8. Le sorelle Berardi

Nereo Tommasi aveva un nome davvero particolare. E una storia particolare.
I suoi genitori, infatti, odiavano il paese e appena il padre ebbe un’opportunità di andarsene per lavorare all’estero, si trasferirono a Los Angeles, negli Stati Uniti, dove iniziarono una nuova vita. Nereo all’epoca aveva 19 anni e le idee piuttosto chiare: a Los Angeles non aveva intenzione di vivere nemmeno un giorno.
Iniziò a frequentare l’Università a Milano, e grazie a una mente brillante si fece strada rapidamente. Tornava, regolarmente, al paese, in quei due locali della casa dei nonni che chiamava casa.
Nessuno sapeva con esattezza che lavoro facesse, a domanda precisa rispondeva in modo evasivo e confuso “Sono una specie di assistente, che risolve problemi all’interno di una grande azienda”. E non c’era verso di estorcere un nome o qualcosa di più sul tema: Nereo cambiava argomento e rideva in quel modo disarmante che sapeva mettere fine a qualunque altro tentativo di stanarlo.
Tutto ciò ebbe fine, per così dire, q uel 16 ottobre.
Ines e Nives Berardi, sessantenni professoresse di storia l’una e di storia dell’arte la seconda, risalivano a piedi l’acciottolato che da Concile, in cima al paese, porta verso Roncale. Poco male che la strada fosse chiusa per via della frana. Loro, a dire il vero, la patente non la avevano mai avuta, né avevano intenzione di averla. Gemelle legate da un comune destino, Ines e Nives, pure essendo state un tempo delle bellissime donne e conservando sul volto i tratti di una bellezza che non sfiorisce con il tempo, non si erano mai sposate e nemmeno le spie di Don Fabiano né le pur insistenti indagini dei solerti paesani avevano mai trovato nella loro vita una traccia di amore, o di relazione. In realtà, non sapevano dove cercare, perché Nives, invece…
Tornando a quel che ci interessa, al di là del pettegolezzo, l’una abitava alla Santissima Trinità ed era perciò vicinissima a Concile, il luogo dell’appuntamento, mentre l’altra stava al Rastel, dall’altra parte del paese, in una parte da poco restaurata della Curt di Leli.
Si erano decise a unire le forze per presentare un progetto per quei fondi. Amavano ogni singola pietra del loro paese, ogni singolo foglio e ogni piccolo lacerto di affresco. Chi meglio di loro poteva essere preso in considerazione.
Tralasciando le ruggini di colleghe, donne, sorelle e gemelle che di tanto in tanto le spingevano a snobbarsi, criticarsi e scaricarsi per un po’, avevano quindi elaborato un piano ambizioso e sarebbero andate ad esporlo.
I ricci di castagne rendevano un po’ più scivoloso il percorso delle sue studiose mentre nel cielo, esageratamente azzurro, il sole ancora generoso splendeva esaltando i colori dell’autunno valtellinese.
“Mi raccomando, Nives, come siamo d’accordo, inizio io a parlare”
“Mah sì Ines, stai tranquilla – replicò la gemella alzando gli occhi al cielo – nessuno ruberà spazio al tuo famoso… eloquio”.
La frecciata era più velenosa di quel che potesse sembrare e alludeva a quando, durante una recente funzione pasquale, Ines Berardi si era impiantata durante la lettura della Sequenza, ripetendo tre volte la stessa parola sempre storpiata, tra le sommesse risate di Nives, in prima fila.
Non c’era un campanello elettrico nello studio con accesso dal piano stradale, ma un campanellino di bronzo.
“Avanti, venite” invitò una voce oltre la porta tra l’anticamera e l’ufficio vero e proprio.
E fu allora che le gemelle Berardi, dopo pochi passi, si resero conto che colui che sedeva sulla grande sedia di legno antica e restaurata, l’Incaricato, altri non era che Nereo Tommasi.

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