2 Il Rientro a Sorpresa di Marco
Sveva abitava nella prima periferia di Parma. La sua era una bellissima villa in stile liberty che Marco aveva fatto costruire con l'aiuto di un suo amico architetto, Attanasio, con il quale aveva condiviso un appartamento quando aveva studiato all'estero. Stabilì che si sarebbe recata al Parco Ducale; lì avrebbe fatto una sosta. Al rientro avrebbe potuto anche prendere un autobus.
Sveva amava fare sport, in qualche modo la rasserenava.
Dopo un'oretta di corsa, libera da ogni turbamento, avvertì finalmente sciogliersi ogni tensione, e poté concedersi di osservare ogni cosa che la circondava, nei minimi dettagli, come se la sua mente si fosse completamente aperta: la gente camminava indifferente; le coppiette, sedute sulle panchine, le facevano tenerezza; i bambini, spensierati, gareggiavano con i grilli, pedalando furiosamente.
Anche Francesca adorava andare al parco, mirando sempre a noleggiare quegli strani aggeggi. Tutte le volte finiva col cadere e sbucciarsi le ginocchia.
Ansimando, Sveva, si fermò esausta a una delle panchine e, mentre si accingeva a raccogliere frettolosamente i capelli in una coda di cavallo, sentì scivolare tra le dita uno dei due orecchini di perle. Stupidamente non aveva pensato di toglierseli; era il regalo che Marco le aveva fatto in occasione del terzo anniversario di nozze.
Fu allora che sentì una voce vagamente familiare. Si accorse che, seduta ad una panchina, c'era una sua vecchia conoscenza, famosa ai più per il pettegolezzo e la malignità. Era Virginia. Cosa ci facesse lì, alle 09.00 del mattino, con sua mamma, vestita di tutto punto, con i tacchi a spillo e una piccola pochette nera dal manico dorato, era a dir poco un mistero, ma quella donna non aveva mai finito di stupirla, se non altro per l'arroganza e la cattiveria gratuita.
Virginia era stata una delle ex fidanzate di Marco. Era la sorella di Attanasio. Quest'ultimo e Marco si erano conosciuti a Durham, durante i sei mesi trascorsi presso la Duke University. Entrambi avevano partecipato con successo al bando di concorso per l'assegnazione di una borsa di studio messa a disposizione dai loro rispettivi atenei e avevano finito col frequentarsi, pur provenendo da diverse formazioni.
L'uno, Attanasio, dalla facoltà di ingegneria e architettura, l'altro dalla facoltà di medicina di Parma. Marco da sempre aveva voluto studiare medicina e, durante il suo soggiorno a Durham, si era molto avvicinato alla "integrative medicine", "un approccio terapeutico, - per seguire la definizione della Duke University - che pone il paziente al centro di tutto e affronta l'intera gamma di dinamiche fisiche, emotive, mentali, sociali, spirituali e ambientali che influiscono sulla salute di ogni persona, impiegando una strategia personalizzata che considera le condizioni, i bisogni e le circostanze del paziente".
Da sempre Marco era affascinato dallo studio delle malattie croniche e dal fatto che molto spesso alcune di esse non derivassero da un vero danno anatomico, come le cefalee e la sindrome dell'intestino irritabile, ma che si potesse andare alla radice delle stesse per risolverle, senza aspettare che si verificasse un vero danno organico.
Spesso invece la medicina convenzionale trattava tali malattie solo in modo sintomatico e non risolutivo e a Marco questo era sempre sembrato un approccio incompleto. Virginia ebbe spesso modo di andare a trovare il fratello durante il suo soggiorno a Durham, ma le sue visite si erano intensificate notevolmente da quando aveva avuto l'occasione di incontrare Marco per la prima volta.
Dal canto suo Sveva non aveva mai nutrito della gelosia nei suoi confronti, anzi per un breve periodo si erano anche frequentate. Sapeva che quella giovane donna non aveva mai significato nulla per Marco, se non una piccola irrilevante parentesi della sua vita, tuttavia, in quel momento, l'idea di farsi trovare impreparata su cosa dire di lei e Marco la colse all'improvviso. Per un attimo dimenticò l'orecchino, prese tempo stando ferma e immobile accovacciata vicino alla panchina, sperando di passare inosservata agli occhi dell'amica, ma ormai era troppo tardi.
