XV. Tormento
Rhynna Væren doveva essere una maledizione inviata dagli Inferi per tormentarlo.
Quel pensiero da giorni ormai occupava la mente di Lord Edmund Arrethan.
I famigliari della principessa non erano che conquistatori stranieri, venuti a tiranneggiare su una terra non loro dopo che il Continente Meridionale era divenuto troppo stretto per il crescente impero ælfren. Avevano imposto la loro lingua, le loro tradizioni e i loro dei, costruito le loro città e i loro castelli sulle ceneri della storia dei Quattro Regni.
E ad Estelle avevano sottratto più che a tutti gli altri: l'imperatore di allora aveva fatto sua l'area circondata dai monti dello Scudo ad ovest e a nord e dal fiume Völsgark ad est. Lì egli aveva fondato Elythen, da allora la principale capitale dei Væren. Neppure erano soliti tornare all'arido meridione, ora che possedevano le verdeggianti piane e i fiordi e i fiumi del settentrione.
Tutto ciò Edmund lo aveva imparato da suo padre, che a sua volta lo aveva imparato dal proprio, e così era stato da generazioni per quattrocento anni—da quando i Væren erano giunti in groppa alle loro enormi bestie alate e avevano soggiogato il territorio con il fuoco e con il terrore.
Insomma, un Arrethan non avrebbe mai dovuto neppure intrattenere il pensiero di apprezzare la compagnia di un Væren. Tantomeno se si trattava di una fanciulla che a malapena aveva raggiunto l'età adulta e non sapeva tenere per sé i propri pensieri.
E dunque Rhynna Væren era un tormento, perché era tutto questo, e perché non era più semplicemente così che la vedeva.
Come avrebbe potuto, quando ogni parte di lei sembrava plasmata per stuzzicare i suoi desideri più empi? Persino la sua aria di superiorità lo invitava a farla sua. Il suono dei suoi gemiti di piacere, l'averla sotto di sé, era ancora più dolce dopo il contrasto.
Edmund immaginava che qualsiasi uomo al suo posto avrebbe pensato lo stesso, messo di fronte a una tale tentazione.
Si intratteneva con lei, si godeva ogni singolo istante in cui era seppellito dentro di lei... finché il momento non terminava e tornava ad essere solo con i suoi pensieri. Allora quel piacere diventava una colpa.
I suoi antenati si sarebbero vergognati se avessero potuto vedere come una Væren lo aveva rammollito. Lo sapeva con certezza, perché lui stesso se ne vergognava.
Non poteva farne a meno.
Era colpa della ragazza. Doveva incolpare lei, per non incolpare ancora di più se stesso.
Lei non si faceva scrupoli a sfruttare il proprio corpo per attizzare il suo desiderio.
Se chiudeva gli occhi poteva quasi vedersela davanti mentre si slacciava gli abiti con il suo sorrisetto arrogante ed esponeva il suo seno candido, ben conscia di che cosa gli stava facendo.
La rabbia montò in lui a quel pensiero.
Era una Væren in tutto e per tutto, infida conquistatrice come il resto della sua stirpe. Non avrebbe dovuto permetterle di entrare in quel modo nella sua testa.
Avrebbe dovuto liberarsi di quel tormento prima che diventasse insostenibile, trafiggerle il petto con un pugnale—uno ben affilato, che finisse una volta per tutte il lavoro—proprio tra quei soffici seni che lo avevano dannato.
Rhynna avrebbe cercato di fermarlo, di difendersi, non aveva dubbi al riguardo, ma sarebbe stata vulnerabile e la daga avrebbe facilmente lacerato la sua carne.
Lei avrebbe sgranato gli occhi, magari avrebbe emesso un piccolo gemito come faceva quando consumavano la loro unione. Forse si sarebbe sostenuta su di lui, quando il suo corpo avesse iniziato a cedere.
Si vide estrarre la lama mentre lei si accasciava a terra, la ferita viva e sgorgante sangue. Sangue che avrebbe macchiato le sue mani mentre la principessa emanava il suo ultimo respiro, mentre guardava il barlume di vita svanire dai suoi occhi di quell'azzurro tendente quasi all'indaco.
Nell'istante in cui quell'immagine prese forma nella sua mente, fu come se un fulmine lo colpisse lì dove si trovava.
Edmund scattò in piedi, spingendo indietro la sedia tanto forte che essa andò a sbattere contro la parete.
Serrò i pugni tanto forte da piantarsi le unghie nel palmo della mano pur di incanalare quell'impeto di violenza che lo aveva attanagliato.
Non sarebbe stata una liberazione.
