6. Sognare in un mare di stelle
Alzò gli occhi: il cielo era un'interminabile distesa di brillanti, addensati come la spuma di un'onda nel mare nero della notte.
«In città è impossibile vederle così» disse, esprimendo quella sciocca riflessione ad alta voce.
«Teniamo accese troppe luci» spiegò lui.
Lancetta si voltò a cercarlo nell'ombra. Era così buio da rendere difficile distinguerlo. Ma ne sentiva la presenza, e ciò bastava.
Trascorse altro tempo, l'onda di stelle proseguì il suo flusso.
Era una serata ideale, le cicale insistevano nel loro assordante concerto che alla lunga era diventata una nenia rilassante, la temperatura era piacevole, con una leggera brezza ad allietarla, e le stelle lassù parevano non finire mai. Una serata ideale, sì, ma per cosa?
Lancetta tornò a cercare il profilo di Micalisto, riuscendo a distinguerlo a malapena. Si sorprese a chiedersi se non stesse facendo anche lui lo stesso.
«Quindi sei un investigatore dell'occulto?» chiese per evitare di pensare.
«Mi pare una definizione calzante. Non tutti però la capiscono.»
«Continueranno a chiamarti sacerdote nero, lo sai?»
«Temo di sì»
Lontano una civetta lanciò il suo lugubre canto, ma a Lancetta piaceva, era malinconico e accorato come il richiamo di un innamorato triste. Lo sentiva stranamente affine.
«Quindi, investigatore, cosa faremo se lo spettro si presenta?»
«Tu non dovrai fare nulla, tranquilla.»
Lancetta però avrebbe preferito fare qualcosa. Qualunque cosa.
«E tu invece?»
«Proverò a parlargli. Molto spesso gli spiriti non si rendono conto di come interferiscono con il mondo dei vivi, i più non sanno di poterlo fare. Molti non sanno neppure di essere morti. Gli parlerò, spiegherò come stanno le cose e gli mostrerò come trovare la pace.»
«Tutto qui?»
«Se non ci sono contrattempi, sì.»
La mente di Lancetta rappresentò un concetto di contrattempo ben lontano da quello ipotizzato da Micalisto. Lo scacciò ringraziando Abàtar che la notte avesse celato il suo rossore.
«E se ci fosse?»
«Improvviserò» rispose Micalisto senza cambiare il tono di voce.
Passò altro tempo, una nuova ondata di stelle sostituì la precedente, in una mareggiata costante e ipnotica.
«È stupendo il cielo stanotte.»
«Già.»
«Scommetto che vorresti condividerlo con un'altra, non con me» Lancetta si morse la lingua troppo tardi.
A Micalisto scappò una risata, le parve quasi d'imbarazzo. «E con chi dovrei condividerlo?»
«Con quella... ragazza di Hipaloma, ad esempio.»
«Cosa ne sai di Roxana?»
«So che negli ultimi tempi sei andato a Hipaloma almeno quattro volte» rispose lei, sforzandosi di apparire neutrale.
«Cos'è, mi spii?»
«Colpa di Decalisto, continua a dirmi: tieni d'occhio tuo fratello» disse facendo una pessima imitazione del boia. «Poi finisce che lo faccio davvero.»
«Non siamo fratelli» protestò lui. «E comunque se le cose stanno così saprai anche che in realtà è quasi un anno che non ci vado.»
Lo sapeva molto bene, ma tacque attendendo una spiegazione che, conoscendo Micalisto, poteva anche non arrivare.
«Con la caduta dell'Eudopia Unita, al confine il clima si è fatto pesante» la sorprese invece lui. «I clienti alla... pensione non erano più gli stessi e Madame Melina ha ceduto l'attività e si è ritirata. Molte ragazze se ne sono andate e Roxana è tra queste. Penso sia a Trodi ora.»
«Perché non le hai chiesto di venire a Firmiona?»
«Non era una storia così importante.»
Lancetta tenne per sé la domanda successiva, non aveva bisogno di conferme per capire che era l'esatto contrario.
La civetta aveva ripreso il suo canto, più vicina e più triste che mai. Era apparsa anche una striscia impercettibile di luna, pareva un sorriso di circostanza.
«Beh, anche tu immagino...» disse Micalisto.
Attese che finisse la domanda. Lui non la finì. Rispose comunque: «Non certo col figlio del lavandaio, se è quello che pensi.»
«Non state più insieme?»
«Non siamo mai stati insieme. Ci saremo baciati due volte in tutto. Ha le mani che sembrano gelatina, è orribile sentirsele addosso.»
«Ti ha messo le mani addosso?»
Il tono di lui l'aveva quasi spaventata, sembrava pronto ad andarsene da lì immediatamente per farla pagare al povero Willem. Sorrise lusingata, grata che non potesse vedere l'espressione del suo volto: «Mi ha accarezzato il viso, e preso per mano. M'è bastato.»
Il silenzio si riappropriò del campo, anche le cicale si erano prese una pausa. Solo il cielo non si stancava di spruzzare bagliori di galassie sulla terra nera. Il grano si muoveva sussurrando, cullato dai bisbigli della notte.
Lancetta si strinse nella giubba, accostandosi a Micalisto. «Scusa, improvvisamente mi è venuto freddo.»
Lui l'accolse senza dire nulla.
«È un freddo strano, e anche questo silenzio. Forse sta arrivando lo spettro» disse lei, sperando non sembrasse una giustificazione, ma capendo da sola che invece lo sembrava.
«Non è vero sai che quando c'è un fantasma si sente freddo. A volte capita, sì, ma la maggior parte di loro non sa interagire con il mondo dei vivi.»
«Hai ragione, me l'avevi già detto» rispose sperando di sembrare meno stupida. Ma poi aggiunse: «Magari questa è una di quelle volte.»
«Magari...»
Altre stelle ondeggiarono nel cielo e altro tempo scivolò via. Lancetta lo passò accoccolata al fianco di Micalisto, sorprendendosi rassicurata l'odore forte della pelle di lui, e dal ritmo lento del suo respiro. Avrebbe anche potuto addormentarsi, forse lo stava già facendo.
Nel silenzio della natura le parve di sentire una canzone, una vecchia nenia che le suonava familiare. Era una voce giovane, una fanciulla, la cantava con gioia e passione.
Riaprì gli occhi scacciando il sonno e il sogno. «Mi sono assopita un attimo e...»
«Taci» sussurrò lui.
«È qui vero?»
«Al limitare del campo, dove diceva Magda.»
Provò a guardare anche se non poteva vedere. «L'ho sentita. Il sonno mi ha preso un momento e l'ho sentita cantare.»
Micalisto incassò l'informazione: «È spinta da una forza molto potente. Potrebbe essere pericolosa.»
«Vuoi parlarle?»
«No, proverò a sognarla.»
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