46 La cosa giusta da fare

Una verità insopportabile e incomprensibile per Betta. Mandò giù il liquore, come fosse una medicina. Avvertì un bruciore intenso alla bocca dello stomaco.

«Cosa le hai fatto Marco? Lo sai anche tu che Sveva è stata e sarà sempre una mamma amorevole. Perché mi dici queste cose? Perché dovrebbe essere stata lei a spingere Francesca?» chiese supplichevole, con un fil di voce.
Aveva sempre pensato che essere lasciata fuori dagli affari di famiglia fosse la cosa più sensata da fare, quasi sempre, soprattutto quando non si trattava della sua famiglia, ma non ora.

Doveva sapere, aveva il sacrosanto diritto di conoscere tutta la verità.
La sua migliore amica si era macchiata di un crimine?
Sveva, Marco e Marta erano stati testimoni di un tentato omicidio?
E tutto questo alla presenza di un minore?

Non poteva crederci. Doveva esserci una spiegazione. Doveva essersi trattato di un incidente. Ma il resto, non riusciva proprio a comprenderlo.

«Dimmi qualcosa, Betta», disse Marco, «Ho bisogno del tuo appoggio o non potrò andare avanti. È tutto talmente difficile, io... non posso vederti così impassibile.»

«È invece tu dimmi di quel giorno», disse con il cuore in gola, ma decisa.

«Eravamo andati a fare una gita in montagna, come sempre. Io adoro la montagna, lo sai! Avevamo portato anche Benedetto e Francesca con noi.»

«E cosa aveva detto Sveva? Come era stato presentato Benedetto? A che titolo avevi giustificato la sua presenza?»

«Sveva sapeva delle lezioni di pianoforte di Franci. Pensavo io alla sua istruzione musicale. Ero io che l'accompagnavo dalle suore. Sapeva di un ragazzino che suonava con Francesca. Francesca parlava sempre di lui.»

«Le lezioni si tenevano lì, in collegio?»

«Quasi sempre. In una delle ultime lezioni, le avevo accennato di Benedetto, dicendole che era un vero talento e che Francesca si era tanto legata a lui. Ed era la verità. Loro si adoravano. Lei strimpellava sul piano e lui l'accompagnava cantando.»

Negli occhi di Marco, in quei ricordi, Betta intravide un amore sconfinato, l'amore di un papà per i suoi figli, l'adorazione per due ragazzi entrambi segnati, a loro modo, da quella tragedia, ma aveva fretta di sapere, capire.

«Vai avanti, Marco, ti prego. Non fermarti.»

«Quell'incontro è stato inaspettato anche per me. Non era calcolato e io non ero ancora pronto. Quella mattina dovevamo uscire solo noi, io Sveva, la bimba e Lana. Volevamo mettere alla prova il cane, vedere fin dove arrivassero le sue capacità di fiutare, e naturalmente volevamo godere del paesaggio e andare fin su al rifugio, ma Francesca fece tanti capricci. Eppure fu così brava a mantenere il segreto...»

«Poi, cos'è successo?»

«Forse loro, i ragazzi, erano pronti a svelare tutto. Loro, i bambini, hanno una marcia in più e hanno risorse inimmaginabili... loro.»

«Scusami, ma è difficile per me ripercorrere... » fece per prendere ancora un po' di liquore, ma Betta lo bloccò.

«Basta Marco, credo che questo non ti aiuterebbe, anzi», gli disse ponendogli una mano sulla spalla.

Si allontanò per un attimo a prendere un bicchier d'acqua. Betta lo seguì.

«Quindi Francesca ha svelato tutto e Sveva ha dato di matto? Così tu l'hai spinta e...»

«No, no», disse Marco prendendola per le spalle e guardandola negli occhi.
«Sveva, Francesca e ora Benedetto sono tutta la mia vita. Io amo mia moglie», disse con un tono di voce così dolce da mettere a disagio Betta.
«Perdonami Marco, io non volevo ma tu...»

«Ma io? Io cosa? Continua!»

«Tu non mi lasci altra alternativa, dannazione», disse Betta disperata.

«Non devi scusarti, tranquilla. Capisco. È stato difficile anche per me credere che tutto questo sia successo, che sia accaduto proprio a noi», rispose Marco sempre più nervoso.

