50 Un'unica ipotesi
E mentre la suora prendeva tempo, optando per non dir nulla a Marco e sperando che le sue azioni e quelle di Sveva non portassero a conseguenze irrimediabili, la donna continuava a guidare furiosamente, come fosse una ladra, senza una meta. Il ticchettio provocato dal ragazzo sul finestrino, costante, maledettamente uguale, cominciò a darle sui nervi. Era nuovamente agitata.
Forse l'aveva fatta grossa?
«Benedetto, perché non mi dici a cosa stai pensando?» gli chiese osservandolo dallo specchietto retrovisore.
Ma a quella domanda non seguì alcuna risposta. Le dita, battute in modo ritmico sul vetro, il silenzio così prepotentemente presente, tutta quella situazione l'aveva già vissuta. Relegati nella parte più remota dei suoi pensieri, quei ricordi riaffiorarono violentemente; non era sola con Benedetto, c'era anche Marco, completamente fuori di testa. Le immagini scorrevano veloci nella sua testa, come frammenti, parole, e in quelle memorie un Marco che gridava la sorprese, essendo insolito per un uomo così pacifico come lui avere impeti d'ira. Avrebbe voluto vedere oltre...
Forse stava impazzendo?
La testa, in quel vano tentativo di mettere a fuoco quelle emozioni del passato, incominciò a pulsarle. Trasalì pensando a un profumo di donna...
Stava letteralmente diventando matta e Benedetto, col suo atteggiamento, non l'aiutava.
«Smettila, devi smetterla hai capito?» urlò all'improvviso pentendosi subito dopo del suo comportamento.
Si fermò con la macchina, per prendere ossigeno e per parlare a quel ragazzino scontroso e più cupo che mai.
«Scusami tesoro», disse, cercando di convincere anche lui a scendere dal mezzo per abbracciarlo e farsi perdonare.
Non ottenne nulla. Era disorientata, completamente persa. Chiamò Betta, ma il telefono squillò a vuoto. Forse era già sul treno o si apprestava a farlo. Le lasciò un messaggio vocale, svelandole quello che aveva fatto e rimproverandola ancora una volta di averla abbandonata. Continuò a passarsi le mani tra i capelli, rendendosi conto che la sua agitazione era ingiustificata; in fondo la suora aveva il suo numero, eppure non l'aveva chiamata. Avrebbe dovuto rasserenarsi per questo. Doveva soltanto fare una passeggiata con Benedetto e l'indomani trovare un'escamotage per portarlo all'audizione. Doveva soltanto calmarsi.
Non ci fu verso. Il cellulare continuava a tacere mentre migliaia di voci e presentimenti s'inerpicavano nella sua mente. Rammentò quello che le diceva Marco quando era agitata e, inevitabilmente, ripensò a lui. Le sue carezze, i suoi baci, le mancavano tanto, ma non doveva ricascarci ancora. Nonostante tutto non riusciva a immaginarsi accanto a nessun altro uomo. Non avrebbe più trovato nessuno come lui, così dolce, così vero. Rientrò in macchina e guardando il ragazzino constatò che anche lui le ricordava Marco. Era necessario darci un taglio e subito, tanto più dopo la confessione di Marco. Aveva un'altra donna; il padre di sua figlia aveva un'altra relazione. Così le venne in mente Rashad, il suo salvatore, e il giorno dell'aggressione. Era su di lui che sarebbe stato opportuno concentrarsi, per il bene di tutti. Quelle braccia forti che l'avevano attratta a sé, che l'avevano salvata...
Lo rivide mentre parlava con Betta ed ebbe un sussulto al cuore rievocando vecchie sensazioni, ingiustificati timori. Doveva accantonarli perché ne era quasi certa, non poteva non essere così: lui l'aveva sempre desiderata, era proprio lei che voleva e probabilmente lei ne era stata sempre attratta.
E poi c'era Benedetto, particolare non trascurabile; era per lui che si era recata da Rashad quella sera, era di lui che gli avrebbe parlato se non fosse stato per quell'incidente. Era deciso, si sarebbe recata al suo studio, come si era proposta inizialmente, come era giusto che facesse, scaccia do via ogni altro pensiero.
Fatto un bel respiro, ampio e profondo, e ritrovata la pace interiore, sentì piano piano dissolversi la tensione e diminuire tutte le preoccupazioni.
Anche Benedetto sembrava più tranquillo, quand'anche non avesse proferito parola. Inviato l'ultimo messaggio a Betta circa la pace ritrovata e i buoni propositi, incominciò a canticchiare e a parlare con il ragazzino.
«Vedrai, ti porterò da una persona speciale. Farete quattro chiacchiere, niente di più. Potrai limitarti anche a sentire cos'ha da dirti, ma cerca di parlare. So che puoi farlo. Ci conto».
Parcheggiò e, tenendo il ragazzino per mano, salirono a piedi per le scale.
Un gran vociare di donne la sorprese. Diversamente da loro, scendevano per le scale e sembravano provenire proprio dallo studio dello psicologo.