«Oh mamma, ma guarda un po' chi abbiamo il piacere d'incontrare?» disse Virginia lanciando un'occhiata d'intesa alla sua interlocutrice. Purtroppo la madre la guardò smarrita non ricordando nulla; da tempo la signora Vanessa soffriva d'Alzheimer e aveva spesso piccoli vuoti di memoria. La figlia prese la palla al balzo per sottolineare:
«Come mamma non ricordi? La... - fece una pausa - insomma Marco, l'amico di Attanasio, rammenti? Lei era la fidanzata...»
Quel finto imbarazzo, le parole dette e non dette da Virginia, fecero sentire Sveva molto a disagio. Perché non era stata presentata come la moglie di Marco? Quindi il distacco, l'incomprensione che c'era stata tra lei e il marito, era stato messo tutto in pubblica piazza?
Era davvero finita tra lei e Marco? I due anni di fidanzamento, il loro matrimonio, erano stati annullati? Si sentì avvampare avendo soltanto in quel preciso istante la concreta percezione della fine del suo rapporto.
Certo lei aveva sbagliato con Marco; l'averlo trascurato e talvolta persino colpevolizzato per quello che era accaduto alla loro pargoletta aveva incrinato il suo rapporto con lui, ma senz'altro quella situazione poteva definirsi come una pausa di riflessione e forse da quel dolore immenso e da quel distacco ne sarebbero usciti più forti e più consapevoli.
«Come stai?» continuò Virginia, interrompendo quella valanga di riflessioni, senza neanche darle il tempo di rispondere.
«Nonostante tutto ti vedo bene», decretò come a sottolineare che quel "nonostante tutto" non fosse riferito alla salute di Francesca. Poi monopolizzò quasi tutta la conversazione chiedendo della bimba, passando a parlare di suo fratello, di come fosse ben avviato il suo studio, della malattia della mamma e di mille altri argomenti futili.
Si salutarono velocemente, avendo Sveva premura di portare Lana a fare la sua solita passeggiata. Solo dopo che ebbe intrapreso la strada del ritorno, distrutta mentalmente e un po' delusa, ricordò dell'orecchino perso e, quando fece per ritornare indietro, si accorse che le due donne erano ancora lì che parlavano, appartate vicino ad un chioschetto nel parco, questa volta in compagnia di un giovane uomo, che solo dopo ebbe ad identificare come Attanasio.
«Già - disse lui - anche io non me lo sarei aspettato! La vita è imprevedibile...e il dolore ti può far fare cose che neanche ti sogneresti di fare.» Certamente parlavano di lei - immaginò Sveva - del fatto che avesse incolpato Marco per l'incidente di Francesca. Se sapevano tutto era perché probabilmente Marco, ancora legato ad Attanasio, gli aveva confidato il suo dolore; del resto erano molto uniti quei due: spesso facevano insieme delle passeggiate in montagna e non di rado lei stessa, Sveva, aveva avuto l'occasione di accompagnarli.
Era proprio in quelle circostanze che aveva avuto modo di conoscere Virginia, una donna acida e pettegola, e tutte le sante volte, durante quelle passeggiate, si era chiesta come avesse potuto il marito, anche soltanto per poco tempo, intrattenere una storia che assomigliasse anche lontanamente a qualcosa di sentimentale.
Senz'altro si era trattato di semplice sesso, ma se suo marito era diventato quello che era, così intraprendente, così sicuro, così attento alle esigenze di Sveva, forse ciò era stato anche merito di quella donna e di tutte quelle che eran venute prima di lei e, se questo era il prezzo da pagare, bene, lo avrebbe accettato; Marco era un uomo passionale, oltre che uno splendido compagno di vita, e adesso non voleva perderlo. Erano passati sei mesi dalla loro separazione, nove dall'incidente della loro amatissima piccolina, eppure ora quel tempo le appariva un'eternità.
«Proprio ieri l'ho visto rientrare in aeroporto con Marta», proseguì Attanasio.
Ma chi era Marta? - si domandò. Ricordava vagamente la fine di una storia seria con una ragazza che ebbe il posto nella vita di Marco subito dopo Virginia. Ricordava che quella donna lo aveva lasciato per ragioni misteriose e finanche la reticenza di Marco nel parlarne. Ma poi che andava pensando?