«Quel giorno eravamo pronti per avviarci, quando Francesca ha iniziato a fare i capricci, dicendo che voleva che venisse con noi anche Benedetto, che non sarebbe andata da nessuna parte senza di lui, che desiderava tanto essere in compagnia del fratello. Naturalmente non si è espressa in questi termini. Forse Sveva ha intuito la mia reticenza nel far venire il ragazzo con noi, nel proporre la cosa alle suore, non lo so. Forse è stato questo. Io non lo nascondo, ero fortemente imbarazzato, ma di fronte alle insistenze della bimba, ho dovuto cedere. "Papà", mi diceva, "resteremo sempre insieme. Me l'hai promesso". In quel momento ho visto lo sguardo interrogativo di Sveva, volevo dirglielo, di Benedetto, di Marta, sarebbe stato tutto più semplice, noi due soli, senza Marta, senza nessuno, ma non ho avuto il coraggio di rivelare quel segreto. Nonostante tutto non ero tranquillo, temevo che la situazione potesse sfuggirmi di mano, che i ragazzi potessero dire qualcosa e che non fossi all'altezza di spiegare ciò che io stesso per primo avevo fatto fatica a capire. Così ho chiesto anche a Marta di venire, ma probabilmente l'atmosfera era molto tesa, tra di noi, tra me e Marta, e a Sveva forse questo non deve esser sfuggito. Così, quando le abbiamo detto la verità - povero amore mio - beh, temo che lei abbia frainteso tutto, che abbia temuto che...»

«Che tu volessi lasciarla, giusto?»

«Già, proprio così, visto il modo in cui ha reagito», disse Marco distrutto dentro.

Era accovacciato, sul divano, chiuso nel suo dolore. Non sembrava neanche più lui, ingobbito, piegato su se stesso.

Betta non avrebbe voluto infierire su quell'uomo. Anzi lo comprendeva, vedendolo come una vittima di quegli accadimenti. Tuttavia, non potè fare a meno di rimproverarlo, anche se tentò con tutte le sue forze di moderare i toni.

«Scusa Marco, ma cosa ti aspettavi? Tu stesso mi hai raccontato che negli ultimi tempi non dormivi più, non eri più lo stesso. Cosa avrebbe dovuto pensare Sveva, se non che ti stesse succedendo qualcosa di grave? Poi ti presenti con un'altra donna... E la frase di Francesca... Santo cielo, avresti dovuto dirle tutto in quel momento!»

«Tu non sai quante volte ci ho provato. Quante volte me lo sono rimproverato. Io...»

Betta vedendo la difficoltà di Marco, decise di non accanirsi, sebbene lo avesse voluto.

«E quindi? Andiamo oltre! Come ha reagito Sveva? Cosa è successo poi?»

«Non ha lasciato che io le spiegassi. Ha iniziato a camminare velocemente per un sentiero, inerpicandosi per la montagna. Non potevo lasciarla andare su da sola, non almeno prima di averle spiegato tutto. Poi ha iniziato a piovigginare. Sveva era come impazzita. Le correvamo tutti dietro. I bambini erano spaventati e il cane non faceva altro che abbaiare. Di colpo, vedendo che io non mollavo, che non l'avrei lasciata andare, non almeno senza aver terminato il racconto, lei ha invertito il senso di rotta. Dicevo a Marta di ritornare indietro con i bimbi, perché il meteo non era a nostro favore, ma lei non riusciva a tenere a bada Francesca che, vedendo che la madre era in quello stato, piangeva e tirava. Finché a un tratto...»

«A un tratto, cosa? Completa la frase Marco!»

«Lei, mi ha respinto fisicamente, ma in quel momento la bimba è sfuggita dal controllo di Marta e frapponendosi tra noi, me e Sveva, è caduta a terra. Il terreno è venuto a mancarle sotto i piedi e poi... poi puoi immaginare.»

«Mi spiace Marco. Tanto»

«Così Sveva ha iniziato a urlare, contro me, contro Benedetto, dicendogli che era tutta colpa sua, che era stato lui la causa di tutto. Non potrò dimenticare i suoi occhi e lo sguardo di Sveva. Come lo guardava... Sono sicura che non pensava tutte quelle cose. Lei era una donna sensibile.»