Apprese che stranamente tutti gli appuntamenti erano stati rimandati.
Non si scoraggiò, non avrebbe dovuto scavalcare nessuno e senza dubbio Rashad l'avrebbe accolta a braccia aperte.
«Mi spiace, non è possibile essere ricevuta. C'è stato un contrattempo e siamo stati costretti a rinviare gli impegni», disse la segreteria.
«Questa però è una cosa urgente. Annunci la mia presenza. Sono sicura che si potrà fare un eccezione. Se il dottore ribadirà la sua impossibilità a ricevermi, allora andrò via.»
Ma l'atteggiamento della segretaria era irremovibile. Ferma sulle sue affermazioni, non era affatto disposta ad accettare nessuna forma di compromesso o di patto.
Sveva si guardò intorno, prendendo tempo.
«Vuoi andare in bagno, tesoro?» disse rivolta a Benedetto. E senza aspettare una risposta, aggiunse: «Intanto puoi accomodarti qui. Arriverò subito. Fai il bravo!»
Poi senza guardare la segretaria, con uno scatto fulmineo, si recò direttamente nell'ufficio di Rashad, senza bussare, senza alcun preavviso. Seguirono le scuse della segretaria, che più di una volta le lanciò delle occhiate di disprezzo e dopo i vari convenevoli, le diverse accuse e le ripetute giustificazioni, fu fatta accomodare nell'ufficio del bel dottorino. Non avrebbe mai creduto, Sveva, di riuscire nel suo intento, non almeno così facilmente, ma la cosa che la colpì più di tutto fu il fatto che Rashad non solo non ne rimase sorpreso, ma che aveva un atteggiamento profondamente imbarazzato.
Era lì, fermo, sembrava un'altra persona, ma soprattutto pareva aspettarla da sempre, quasi avessero programmato quella visita. Indossava il suo camice bianco e con entrambe le mani in tasca, si muoveva con circospezione, come se da un momento all'altro potesse sopraggiungere qualcuno. Sembrava disordinato, a ben vedere, e aveva le labbra gonfie e rosse. Per un po' continuò a darle questa impressione, di persona distratta e preoccupata, finché non ebbe a calmarsi, smettendo di toccarsi il viso e mantenendo finalmente la concentrazione sulla sua persona.
«E così è qui per questo ragazzo?» chiedeva, con un tono di voce leggermente più alto del solito.
Sveva ricevette dei consigli, anche su sua figlia, sul fatto che dovesse riprendere una vita normale, iniziare a frequentare gente e ragazzini della sua età e Rashad promise di dare un'occhiata al ragazzo nei giorni a venire, non essendogli possibile farlo nell'immediato. L'ipotesi di far incontrare entrambi i ragazzi fu avanzata come una possibilità da non escludere e quell'idea non le dispiacque affatto.
Sveva fu abbastanza soddisfatta di quel colloquio, anche se le apparve come un incontro fin troppo normale. Avrebbe voluto capire di più circa quell'atteggiamento, l'eccessiva professionalità del suo interlocutore, il distacco con cui il tutto era stato affrontato, ma il destino sembrava proprio remare contro quella visita...
Un apparente ingiustificato prurito, la congestione nasale, i continui starnuti, l'avevano fatta desistere dal continuare a discutere con Rashad, rimandando ogni altra decisione a tempi migliori.
Un po' delusa da quell'inconveniente andò via, tentando di capire cosa avesse potuto provocarle quell'irritazione. Ripensò all'ultimo episodio. Era avvenuto di recente, ne era convinta, ma proprio non rammentava le cause e la circostanza scatenante. Continuava a starnutire e sentiva le palpebre gonfie. Il ragazzo la osservò e gliele sfiorò, quasi a volerla avvertire...
«Lo so caro, questo dannato prurito agli occhi ha rovinato tutto, proprio come l'ultima volta quando...»
"L'ultima volta, già, l'ultima volta" , ricordò, ma fu nello stesso tempo distratta dal ragazzo.
Notò il suo nervosismo. Era letteralmente concentrato con le mani a intrecciare qualcosa.
«Sei forse triste? Andrà meglio,vedrai. La prossima volta riceverà anche te. Intanto voglio farti conoscere mia figlia. Sono sicura che ti piacerà».
A quelle parole il ragazzino fece un passo indietro fermandosi per le scale, indeciso, quasi spaventato. Continuava a inveire su quella strana cordicella rosa, arrotolandola, attorcigliandola.
«Ma perché non parli? So che puoi farlo. E smettila di giocare con questa cosa!»
Sveva si soffermò su quella, strappandogliela con irruenza dalle mani. Non poteva credere ai suoi occhi. Un brutto presentimento le offuscò i sensi. Avrebbe voluto dimenticare di averla vista, ma anche quando ebbe rimesso a posto le ultime briciole di buon senso che le erano rimaste, le fu impossibile chiudere gli occhi senza che tutti quegli indizi dessero origine a quell' unica ipotesi. Non le restava che verificare...
Una brutta sensazione si stava facendo strada nel suo animo.
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