26 È tutta una questione di "focalizzazione"

Che aspetti Sveva? Apri quella dannata porta! Non avere paura: un solo gesto, un semplice gesto.
Tutto era fermo intorno: sentiva soltanto il battito del suo cuore giungerle fino alla gola. La voce della Betta non le arrivava più; eppure la fissava impietrita rivolgendole delle parole che lei, Sveva, non poteva udire. Il viso contratto, preoccupato: non pareva essere lei, la sua amica. Pochi secondi, un'eternità. Non c'erano più rumori intorno. Lorenzo, che fino a qualche minuto prima correva a più non posso, dietro il piccolo criceto, il criceto bianco dagli occhi rossi, ora era fermo davanti all'ingresso, con Lillo stretto al petto e con in mano, nell'altra mano, la paletta rossa, col braccio che rimaneva a penzoloni lungo il fianco. Quell'arnese era rivolto ormai in giù, quasi in segno di resa. Lo sparviero, come lo chiamava il bimbo, aveva vinto, era fuggito e lui non era riuscito a catturarlo. Lo sguardo di Lorenzo rivolto alla maniglia. Anche lui, gli occhi lucidi, sembrava volesse dirle qualcosa...
Ma cosa?
Tutt'intorno un'aria pesante: pareva che Sveva stesse per essere inghiottita dall'intero universo. Come se tutto lo spazio si fosse concentrato in quella piccola parte di mondo, il suo mondo. Un processo si era autoinnescato, ma su scala ridotta. Una reazione in grado di spazzare via tutte le sensazioni, i pensieri, gli odori. Solo il rumore del suo respiro.
Che aspetti? Apri quella porta!
E fu giù: la maniglia dopo una inspiegabile resistenza, come se tutta la corrente del mondo si opponesse a quel gesto, fu giù. Sentì l'anta della porta ruotare attorno al suo asse, e fu subito luce, colori, suoni. Fu investita dalla vita intorno a lei e da quell'odore famigliare di Vetiver, che, come una musica stonata, la riportava a quella tragica e triste realtà. No, Marco non c'era e di fronte a lei c'era Rashad, con in mano una bottiglia e nell'altra un vassoio di dolci.

Era lì, impalato, aspettando un cenno, un qualcosa che significasse accoglienza, ospitalità.
Ma tutto quello era pura immaginazione, non poteva essere reale: il destino, beffardo, si stava prendendo gioco di lei.
Il clacson lei lo aveva sentito, non era un'allucinazione, e quello che aveva davanti a sé era solo uno scherzo del fato. Se ne stava lì, il poverino, fermo, aspettando una parola che assomigliasse anche vagamente ad un "Benvenuto, che piacere averti qui!"...
Ma nulla, non ci fu nessun gesto, nessuna frase. Sveva era smarrita. Lanciava occhiate che andavano da Rashad a Betta e viceversa.

Si piegò Rashad, sulle ginocchia, per incontrare il suo sguardo, mostrandole ancora quei dolci e scuotendo la bottiglia. Ma non vedendo alcuna reazione fece una smorfia e poi uscì un: «Tataaaaa. Yu... hu, c'è nessuno? Immaginavo di fare un certo effetto sulle donne, di avere un certo ascendente, ma questa poi..., addirittura, chi se la sarebbe mai aspettata? Se vuoi possiamo stare qui tutto il tempo che desideri, in contemplazione».

Ma quella, imperterrita, continuava inebetita a non fare nulla e quando lui, visibilmente in imbarazzo, iniziò a fischiettare guardando il cielo e commentando il meteo scherzosamente, lei lo spintonò, incurante, e, passando oltre, fece cadere irrimediabilmente tutto il carico.
Era impazzita!
Betta la vide correre fuori.
Cosa diavolo stava succedendo?

