48 Un Mare di guai
Betta salì in macchina. Era veramente esausta e, nonostante il tragitto fu così breve, non disdegnò di fare un piccolo pisolino.
«Ehi, ma non dormirai sul serio? Su, avanti pigrona, scendi! Poi mi racconterai cosa hai fatto stamattina. Sembri davvero distrutta. Non ti ho mai visto così...»
«Già», rispose la riccia, biascicando qualche parola di disapprovazione, che Sveva colse a stento.
«Colpa mia? Cosa dici?» si lamentò Sveva.
«Niente cara, cosa hai capito? Certo che avrei bisogno di un attimo per sistemarmi. Dammi soltanto qualche secondo.»
Si diede della cipria, del fard. Ripassò il contorno labbra. Una veloce sistemata ai capelli.
Sveva era lì che fremeva.
«Sì può sapere cos'hai tesoro? Un attimino, perbacco. Non vorrai mica che me ne vada in giro così?»
«Non mi permetterei mai, figurati», la scimmiottò Sveva.
«Ma dove siamo, dove mi hai portato? Quanto tempo è passato?»
«Nemmeno venti minuti!»
«Bene bene, cherie. Andiamo, cosa aspettiamo?»
Alle volte sapeva essere davvero irritante Elisabetta, ma Sveva era troppo contenta per rovinare quel momento.
«Siamo a Parma, in centro.»
«Sì, ho visto.»
«Ci abbiamo messo un bel po' a parcheggiare per via del mercatino dell'antiquariato.»
«Quindi ci recheremo lì?» chiese Betta.
«No. Presto lo scoprirai!»
Si incamminarono per la città che, elegante, si presentava come una donna minuta, piccola ed ingioiellata. Il centro, con le sue piccole botteghe storiche, ricco di capolavori artistici e di piccoli e grandi tesori di epoche diverse, riempiva gli occhi e arricchiva lo spirito. Betta, con la sua mania di fotografare tutto, presa dall'euforia, si sbizzarrì con la fotocamera, immortalando il Duomo, dal caratteristico tetto a capanna, e la torre campanaria, con i suoi sessantatré metri di altezza. La piazza che l'accoglieva era davvero suggestiva. In essa, non meno appariscente per la sua forma ottagonale, svettava, non su tutti, il Battistero, una piccola bomboniera rosa, rivestita di un bellissimo e delicato marmo veronese. Davvero un dipinto d'altri tempi.
Anche le persone che vi passavano sembravano farne parte. Camminarono a lungo. Betta entrò in un piccolo negozio di numismatica per curiosare, guardare. Pareva aver dimenticato il senso di quell'uscita, il fatto che di lì a breve le sarebbe stata svelata la sorpresa. Era entusiasta di quella camminata, amando tutto ciò che era arte e cultura e non disdegnando affatto lo shopping e le passeggiate all'aria aperta. In una città allegra e viva, resa ancora più frizzante dalla presenza dell'Università, travolta dall'avvento della «movida», solo un animo raffinato e sensibile come la Betta poteva cogliere la bellezza nelle insegne ottocentesche di taluni esercizi e nell'arredamento d'epoca rimasto intatto di talaltri, simbolo del desiderio di preservare la memoria di una città a tratti ancorata al passato, sprezzante dell'omologazione imperante di certe attività commerciali, con gli stessi marchi e le insegne poco riconoscibili, che nulla avevano in comune con la storia del luogo.
Così si fece fotografare dinanzi alle profumerie storiche, alle macellerie equine, alle torrefazioni.
«Sai cara, un tempo esponevano fuori, dinanzi agli esercizi, i quarti di cavallo. Ho visto delle foto dell'epoca. Successivamente, per ovvie ragioni sanitarie, hanno abolito questa pratica. Te lo immagini le mosche d'estate? Non ci voglio pensare. Piuttosto, che ne dici di passare dalla Mammola?»
«La Mammola?»
«Oh cherie, la profumeria storica di Parma», precisò Betta.
«Sì, ho capito, ma ho in mente altro. Abbiamo fatto già troppe foto e siamo in ritardo», le disse quasi trascinandola. Avevano camminato tantantissimo, finché Sveva non si fermò dinanzi al portico di un edificio, sorretto da alcune colonne ioniche. Era il teatro, Betta non lo riconobbe, tanto furono precipitose nel raggiungerlo. Naturalmente era chiuso. Sveva sostò lì dinanzi. Sembrava aspettare qualcuno e, nonostante l'aria calda, pareva aver freddo e aveva preso ad agitarsi.
«Cos'hai mia cara? Sei in tensione?»
Poi girandosi e allontanandosi meglio per guardare, vide la facciata di stampo tipicamente neoclassico ed ebbe un'illuminazione, ma non fece in tempo a espletare il suo stupore e la sua gioia che vide un tipo avvicinarsi a Sveva. Pareva essere uscito da un fumetto. Eclettico non sarebbe stata la parola adatta. Aveva con sé un mazzo di chiavi grosse e pesanti. Al posto dei pantaloni una sorta di calzamaglia a righe bianche e marroni, coperta in parte da una camicia smanicata di seta marrone, aperta sul petto. Una collana in corda, lunga, con un ciondolo in legno. Gli occhi tondi e vivaci. Sarebbe stato anche un bell'uomo, se non fosse stato per il taglio dei baffi eccentrici, dalle insolite estremità arricciate verso l'alto. Parlava proprio con la sua amica in un incerto accento italiano.