«E lo è ancora Marco», disse.

«E dopo?»

«Beh, dopo è stato l'inizio della fine. È cambiato tutto tra di noi, per Benedetto, per Francesca», disse Marco, in uno stato di profonda apatia.

«Sì, lo so. Voglio dire, perché non state più insieme tu e Sveva? È questo che non mi spiego. Se l'ami ancora come dici, perché non le sei stato vicino nel momento più difficile della sua vita? E perché non continui a farlo adesso? Dovevate farvi forza, restare uniti, e invece? Poi Marco, devi dirmi di questi», disse Betta, traendo dalla borsa i documenti che erano caduti in bagno.

«Sono tuoi?»

Marco rimase sorpreso. Dopo aver dato loro una rapida occhiata, disse: «Sì, sono miei, ma non mi spiego come tu possa esserteli procurati. Sono documenti riservati, del cui contenuto sono a conoscenza soltanto pochissime persone: io, Marta, mia madre, Attanasio e Virginia, credo anche lei. Sveva non deve sapere assolutamente nulla. È anche il motivo per cui non stiamo più insieme. Vedi, lei non ricorda più nulla.»

«Qualcosa avevo capito, leggendo. Ma il linguaggio è talmente specifico, che mi ha dato non pochi problemi. In realtà io li ho trovati a casa vostra, nel bagno piccolo, quello di servizio.»

Marco fece mente locale, poi annuì.

«Ma Sveva... »

«Tranquillo, lei non ha visto nulla, anche se sono stata molto tentata dal mostrarglieli», disse Betta cercando di rasserenare Marco, che sembrava alquanto preoccupato.

«Perché non ricorda nulla? Eppure parlando del passato, lei non ha cancellato nulla. Marco, mi senti?»

«Sì», disse quello completamente nel pallone.
Poi riprendendosi: «Credo che quei documenti», disse riponendoli con cura nella sua valigetta, «mi siano caduti nell'ultima visita fatta a Sveva. A ogni modo noi siamo stati insieme dopo l'incidente, e io, beh, le ho dato tutte le attenzioni possibili, quand'anche avessi tanti altri pensieri. Ma lei era chiusa nel suo dolore, non dormiva, non parlava più, passava le ore in ospedale, sempre, anche quando non era possibile fare visita a nostra figlia, finché un giorno, volendo affrontare l'argomento di Benedetto, ho capito che lei non ricordava. La cosa mi aveva non poco colpito. Alle volte diceva cose senza senso, imputando la colpa a me, di tutto. È stato allora che ho deciso di chiamare Marta.»

«Marta? Perché? Non ti bastava tutto quello che aveva patito? Dovevi stare lì proprio a scavare nel suo dolore, tormentandola ancora?» disse Betta, pentendosi subito di quelle parole.

«Ok, scusa. Ho esagerato, ti ascolto. Come ha reagito Sveva quando ha rivisto Marta?»

«Il punto è che non ha avuto alcuna reazione.»

«In che senso? Ha deciso di metterci una pietra sopra, di dimenticare, di...»

«No, no, nulla di tutto questo. Le ha offerto un tè e ha deciso di raccontarle l'accaduto. »

«Cosa? Che vuoi dire?»

«Che non ricordava più nulla, neanche Marta ha riconosciuto. Io ero disperato. Non avevo nessuno, non mi andava che questa cosa venisse fuori. Dire anche di Sveva, che mia moglie non ricordava. Tutto era davvero sempre più complicato. Affrontare ogni giorno la gente che chiedeva della bambina. Non è stato per niente semplice. Mi sono appoggiato a Marta, alla sua esperienza di psicologa. Lei ci teneva particolarmente ad aiutarci.»

«Immagino», disse Betta, anche se si trattattenne dal dire altro, dopo l'occhiataccia ricevuta da Marco.

«Marta cercava di tranquillizzarmi, dicendomi che alle volte lo shock può causare delle amnesie temporanee. Questo mi diceva, ma così non è stato.»

«E quindi tu hai deciso di allontanarti? Di mollare? Non ho parole. Complimenti!»

«Non mi aspetto di essere compreso, ma ti assicuro che non è andata esattamente come immagini. Perché ti comporti in questo modo?»