Elisabetta era imbarazzata e palesemente a disagio con Rashad.
Non è possibile trattare così le persone!
Anche Rashad fu dispiaciuto ma, d'altro canto, più preoccupato per Betta che per sé ,vedendola affannosamente tentare di rimediare al disastro causato dall'amica, prese a scherzare:

«Se questa è la reazione che faccio alle donne, mi toccherà cambiare tattica o forse mestiere!»

«Già», disse Betta, ma in realtà non lo ascoltava più, essendo concentrata su Sveva, che ormai era diventata piccola piccola ai suoi occhi, in tutti i sensi.
Poteva una donna cambiare così tanto?
La seguì con lo sguardo finché non la vide fermarsi in fondo al viale. Ma cosa stava combinando? Ecco spiegato!

Ma è Marco!

Poi rivolta a Rashad:«È Marco!»
Marco era lì, aveva appena parcheggiato.

L'uomo la guardava e per non contraddirla confermò :«Certo, è Marco, come ho fatto a non arrivarci? Adesso mi è tutto più chiaro».
Ma lui, Marco, non sapeva neanche chi fosse.

«Sì, tu sei la sorpresa e lui è Marco, la sorpresa che non doveva arrivare»,disse il bimbo tutto contento di poter essere utile.

«Ah ah, sorpresa?»,chiese,«buona questa!»

«Signora Betta, Rashad la saluta, è stato un vero piacere conoscerla e non so come ringraziarla per tutto quello che ha fatto per me. È stato davvero bello stare insieme, un'esperienza breve ma intensa, ma credo che adesso sia il caso che io vada.»

«Ma no, dove va?», disse Betta tirandolo dentro.
Ci teneva davvero che pranzassero tutti insieme ma la situazione era davvero particolare... 
Senz'altro era successo qualcosa d'importante se Marco aveva preferito mettersi in viaggio per arrivare sino a Pisa, piuttosto che limitarsi a chiamare. I due, Sveva e Marco erano seduti in macchina e sembrava non avessero nessuna intenzione di ritornare. Betta si era alzata a guardarli e si chiedeva se davvero non fosse il caso caso di annullare quell'incontro.

«Ma mamma, la sorpresa va via?» iniziò a piagnucolare il bimbo.

«Aspetta di là, amore, poi ne parliamo. Vuoi?»

«Non è giusto, mi hai detto che sarei stato con la zia Sveva, avremmo giocato con Lillo, la sorpresa e tutto il resto. Sei una bugiarda. Non ti voglio più bene, ha ragione Giovanni, i grandi sono cattivi.»

Poi rivolgendosi a Rashad:«Perché non puoi restare? Le sorprese sono sempre belle, che sorpresa è se vai via? Ha ragione papà quando dice che questa è una gabbia di matti».

«Va' subito dentro!» disse Betta dandogli una sculacciata.
Era davvero troppo, da non crederci.

«Non riesce a rimanere?» domandò poco convinta ma timorosa. Sapeva che il momento forse non era molto adatto e che probabilmente, vista la situazione, sarebbe stato più opportuno restare da sola con l'amica per parlarle, ma allo stesso tempo aveva paura di conoscere la verità e forse di affrontare una brutta notizia. Rashad aveva capito.

«C'è sempre un momento in cui un uomo capisce che è giunta l'ora di andare e arriva sempre l'attimo in cui dobbiamo farci forza e aiutare le persone che amiamo. Vedrà che non sarà difficile  le verrà naturale, né sono convinto. Non abbia paura.»

Non sapeva cosa dire Betta...

«Grazie, per la fiducia, per tutto. Al suo posto io sarei scattata, avrei perso le staffe, la pazienza . Dopotutto Sveva è stata molto sgarbata... Avrà avuto senz'altro i suoi motivi e le assicuro che non è mai stata così, stento a riconoscerla, ma rimane il fatto che non è stata gentile. Lei invece ha fatto di tutto per non mettermi a disagio, per non creare problemi», disse girandosi mentre contemporaneamente provvedeva a sistemare, ripulire. Poi ancora aggiunse: «Come ci riesce? A mantenere il controllo, a non perdere la pazienza. Come fa? Anche in agenzia, per le valigie. Sembra quasi che venga da un altro pianeta», concluse tra sé e sé.

