2. Il sindaco

Il notaio la prese con filosofia. Era pur vero che eravamo nell’era della comunicazione, ma era altrettanto vero che il clamore era rapido a crearsi e ancora più rapido a sparire. In men che non si dica i riflettori si sarebbero spenti e spostati altrove. Per riaccendersi, forse con l’arrivo dell’Incaricato, colui che aveva il compito di vagliare le proposte dei pontaschi.
Molto meno con filosofia, ma in modo altrettanto pragmatico, la prese il sindaco di Ponte. Era stato uno tra i primi a chiamare il notaio alla ricerca di conferme e chiarimenti. Lo aveva avvisato il suo giovane assessore Roberto Meraldi, accorso dalla sua casa in Piazza della Vittoria alla bacheca davanti alla pizzeria da asporto.
Michele Andrei era un uomo sulla sessantina, dal fiuto finissimo, abituato a sentire in anticipo l’avvicinarsi di qualunque tipo di problema e di grana e a gestirla prima ancora che si manifestasse. Da ex-seminarista finito a fare il sindaco di uno dei paesi più tradizionalmente e ostentatamente laici della Valtellina, aveva imparato a costruire alleanze non tradizionali e a trovare soluzioni e consensi dove apparentemente non ce ne erano. Aveva imposto una specie di pax “al valium” alle varie anime del paese, la cui tradizionale litigiosità si era un po’ chetata. “Il sindaco  - amava ripetere – è di tutti” e per questo motivo presenziava a tutte le attività associative, fossero cori, bande, parrocchia, festa del 1 maggio o castagnate. Difficilissimo scucirgli una opinione riguardante la politica locale, impossibile averne un commento su scala nazionale. L’Andrei era una sfinge, che aveva riconfermato al secondo mandato la propria squadra, basata su competenze ma rispettosa dei complicatissimi equilibri tra le grandi famiglie, i grandi clan per così dire, del paese.
Pensò che da un lato sarebbe stata una grana avere gente in giro (immaginava i giornalisti) ma che qualcuno avrebbe avuto una vetrina. Poteva essere interessante… per molti, ma non certo per lui, che preferiva la quiete e gli accordi presi in privato alle luci della ribalta.
Avrebbe voluto emettere un’ordinanza anti-stampa, ma sarebbe stata illegale e controproducente.
Preparò un discorso standard con cui avrebbe risposto a tutte le domande a riguardo e impose il silenzio stampa a tutti i membri della giunta e del consiglio, considerato che la lista di minoranza era una specie di costola collaborativa dell’amministrazione.
Il notaio, al contempo, lo informò che i colloqui avrebbero avuto luogo in una casa a Roncale,  isolata dal paese e da poco sistemata dopo annose vertenze e pronta per essere venduta, che il milionario aveva affittato per un paio di mesi (stando molto largo, come competeva alla sua categoria) per poter portare avanti il suo progetto.
Michele Andrei pensò che quei muri delle vigne e dei boschi che andavano a Roncale, in fondo, erano davvero instabili e prima dei colloqui poteva darsi che in seguito a qualche temporale autunnale qualcuno crollasse ostruendo il passaggio ai mezzi e lasciando la località accessibile solo a piedi.
“Sì – disse tra sé e sé – non c’è dubbio: di qui alla metà di ottobre ci sarà una frana su quella strada e la chiuderemo e  chi va per castagne o per milioni dovrà per forza farlo a piedi anche  facendo il giro da San Rocco, considerando che farò partire in zona dei lavori per l’acquedotto anche da quella parte la settimana prossima. Tutti: anche i curiosi e i giornalisti”. Sorrise per la sua pensata e si sedette nella poltrona, guardando con malcelata soddisfazione il modellino dell’Üsef, la statua dedicata a una celebrità locale, l’astronomo ecclesiastico Giuseppe Piazzi, che da tempo sorvegliava Piazza Luini.
E siccome era il sindaco, siccome era un uomo pragmatico, siccome aveva studiato dai Gesuiti, siccome chi più di lui aveva a cuore il paese, chiamò di nuovo quel numero del notaio, questa volta per fissare un appuntamento con l’Incaricato, con la massima discrezione e in un orario che non desse nell’occhio.

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