbe mandare te a rovinare i nostri giorni.»

Micalisto aveva davanti al viso la bocca del fantasma orrendamente aperta, sembrava pronta a divorarlo. Ma restò immobile e sferrò il suo attacco: «Perché ha paura di te.»

L'effetto fu immediato. La forma dello spirito ritornò al suo simulacro mortale, sbiadendo nella luce di quel giorno onirico.

«Non è vero» disse. Ma era evidente che neppure lei vi credeva.

«Come ti chiami?»

«Lei non te l'ha detto?»

Micalisto fece una pausa, per darle il tempo di prepararsi alla risposta: «Lei non ti ricorda.»

Il giorno si spense e il sogno svanì. Micalisto aprì gli occhi e intravide nell'ombra Lancetta china su di lui. Lo stava veramente accarezzando. Un attimo dopo era già schizzata via.

Non aveva tempo per curarsi del suo imbarazzo, e neppure del proprio, doveva intercettare lo spettro prima che svanisse.

La vide nell'angolo di campo dov'era prima che si assopisse.

«Vieni, raggiungiamola» disse a Lancetta.

Le corsero incontro, ma lei non si mosse. «Mi chiamo Ysbel» disse quando le furono abbastanza vicini.

«Io sono Micalisto, e lei è Lancetta, una mia amica. Non può vederti o sentirti ma le racconterò volentieri la tua storia, se ti va.»

Lo spirito s'incamminò a passi lenti verso il nero che era il bosco, ma intorno a lei si stava facendo giorno. Aveva una forza tale da piegare la realtà che la circondava, da mostrare i suoi ricordi come accadessero davanti ai loro occhi.

Micalisto non aveva mai incontrato prima un'entità così potente.

«Era l'estate del mio sedicesimo compleanno. Come accadeva ormai da qualche anno mio padre mi mandò alla nostra tenuta di campagna, che è ancora a poche miglia da qui, per stare lontano dalla città e lasciare una presenza della famiglia a incombere sui braccianti. Non che sapessi incombere chissà quanto, ma secondo mio padre, insieme alle sue visite a sorpresa, era più che sufficiente.»

Una risata dolce e amare le scivolò via dalle parole, mentre intorno ormai era giorno, era quell'estate di forse trent'anni prima.

«Mi piaceva venire qui, mi piaceva girare per i campi, guardare gli animali e aiutare ad accudirli. Gli uomini di mio padre erano gentili con me, mi lasciavano fare, talvolta mi sentivo una di loro. Ma quell'estate fu diversa. Non badai ai campi né ai cavalli, non chiesi resoconti sulla produzione o programmi di lavoro. Quell'estate c'era Magda.»

Micalisto la rivide con gli occhi di Ysbel, una ragazzina di quattordici o quindici anni, un po' disordinata, snella ma dalle forme già delineate, con un sorriso contagioso. Sembrava impossibile fosse la stessa donna sfatta e volgare che lo aveva assunto.

«Era la figlia di un operaio stagionale, era lì con il padre per lavorare ma a causa mia non si rese mai molto utile. Fu il suo sorriso a stregarmi, e il modo in cui si muoveva. All'inizio non capii cosa mi stesse accadendo, semplicemente mi piaceva stare con lei, e facevo di tutto per averla accanto. Non era difficile, la mia parola era legge nella tenuta, ma all'inizio lei era titubante, temeva di far arrabbiare suo padre. Ma dopo che ricevette la paga nonostante la settimana passata a chiacchierare, raccogliere fiori nei campi ed esplorare i dintorni assieme a me, si lasciò andare. E diventammo inseparabili.»

Micalisto le vide insieme, correre in quel prato guardandosi negli occhi, e capì subito come sarebbe proseguito il racconto.

«Mi ci volle quasi un mese però per comprendere cosa stessi provando. Non era facile ammetterlo, per una ragazza cresciuta con un'educazione tradizionale, con un padre che già da tempo stava cercando un buon partito con cui concludere un accordo matrimoniale. Ma dovetti cedere alla realtà: non era amicizia, era amore.

Magda era diventata il mio respiro, il battito del mio cuore, il mio unico pensiero. La desideravo come mai altro in vita mia. Ed ero certa che anche lei, in fondo, provasse lo stesso per me. Così una sera la portai in questo boschetto, e la baciai. Lei ricambiò, cominciammo a spogliarci e ci amammo entrambe per la prima volta.»

Micalisto abbassò lo sguardo davanti alla scena che Ysbel riviveva senza pudore, e comprese infine il senso di quel sogno.

«Venimmo qui per dieci giorni, poi fui costretta a rientrare. Le promisi che sarei tornata l'anno successivo ma quell'inverno mi ammalai. Fu una cosa dolorosa ma rapida. Volli tornare un'ultima volta alla tenuta, mio padre non poté negarmelo. Speravo di rivedere Magda, ma erano tutti rientrati a casa finita la stagione. L'ultima sera, con le poche forze che mi restavano, scappai dal mio letto e venni qui. Volevo raggiungere il nostro bosco, ma morii al limitare del campo.»

«Quindi ogni anno torni perché gliel'avevi promesso.»

«Torno perché non posso stare senza di lei.»

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