Quando lo vide avvicinarsi, dopo aver detto qualcosa nella sua lingua a Sveva, salutò in italiano la Betta che, estasiata, rispose in un perfetto accento francese.
«Bene», li interruppe Sveva sentendosi un po' esclusa, «passerei le ore qui, ma abbiamo altro da fare altrove e senz'altro monsieur Pierre capirà», disse guardandolo negli occhi per ricordargli lo scopo di quell'incontro.
L'uomo si affrettò, continuando a fissare le donne e in particolare la Betta, che era rimasta senza parole; aveva lo sguardo scintillante, sprizzando entusiasmo da ogni millimetro della sua cute. Passarono per il backstage, dove ogni tanto si incontravano gruppi di visitatori guidati, intenti a seguire le spiegazioni date loro in lingua italiana e inglese. C'erano anche gruppetti di scolaresche. Alcuni spazi non erano accessibili per via delle prove in corso, ma a loro niente era vietato. Passarono in mezzo alla sala prova, tra recite e canto, ma nessuno ci fece caso, lo spettacolo doveva andare avanti e gli attori, i cantanti, così giovani e belli, indossavano abiti sontuosi. Passarono anche per il laboratorio di sartoria. C'erano stoffe eleganti dappertutto, appese in maniera casuale ai manichini, parrucche, guanti di pizzo. L'odore di talco e parquet era fortissimo.
«Guarda come starei, già mi vedo sul palco», disse Betta, indossando un cappello e recitando alcuni versi in francese.
«Divina», disse Pierre, accennando un finto applauso.
Il percorso non presentava barriere architettoniche, eppure a un tratto, dopo essere passati per il laboratorio di scenografia, persero la Betta. La cercarono dappertutto e la videro entrare in teatro. Ci vollero alcuni minuti perché i loro occhi si abituassero all'oscurità del luogo. Accarezzava i sedili in velluto e aveva gli occhi rossi e lacrimanti.
«Non me lo aspettavo sai?», le disse avanzando per il corridoio centrale.
Intanto gli addetti delle pulizie spazzavano e lucidavano con grande foga: da dietro le quinte, presto, sarebbero sbucati gli artisti per un'audizione generale. Betta fu invitata a uscire per non creare trambusto.
«Cosa fai, vieni qui?» la rimproverò Sveva, raggiunta in un attimo da Pierre.
«Voglio farla anch'io quest'audizione! Dimmi che siamo qui per questo, ti prego. Dimmi che non sto sognando e che ho un'altra possibilità.»
Sveva stava per rispondere, sbalordita da quella richiesta.
«Où est le garçon? Nous sommes là pour lui!», chiese Pierre.
«Quale ragazzo Sveva? Di cosa parla? Noo, stiamo camminando qui da ore per...»
«Per lui, sì per lui. Pierre fa parte della compagnia teatrale, una delle più importanti, ed è un bravissimo attore.
Ha tante conoscenze e io vorrei approfittare di questo per presentargli Benedetto. Gli ho detto che ha talento. È bravissimo e tu lo sai. È questa la sua strada e forse l'unico modo per sbloccarlo. Ne sono convinta. Questo mondo gli piacerà.»
«E tu che ne sai della sua bravura Sveva? Pensi di saper tutto?»
«Lo so, lo so e basta.»
Betta rimase attonita e perplessa. Forse Sveva ricordava.
Le Vennero in mente le parole di Marco e le sue minacce.
«Ammettiamo che tutto questo possa funzionare, come pensi di convincere la suora?»
«Semplice, mi aiuterai tu.»
«Où est le garçon?Continuiamò.»
«Fai smettere il grillo parlante o lo stendo, guarda», le sussurrò nell'orecchio prendendola per un braccio.
«Accipicchia, siamo nervose. Non ti credevo così suscettibile. Non hai fatto che sbattere le ciglia fino a poco fa», le rispose di tutto punto, ammutolendola.
Poi, verso l'uomo: «Il ragazzo oggi non è potuto venire. Mi spiace, ma come ti dicevo è bravissimo. Sentire lei, invece? Non potrebbe essere una bella idea? Sai, ha già qualche esperienza», disse guardando l'amica e strizzandole l'occhio.
Pierre era in palese difficoltà.
«Ce n'est pas possible!»
Sapeva di Pierre, di quanto fosse sempre stato preso da lei. Gli diede un bacio a stampo sulla guancia, facendolo arrossire. Era un vero gentiluomo e poi... poi non poteva resisterle.
Lo convinse ad accettare e a far contenta l'amica, suggerendogli di esagerare con lei, di esaltarla o le sarebbe costata la non riuscita del suo progetto.
Effettivamente ci fu una piccola audizione privata, molto privata. Betta si esibì in italiano, in francese dinanzi a Pierre e a un altro personaggio. Diede il meglio di sé. Pierre ne fu molto entusiasta. Ogni tanto la bacchettava per la postura e questo non potè che far contenta Sveva, che in fondo aveva avuto la sua piccola rivincita.
«Allora?» chiese quella.
«Très bien, vraiment».
Uscirono soddisfatte. Sveva era riuscita a strappare un appuntamento per Benedetto e Betta aveva trascorso una giornata meravigliosa.
«Come ti ha definito, dimmi?» rideva, rivolta all'amica.
«Diamant!», rispose Betta piena di sé, atteggiandosi e camminando in punta di piedi.
«Io ho sentito altro.»
«Tu non parli bene il francese!»
«Forse avrà detto diamanti brut?».
Risero di gusto anche se Betta sapeva di essere in un mare di guai.
Chi avrebbe dovuto ascoltare adesso?
Marco o Sveva?
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