Aveva giurato di proteggerla il giorno che l'aveva presa in moglie. Di fronte a numi stranieri, ma pur sempre aveva giurato. Farle del male sarebbe stata una condanna.
Il suono di nocche che battevano contro il legno della porta lo colse di sorpresa.
Era distratto e irascibile, una sensazione scomoda alquanto che lo aveva lasciato alquanto scosso. Il pensiero che di tutto quello scompiglio fosse causa la sua giovane moglie, per di più, non fece che aumentare la sua ira.
Che non potesse pensare ad altro che a lei era forse ancora peggio.
Edmund dovette prendersi qualche secondo per ricomporsi prima di rimettersi al suo posto alla scrivania e, spingendo da parte le carte, ordinare: "Avanti."
"Milord." Il maggiordomo del castello, un uomo sulla quarantina i cui capelli castani erano ormai striati di grigio, apparve sulla soglia dello studio. Portava tra le mani una pergamena arrotolata chiusa da un nastro. "È giunta questa per voi, stamattina."
Edmund appena gli rivolse un cenno di assenso per risposta mentre egli gli consegnava il rotolo. Quando la ebbe tra le mani, riconobbe immediatamente il sigillo di cera apposto sulla carta. Il grifone di Merithia.
Non ebbe dubbi riguardo il contenuto, a quel punto, poiché egli stesso aveva dato inizio alla corrispondenza con gli altri Grandi Duchi del continente. Simili lettere erano già venute da Cyrnia e Lyrhis nei giorni precedenti, entrambe rispetto lo stesso argomento.
La gettò di lato, sulla pila di documenti che non aveva intenzione di leggere. Più tardi, certo, ma non adesso.
Non si sentiva in vena di pensare ai piani che con il suo mittente condivideva, ennesimo promemoria di quanto fosse sbagliata quell'attrazione che lo legava alla principessa.
Adesso doveva togliersi il tarlo dalla mente.
—
Trovò sua moglie nelle sue stanze, in compagnia di una delle sue dame. Stavano conversando di qualcosa che non fece in tempo ad udire, poiché il loro parlottare cessò non appena egli entrò.
Non si era annunciato, ma lo schiocco della serratura lo fece per lui.
La fanciulla, che appena degnò di un'occhiata, si profuse in una riverenza non appena prese nota della sua presenza.
La sua attenzione era rivolta verso la principessa. I suoi capelli quasi argentei erano acconciati in due fila di trecce che le cingevano il capo, adornate da alcune perline, lasciando soltanto alcune ciocche libere ad incorniciarle il volto.
Tenuti fermi da un nodo di capelli alla base della sua nuca, il resto dei boccoli le ricadeva libero sulla schiena che l'abito le lasciava scoperta.
Edmund lo notò mentre Rhynna, a testa alta e intrecciando le mani di fronte a sé, si volse a guardare la compagna.
"Andate pure," le ordinò, e non si rivolse a lui—né con gli occhi, né tantomeno con la parola—finché la porta non fu chiusa alle spalle della dama e i suoi passi si alleviarono sino a sparire.
Quando infine il suo sguardo cadde su di lui, era illuminato di una decisione che il Gran Duca non seppe del tutto interpretare.
Era parte della natura di Rhynna Væren, d'altro canto, essere difficile. A tale conclusione era giunto senza alcun dubbio, dopo diversi mesi da che aveva fatto la sua conoscenza.
Eppure provò una strana sensazione di quiete al vederla così come era sempre, regale nella sua veste lilla e frusciante e perfettamente in salute.
Sollievo. Quello era.
Perché se le fosse capitato qualcosa si sarebbe trovato contro l'intera famiglia imperiale e i loro draghi... ma quella era solo parte della verità, un tentativo razionale di dare una spiegazione alla sua irrazionalità.
Perché era sua moglie, e la vita senza di lei iniziava a sembrargli terribilmente fuori posto. Una verità che solo a pensarla gli provocò disgusto. Se per lei o per se stesso, non avrebbe saputo dire.
"Se non si trattasse di te e me, per come mi guardi potrei quasi credere di star iniziando a piacerti."
Quella voce limpida, tinta di una punta di divertimento, lo ricosse dai suoi pensieri.
Si rese conto che Rhynna si era spostata poiché se la trovò praticamente sotto il naso, a braccia conserte, con un accenno di sorriso dipinto sulle labbra rosee.
Perché, non ho reso chiaro il mio compiacimento la notte scorsa?
Lo pensò, e non fu in grado neppure di aprir bocca per proferire quelle parole.
Riuscì a risponderle soltanto con un grugnito che avrebbe dovuto essere di scherno, sebbene lui sapesse che era stato il fastidio a provocarlo.
