13 Il segreto

I presenti, fuori dalla stanza, poterono intuire che qualcosa non era andato per il verso giusto, ma non capirono fino in fondo le motivazioni che avevano portato Betta a concludere la visita in un lasso di tempo così breve. Certo sembrava sconvolta. La ragazza cercò di sistemarsi e di darsi un tono: si capiva tuttavia che era rimasta ferita nel profondo.

Salutò tutti avendo fretta di allontanarsi ma, quando vide che Marco si dirigeva in quella direzione per incontrare Sveva, dovette impedirglielo.

«Sarebbe meglio che tu venissi un altro giorno, sai? Sveva è molto stanca.»
Le parole, tuttavia, le uscirono senza troppa convinzione e si accorse che difficilmente avrebbe potuto nascondere quel suo stato d'animo. Lo percepì da Marco, da come la osservava; lui aveva già capito.

«Non vuole vedermi, vero?»

«Uhm», accennò lei e biascicò qualcosa che Marco a stento decifrò.

Una cosa era chiara: Sveva non gradiva la sua visita.

«Come biasimarla? Sono stato un cretino.»

«Eh già!»

«No, scusami», disse lei vedendo che Marco la guardava intensamente, cercando forse di intravedere nei suoi occhi qualcosa, chissà, una spiegazione che giustificasse il rifiuto di Sveva.

«Volevo dire, forse sì. Non so... sinceramente non mi è stato raccontato nulla. Certo che non ho mai visto Sveva così, te lo confesso. Dalle tempo, le passerà e, se non è grave, cerca di rimediare ai tuoi errori.»

Marco le accarezzò la spalla. Fece cenno all'amico di andar via.

«Aspetta, non andare! Lasciami il tuo numero, per la mia laurea, sai?»

«Certo, eccolo!»

Intanto Attanasio aveva tutta l'aria di non voler andar via. Chiacchierava allegramente con Sonia.

Salutati i presenti e il piccolo, i due amici andarono via dirigendosi verso l'uscita. Fabio invece rimase lì, sperando di poter far visita alla collega.

***

Dopo essere ritornati per fare le valigie, Attanasio e Marco decisero di fermarsi in una tavola calda per mangiare qualcosa. Tutti i loro piani erano stati stravolti dall'episodio che aveva colpito la loro amica.

«Quanto è bella! Quegli occhi, incredibilmente grandi... Credo di essere completamente cotto», diceva Attanasio; lo sguardo totalmente perso.

«Non credo mi sia mai capitato. Di solito a colpirmi è sempre l'aspetto fisico di una donna... Sento invece che in questo caso c'è dell'altro... Chissà se ho fatto lo stesso effetto anche a lei?»

Continuava a parlare, senza sosta, proferendo alle volte frasi senza senso.

Si faceva delle domande, dandosi delle risposte.

Solo quando, a un certo punto, si accorse che non riceveva l'attenzione di Marco, lo richiamò al presente.

«Ehi, dico a te, ma sei in ascolto o devo pranzare completamente da solo?»

«Certo, certo che ti sto seguendo.»

«Come no!» disse l'amico. «Si dà il caso che da quando siamo qui, tu non abbia detto una sola parola.»

«Dimmi allora, di cosa starei parlando?»

«Di una donna probabilmente?»

«Di chi?» insistette Attanasio.

«Non saprei, va bene? Mi hai colto con le mani nel sacco: non prendertela, ok?»

«Poi, lascia che te lo dica: basta, basta! Sii serio per una volta, non te ne va bene una. Stai lì che cambi idea ogni due per tre. Riesci a trattenere una donna così come io trattengo il mio gatto alla vista di un topo: zero secondi. Non ti sei annoiato? Non hai voglia di cambiare?»

«È proprio questo il punto», si fece serio l'amico.

Il suo tono grave, adesso, aveva davvero catturato l'attenzione di Marco.

«Sento che con lei potrebbe essere diverso e tu potresti aiutarmi, anzi, devi aiutarmi.»

«Non vedo come, ma se posso... lo farò volentieri. Di chi parli? Chi è costei che ti ha rubato l'anima?» rispose più comprensivo Marco.

«Anche se, ti dirò,» continuò l'uomo, «ho già tanti pensieri per la testa, che forse sarei l'ultima persona a cui dovresti chiedere aiuto.»

«È sempre per via di Sveva, vero?»

