21. Il pub
Nereo tornò a casa senza trovare traccia della misteriosa macchina a cui la maestra Carlotta aveva accennato. Magari aveva un’immaginazione troppo fertile! Magari cominciava a perdere colpi. Oppure aveva ragione. L’incaricato aveva senza dubbio sottovalutato gli interessi che il possesso di venti milioni potevano in qualche modo risvegliare.
Se ne andò a cena dalla nonna, che aveva preparato una nutriente minestra d’orzo, mentre il nonno non aveva come sempre fatto mancare la bresaola e il formaggio d’alpeggio. Quanto alla verdura, la strutturazione rigidamente autarchica della casa dei nonni prevedeva che si mangiassero gli ultimi pomodori, un po’ aciduli, che erano stati raccolti prima di strappare le piante e messi al sole per giorni per assumere un po’ di colore e una parvenza di maturazione.
Dopo cena aveva un appuntamento con una ex compagna di scuola all’Oberon, un pub i cui proprietari, lsadora e Max, credevano fermamente nella musica dal vivo, nella birra buona e nei panini fatti con ingredienti semplici e tradizionali. Isadora sfoggiava i capelli grigi a 53 anni, ma pettinati come se fosse una ragazzina “Sono la vecchia più giovane o la giovane più vecchia in circolazione”, mentre Max, con il suo volto abbronzato e il fisico un po’ scolpito, tradiva un passato da sportivo professionista, che dopo il ritiro si era affiancato alla sua Isadora nel portare avanti il piccolo sogno dell’Oberon.
Il pub, all’ingresso, aveva due viti intrecciate e una pergola, mentre l’interno era stato arredato con mobili interamente realizzati con cassoni di legno riciclati, quelli che un tempo si utilizzavano per le mele.
Giovanna era lì ad aspettarlo, bella di una bellezza inconsapevole e per questo ancora più luminosa, con un paio di jeans e una camicia troppo grande, un abbigliamento semplice che non riusciva a nasconderne il corpo perfetto. Aveva i capelli neri e lunghi, raccolti e tenuti insieme da una matita.
“Nereo! Era ora che ti decidessi una volta a uscire!” esclamò mentre lo abbracciava piena di entusiasmo. Giovanna, temeva Nereo, gli avrebbe raccontato di amori sfumati, dell’ultimo ragazzo con cui non aveva funzionato e altri dettagli personali, attivando quella voce dentro di lui che da sempre voleva dirle che per lui era più di un’amica, o per lo meno che gli sarebbe piaciuto provare altre strade nel loro rapporto. Represse ancora una volta quell’ombra fugace che passava nella sua testa e le sorrise.
“Giò! Che piacere. Dai beviamoci qualcosa assieme. Stasera, però, non si parla di una cosa, ti avverto!”
“E di cosa? Del mio ex?” Indovinò con una certa perspicacia Giovanna.
“Anche – concesse lui – ma soprattutto non si parla di questa storia dei venti milioni che non mi fa più dormire la notte, ancora un po’”.
“Nereo… ma solo a te poteva venire in mente di cacciarti in un casino così. Però una cosa te la devo dire comunque. C’è Giulio che è disperato per il vostro appuntamento domani”.
“Giulio chi?”
“Mio fratello, scemo!”
“Ah si, certo, e perché mai?”
“Perché dice che non se la sente, che è in imbarazzo e che lo hanno incastrato quelli di OltrePonte”.
“Capisco… Ma non ti preoccupare, è un amico. Al massimo digli di tenermi alla larga quella specie di guru del Presidente.”
“Lo speriamo tutti” rise cristallina Giovanna.
La serata fu piacevole, forse un po’ troppo alcolica visto che Giovanna gli impose a un certo punto l’assaggio di un assenzio e trascorse nel ricordo dei tempi del liceo e nell’aggiornamento su un po’ di novità degli amici. Nonché un mirabolante torneo di freccette nel quale Nereo offrì uno spettacolo quasi da circo, mezzo brillo com’era. Per fortuna a casa si riusciva a tornare a piedi
Mentre Nereo arrivava, era circa l’una e mezzo di notte, vide una figura che si allontanava spedita a piccoli passi nella notte. Avrebbe detto un uomo o una donna di corporatura piccola,ma chissà. Sembrava provenire proprio dal suo portone, da casa sua. Nereo arrivò trafelato e corse a vedere che non ci fosse stato un furto o qualcosa del genere. Era tutto a posto. Chiunque fosse non era venuto per rubare. La porta era ben chiusa.
Aveva un presentimento e voleva sincerarsi della sua correttezza. Scese a due a due le scale e andò alla cassetta della posta. All’interno, un secondo biglietto. Lo aprì e si rese conto che era scritto con la stessa grafia del primo e la stessa firma: Un’amica.
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