27. I segreti delle Ancelle
Mentre Giulio esponeva a Nereo il suo personale progetto, ben diverso da quello del pedante Raimondi, nell'Osteria del Curàm (cuio in dialtetto) si stava tenendo una riunione fuori sede del Politburo rivoluzionario.
Bakunin, infatti, come tutti i sovietici d'origine o almeno di influenza amava moltissimo le paranoie complottiste ed era intimamente convinto che qualcosa si stesse muovendo a suo sfavore, che ci fossero delle spie, delle presenze ostili, nemiche, dei sabotatori delle legittime aspirazioni del popolo che avrebbero mandato all'aria il suo legittimo tentativo di fondazione del falansterio. La saletta secondaria discreta dell'osteria, nella quale c'era spazio solo per due tavolini (il loro e un altro vuoto al momento, essendo pomeriggio) avrebbe reso ottimamente il servizio in esilio. E soprattutto si sarebbe potuto credere che si trattasse di una semplice e informale bevuta, non di una vera riunione e che non ci fosse bisogno pertanto di invitare tutti quanti.
C'è da dire che l'Osteria del Curàm era una sede... fuori sede fino a un certo punto. Si trattava, infatti, di un luogo dove spesso finivano tutte le serate delle associazioni e dei gruppi più o meno spontanei che a decine popolavano il paese. Senza un bicchiere (meglio molti bicchieri) di rosso al Curàm non si poteva dire che una serata era conclusa. Il padrone dell'osteria aveva una concezione piuttosto personale della relazione con il cliente, visto che senza dire una parola portava rapidissimamente ai tavoli quanto ordinato. Non amava i convenevoli e vi conveniva non disturbarlo. Alfio aveva ereditato l'osteria dal padre, che la aveva avuta dal nonno, che a sua volta la aveva ricevuta dal bisnonno, Alfio pure lui. Quattro generazioni di omoni pressoché identici, con una corporatura massiccia e una lunga barba ispida. Veloci e taciturni, non certo maleducati, avevano in qualche modo sacrificato la forma in favore di una efficienza spinta. Impermeabile ai complimenti, agli insulti, essenzialmente a qualunque cosa gli venisse detta, Alfio aveva un solo punto debole. I bambini piccoli. Quando ne vedeva uno accostarsi al bancone, con i capelli a scodella o ricci, biondi chiari o neri come il carbone, con gli occhioni spalancati, l'omone si scioglieva e andava a prendere una speciale scatola con delle specialissime caramelle per le quali ogni singolo bambino delle ultime due generazioni andava matto.
Tornando al direttorio improvvisato: Bakunin sedeva al centro, circondato soltanto dalle sue tre sacerdotesse, le fedelissime alla linea Ancelle della Rivuoluzione.
Le tre si erano occupate di rendere reale e mettere sulla carta il sogno di Bakunin. Sì perché, dietro all'apparenza naif e dietro una maschera fragile e sognatrice, Marisa, Monica e Lorenza erano unanimemente riconosciute come tre delle menti migliori del paese. Avevano rinunciato, a causa dell'ideologia, a lavori ben remunerati, ma non per questo le loro qualità erano ignote o invisibili.
Marisa era la mitica 'ragioniera' del gruppo Rossatti: dietro lo status di semplicissima e oscura contabile, sotto le sue mani volavano i numeri e si formavano le ardite e complesse strutture finanziarie che avevano reso Emma Rossatti quella che era. Umile e ordinata, la regina incontrastata del Controllo di Gestione del gruppo Rossatti, temuta e rispettata dalla stessa Emma, Marisa aveva realizzato un precisissimo piano di finanziamento dell'opera.
La più volitiva Monica, invece, era un ingegnere meccanico. Lavorava all'ufficio brevetti di Monaco di Baviera e aveva un contatto invidiabile con innovazioni tecnologiche di ogni genere. La cosiddetta 'Alpenmonica', nomignolo che le era stato affibbiato per il suo attaccamento delle montagne mentre si trovava a Monaco, aveva raggiunto una posizione di tale stima all'interno degli uffici che le era stato permesso di lavorare quasi esclusivamente a casa, in Valtellina, dovendo compiere soltanto delle breve trasferte a cadenza mensile in Baviera. Se falansterio doveva essere, che almeno fosse hi-tech, con tutte le macchine di ultimissima generazione e i brevetti più nuovi, pensò Monica.
Quanto a Lorenza, era laureata in Scienze della Formazione, dove dopo una brillante carriera da studente e dottoranda era saggista e professore a contratto. Il piano educativo e sociale da affiancare a quello produttivo era stata opera sua.
Con le sue tre punte di diamante, la squadra di Bakunin era infatti più una corazzata che una zattera, se non fosse che possedeva un punto debole e vulnerabile. Bakunin, appunto.
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