Poi Attanasio, ripensando a Marta, alla quale era molto legato, anche se questo non era visto di buon occhio dalla sorella Virginia, disse: «Io ti consiglierei di risolvere prima con Marta...»

Lo sguardo di Marco divenne cupo, pieno di rancore e allo stesso tempo di tristezza.

Quella ragazza, che aveva amato e con la quale aveva instaurato un legame profondo, lo aveva ferito irrimediabilmente.

«Tu sai quanto lei abbia sofferto... È una ragazza molto fragile. Ecco spiegato perché ha scelto di intraprendere psicologia... Aiutare gli altri è sempre stato il suo fine. Capire gli altri... Ha avuto un'esistenza difficile, devi comprenderla. Tu sei stato sempre via nell'ultimo periodo e lei probabilmente, sentitasi ignorata, ha reagito trascurandoti.»

«Ignorata? Ignorata?»

Gli occhi di Marco erano incandescenti. Un vulcano in procinto di esplodere. Così fu: sbottò.

Tutta la rabbia che aveva uscì fuori come un fiume in piena.

«Tu non sai, non farmi parlare... Perché sono stato un idiota e continuo a esserlo e non ho mai voluto infangare la sua reputazione. Noi avevamo dei progetti: costruire una casa, formare una famiglia.»

Piangeva adesso, era visibilmente turbato. Attanasio non lo aveva mai visto così. Era come se avesse perso ogni inibizione, come se quelle lacrime, salvifiche, avessero potuto guarirlo.

«Cosa le mancava, dimmi?» si alzò, perdendo quasi il controllo.

Attanasio ne ebbe paura.

«Siediti, cosa stai facendo? Ci stanno guardando tutti.»

Marco, completamente sconvolto, in preda all'ira, aveva preso l'amico, Attanasio, per il collo della camicia, perdendo completamente la ragione. Vinto, si lasciò cadere sulla sedia, sopraffatto completamente dalle emozioni e, così, ripercorse a voce alta quei ricordi.

«Volevo farle una sorpresa: la casa. Avevo comprato la casa, il nostro nido. Sono entrato.»

Si fermò: un nodo alla gola gli impediva di continuare.

«Dove sei entrato?»

«Nel suo appartamento, avevo le chiavi.»

«Quindi, cosa è successo?»

Piangeva, come un bambino. Attanasio ne ebbe pena. Non aveva mai provato quel sentimento per nessuno, tanto meno per un uomo, un suo amico. Vedere piangere un adulto lo rendeva triste e impotente e allo stesso tempo imbarazzato. Cosa poteva fare per Marco? Cosa era successo di così tanto grave?

«Mi dispiace, Marco, io non sapevo. Non potevo immaginare», furono le uniche parole che riuscì a proferire.

Intanto l'amico, provato, restava inerte, vedendo che Marco non smetteva di singhiozzare.

«Scusami», cercò di riprendersi, riacquistando il contegno perso, «tu mi stavi raccontando di te e dei tuoi sentimenti... e ... e io invece io sono stato solo capace di rovinare questo momento.».

«Non devi scusarti, anzi, sono contento che tu abbia voluto aprirti proprio con me e, se questo ti può far bene, se sfogarti con qualcuno può farti star meglio, liberati! Ma devi farlo completamente... altrimenti non saprei come aiutarti.»

C'era della sincerità nelle sue parole. Tutto si poteva dire di Attanasio fuorché non fosse un amico leale. La sua richiesta era davvero dettata dal desiderio di aiutare l'amico e non di certo dalla semplice voglia di conoscere i suoi segreti.

«Lo farò, credimi, abbiamo tutto il viaggio in macchina che ci aspetta. Qui, ho già dato troppo spettacolo», disse imbarazzato, guardando la gente che lo fissava curioso.

Quel pianto gli aveva fatto davvero bene. Negli ultimi giorni troppe cose lo avevano scosso e di certo la mancanza di sonno non aveva giovato al suo stato d'animo, già troppo tediato dalle continue telefonate di Marta.

«Ma dimmi, dimmi di te. Scusami intanto per prima. Davvero sono interessato a sapere. Chi è la fortunata?»

«Dai, andiamo in macchina che ti racconto», disse Attanasio che ormai aveva perso tutto il momento di poesia per quella fanciulla.

Presero un caffè velocemente e si avviarono.

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