Comunque quello che lei e Marco avevano costruito insieme era stato meraviglioso: non c'era motivo di dubitare, di essere gelosa. Volle scappare via, non sentire più di quanto non avesse già ascoltato, e scelse il percorso più vicino all'uscita, anche se le sarebbe costato più strada da fare al ritorno.
Una forza misteriosa la condusse a passare vicino alla casa dove Marco aveva trascorso la sua infanzia e dove viveva ancora con nonna Angela, la donna che lo aveva messo al mondo. Lei non aveva motivo di dubitare: senz'altro Attanasio si era sbagliato e Marco non poteva essere rientrato senza avvisarla; dopo tutto in quegli ultimi due mesi, anche se i suoi rapporti con lui si erano molto raffreddati, Marco aveva sempre chiesto delle condizioni di Francesca e aveva sempre mantenuto buoni contatti con lei avvisandola sempre dei suoi spostamenti e dei suoi rientri a Parma.
Certo non capitava di rado che i numerosi impegni, che lo vedevano spesso ricoprire ruoli importanti, lo tenessero lontano da Francesca, ma non da arrivare a giustificare un rientro di nascosto.
Adesso Sveva era proprio lì, davanti a quel portone, affannata. Non c'era nulla da vedere, non c'era Marco e, a dire il vero, pur essendosi fatte ormai le 10.15, in quel momento non c'era nessuno in quella strada. Ma cosa si aspettava? Delusa, si girò per ritornare indietro quando, senza volerlo, di sottecchi, vide arrivare in macchina suo marito.
Lo riconobbe dall'auto di grossa cilindrata, uno degli ultimi acquisti che si era voluto concedere prima che le cose tra di loro cambiassero definitivamente. Ricordò, per un attimo, il ritorno dalla concessionaria del marito, il suo arrivo in casa con il braccio sollevato con le chiavi in bella mostra, l'eccitazione di tutta la famiglia, compresa Lana - anche se forse non aveva ben capito di cosa si trattasse - la corsa verso il cancello per raggiungere l'auto e l'odore di nuovo.
Dio se le piaceva quell'odore! Si ridestò presto da quei pensieri per via della frenata brusca dell'utilitaria che proveniva dalla stessa direzione di Marco. Alla guida c'era una donna. Intanto Marco si era fermato in doppia fila proprio dinanzi al portone della mamma, con il motore acceso e le quattro frecce in funzione.
Quell'auto si fermò proprio dietro alla sua. Una donna minuta, con i capelli color corvino, scese dalla stessa. Marco la raggiunse.
Si conoscevano, pensò Sveva.
Le diede una pacca sulla spalla e indicando la strada più avanti, la ragguagliò sul percorso da seguire. Poteva essere costei Marta? Sveva continuò a sudare, ma questa volta non si sentiva accaldata.
Un refolo di vento le rinfrescò il viso. Sentì le mani sempre più fredde. Doveva andar via. Nell'arco di quella mattinata era la seconda volta che avvertiva l'irrefrenabile voglia di fuggire da quella triste e incomprensibile realtà. Si voltò indietro per rientrare a casa. Corse velocemente.
Non avvertiva la stanchezza: la sua mente l'aveva tenuta impegnata per tutto il percorso a ritroso. Si ritrovò per magia dinanzi alla sua casa e, quando fece per prendere le chiavi dalla giacchetta che aveva posizionato intorno ai fianchi, sentì un tintinnio provenire dal marciapiede.
Era il suo orecchino. Probabilmente le si era impigliato in qualche modo tra i vestiti. Fu contenta di averlo ritrovato. Lo strinse tra le mani felice. Era forse segno di un buon auspicio? La giornata era cambiata. Il sole faceva capolino tra le nuvole. Erano gli ultimi giorni di febbraio, eppure, dal calore del sole che le batteva sulla fronte, sembrava primavera inoltrata.
Udì Lana abbaiare e grattare furiosamente la porta in segno di protesta. «O povera!»: l'aveva dimenticata. Si affrettò ad aprirle la porta ed uscirono insieme avviandosi verso il parco...
Sentendo quegli odori, il cinguettio degli uccellini, ritornò con la mente al loro primo incontro.
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