«Perché hai sbagliato, ecco perché. Non dovevi lasciarla sola, perdonami. Io non ti capisco. Hai pensato di abbandonarla, temendo che la cosa degenerasse? E così ti sei liberata di lei...»

«No, niente di tutto questo. Le sono stato vicino sempre, sempre.»

«E allora?»

«Ma era tutto un tormento. Dal silenzio, siamo passati agli incubi, dagli incubi alle recriminazioni. Lei accusava dell'accaduto me. Ero l'unico responsabile. Dopo che Marta l'ha presa in cura, siamo passati ad altre visite, ad altre diagnosi. Lei si era ricostruita una sua realtà, finta, probabilmente per superare quella inaccettabile di aver spinto sua figlia giù dal dirupo. Perché è quello che ha fatto quando si è posta tra di noi. Ma è stato un incidente. Soltanto un triste incidente. Così ha innalzato barriere, con me, con il mondo reale, per proteggersi. Un naturale meccanismo di difesa che l'ha salvata, mi hanno detto, ma ha lasciato indietro noi. Quello che eravamo, tutto sparito, dimenticato.»

«Un dolore troppo grande», disse la riccia.

«Troppo, anche per una donna forte come lei. Per lei ero stato io, a lasciarla sola, impegnato troppo a occuparmi dei miei avvistamenti, dei miei esperimenti con Lana. Mi dicevano che dovevo avere pazienza, che non dovevo rispondere. Lei stessa alternava momenti in cui mi aggrediva, non solo verbalmente, con periodi in cui mi chiedeva di scusarla. Ma poi si sprofondava immancabilmente in quel baratro. Io non ce la facevo più. Gli insulti, le accuse, forse avrei potuto anche sopportarle, ma il silenzio, doverle tacere ancora la verità, quello proprio no: non sarei riuscito a trattenermi a lungo. Un giorno ho temuto di svelare tutto, perché volevo dirle di smetterla, che doveva perdonarsi, che eravamo tutti, proprio tutti, vittime del destino, persino lei che aveva spinto la piccola. Fu Marta a impedirmelo, a sopraggiungere per caso e, anche se lei non lo sa, a salvarci.»

«Capisco.»

«Fu l'ultima volta che dormii accanto a lei, almeno per una notte intera. Poi, prima che partisse a Pisa quando ebbe una crisi. Mi avevano detto che potevano capitare, che avrei dovuto darle dei sedativi, che poteva essere pericolosa anche per se stessa in quel momento.»

«Sono con te Marco», disse Betta, poggiandogli una mano sulla spalla.

Lui ricambiò stringendogliela.

«Sai non è stata una passeggiata, per noi, per me, neanche per mia madre. Ho dovuto dirle la verità, di Benedetto, di Marta, anche se lei non le ha mai perdonato nulla. Non l'ha mai accettata come madre di mio figlio e non è mai riuscita a volerle bene, non come ha fatto con Sveva.»

«Posso chiederti che farai adesso, Marco?»

«Non lo so. In tutto questo tempo ho fatto sempre in modo che le persone che amavo sapessero sempre quanto le amassi. Ho passato l'intera vita a farlo... Ora è giusto che pensi un po' a me e a Francesca. È l'unica cosa che conta.»

Poi, illuminandosi, disse:«Andiamo a fare un giretto in corsia.»

«Che vuol dire?»

«Ieri e avantieri toccava a me stare con lei in ospedale e...» fece una pausa di commozione.

«E quindi?»

«È riuscita a tirarsi su, col collo, a reggersi eretta sulla sedia a rotelle e a chiamarmi papà. Così oggi tentiamo una passeggiata in corsia, due minuti, per vedere altro oltre quelle quattro mura.»

Marco piangeva di gioia.

«Oh Marco, che notizia. Non hai idea di quanto sia contenta. Strano che Sveva non mi abbia detto nulla. Come mai? Ma adesso che le cose stanno migliorando forse tu...»

«No, lei non deve sapere nulla. Accompagnami da Francesca, così ti spiego. Della bimba gliene avrei parlato al più presto. Volevo vedere come andava oggi. L'ultima cosa che vorrei è illuderla.»

È così si avviarono. "Sveva non doveva sapere nulla", si ripeté in mente Betta.
Ma era davvero la cosa giusta da fare?

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