«Sì sì sì», mentre scuoteva la testa ridendo.

«La verità è che non mi sembra il caso di parlare qui, davanti all'uscio... Io preferirei andare, mi creda, ma le sono davvero grato e mi spiace per i dolci, per tutto.»

Aveva capito Betta che quell'uomo, all'apparenza sicuro, scherzoso, equilibrato, non amava parlare di sé, delle grandi cose che probabilmente faceva e che aveva un grande cuore e che soprattutto pensava più agli altri che a sé. Forse stava andando troppo oltre con i giudizi, forse stava fantasticando troppo, ma era quella l'opinione che si era fatta, giusta o sbagliata che fosse, era quella l'idea che aveva di lui e non riusciva a capire l'ostilità dell'amica che mal si conciliava con il passaggio dato a Rashad.

«Allora andrai via?» si affrettò a domandare il piccino che era tornato all'attacco, con il labbro inferiore forzatamente all'esterno e con il pugnetto intento a stropicciarsi l'occhio.

«E sì, ma magari c'incontreremo ancora, chi può saperlo!»

«Ma io voglio stare con te. Il mio papà ancora non torna. Non vuoi mangiare una tartina che ha fatto mamma?»

«Su su su amore, vai a giocare...»

«Anche se, a pensarci, il bimbo ha ragione, si è fatta una certa ora e Sveva sta andando via in macchina con Marco. Chissà... », sospirò pensierosa.
«Potrebbe mangiare qualcosa mentre le faccio un caffè? È sicuro di non voler entrare? Mi dispiacerebbe vederla andare via così.»

Il bimbo lo prese per mano conducendolo dentro. Mangiarono qualcosa sebbene tutte le attenzioni fossero concentrate sul piccolino. Rashad riusciva a calmarlo, rispondendo a ogni sua domanda. Poi scomparve nella sua stanzetta, lasciando sul tappeto, sparsi un po' ovunque, burattini, soldatini: un vero campo minato, che non una cameretta. Betta si piegò a raccogliere tutti quei giocattoli, aiutata da Rashad.

«Ho imparato», disse lui ad un certo punto, «a dare importanza alle cose che contano».

«All'inizio non pensavo che ci sarei riuscito, a portarmi tutto dentro, a fare finta di nulla. Era duro a fine giornata... e Rashad voleva mollare.»

Betta si sistemò, per terra, per guardarlo negli occhi, per capire meglio.

«Le parole che ascolto ogni giorno, pezzi di confessioni tirate fuori a fatica, sono strazianti e a fine giornata ti lasciano uno straccio. Quando vengono dai bambini, quando vedi l'orrore nei loro occhi, è davvero dura ma tu devi farti coraggio e non cedere ma solo ascoltare ed aiutare. C'è tanta violenza gratuita, ingiustificata, frutto dell'ignoranza e del disagio sociale. Rashad ha imparato a vivere e a mettere da parte. All'inizio mi sforzavo di ridere e così facendo mi divertivo davvero prendendo la vita con filosofia. Adesso è una mia filosofia di vita. Ho imparato a cambiare me stesso e il mio atteggiamento mentale, non il mondo circostante che purtroppo non può essere cambiato. Se ci si concentra sulla spiritualità non si può provare, in contemporanea, sentimenti bassi quali rabbia e frustrazione. Bisogna focalizzarsi. Lo dice il Karma: è la 4°e la 7°legge del Karma. Bisogna soltanto ascoltare il Karma che è neutrale e non punisce. Soltanto ascoltarlo.»

Rashad, raccolti i giochi, la salutò a mani giunte, come soltanto lui sapeva fare, porgendole il suo bigliettino da visita.

Soltanto ascoltarlo... come se fosse facile!

Con quel pensiero si lasciò cadere sul divano ripetendo tra sé e sé: soltanto ascoltarlo!

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