Sin troppo. Aveva mostrato sin troppo quanto lei lo compiaceva.
"Quale eloquenza, Vostra Grazia."
La principessa rise, e quella risata cristallina gli fece venir voglia di sbatterla contro il muro e fotterla fino a farle gridare il suo nome. Così avrebbe imparato a prenderlo in giro.
E avrebbe quasi potuto farlo, se non fosse stato che lei tutto ad un tratto gli voltò le spalle.
"Forse potresti impiegare la tua preziosa voce per spiegarmi una cosa, invece," disse. "Una cosa riguardo Margit."
"Margit?" La menzione della donna lo riportò sull'attenti. "Ti ha dato problemi dopotutto, dunque."
Rhynna tuttavia scosse la testa. "L'opposto, in verità," constatò mentre si muoveva verso il letto. "È stata sin troppo cortese, per una donna che vorrebbe ostacolarmi... Mi chiedo se non sia un altro il suo obiettivo."
Edmund si trovò a seguirla, come se potesse sfuggirgli. "E che cosa dovrebbe volere," sbuffò, "più che essere servita e riverita a corte?"
"Beh, io non potrei saperlo." La principessa si sedette sul bordo del letto e fece spallucce. "Non la conosco abbastanza, a differenza tua."
"E dunque perché ne parli?" tranciò di netto quel discorso. "Margit è una puttana, elevatasi ben oltre il suo livello di certo, ma come ti ho già detto non mi ha mai dato particolari problemi."
E tuttavia, appena tali parole lasciarono le sue labbra, si trovò a rivalutare quella che fino ad allora aveva inconsciamente ritenuto una certezza.
Negli anni la donna non aveva fatto che prendersi libertà, un lusso che egli stesso le aveva concesso poiché della gestione della corte non gli era mai interessato un granché. Era tanto incredibile immaginare che potesse volere ancora di più?
Il pensiero che Rhynna potesse avere ragione lo rese inquieto. Che fosse perché lei si stava facendo furba, o perché lui non lo era stato abbastanza?
Magari, d'altra parte, tutto ciò era soltanto un suo tentativo di confonderlo. Non sarebbe stata la prima volta.
La giovane, dal canto suo, non parve notare il cambiamento nel suo umore.
"Immaginavo che sarebbe stato inutile parlartene," bofonchiò. "Conversazioni simili richiedono un livello di fiducia che non presumo tu riponga in me. Voglio solo sperare di sbagliarmi, altrimenti-"
"Hai delle prove?" Edmund la interruppe bruscamente.
Margit non avrebbe dovuto essere un problema per lui. In più di vent'anni non era stata altro che un fastidio che si atteggiava a padrona. Non aveva certo motivo di cominciare adesso.
Rhynna era pur sempre una Væren. La sua presenza lo aveva già destabilizzato sin troppo, facendogli quasi dimenticare che rimaneva ancora una nemica.
"Non accuserò la madre di mio fratello sulla base di un tuo sentore."
Lei sgranò un po' gli occhi al suo tono, a malapena, ma il Gran Duca se ne rese conto. Sembrava quasi che non si aspettasse quella richiesta.
Si riprese in fretta, a suo credito, sollevando il mento con aria altera. "Se ti fidassi di me, non me lo chiederesti," asserì. Si schiarì la gola. "Fatto sta che... ho avuto notizia di un certo libro, custodito nella tesoreria ducale. Margit lo voleva, per una donna di nome Siggi a quanto pare."
Siggi. Il nome gli suonò stranamente familiare. Come una memoria lontana che non era in grado di piazzare.
"Oh, vedo che ne sai qualcosa dopotutto."
La voce della principessa lo riportò al presente.
"Vagamente," replicò con durezza. Non aveva ragione di mentire al riguardo. "Niente che ti riguardi, comunque. E se temi che Margit possa rubare qualcosa, puoi stare tranquilla. La tesoreria ducale è ben protetta."
"E non trovi sospetto che, in cambio di questo libro, questa donna cederà a Margit una pozione?" continuò però la principessa, e insistette. "Per quale motivo una come lei potrebbe volere una strana pozione da una vecchia che vive in una grotta?"
"Come sai queste cose?" La domanda gli venne fuori con un tono più nervoso di quanto avrebbe voluto.
"Poco importa, no?" rispose Rhynna. "In ogni caso non mi crederesti."
"È ovvio che non ti creda!" sbottò. Non era stata una risposta pensata. Lui stesso si sorprese di come la rabbia avesse preso il sopravvento, eppure non poté più contenersi. "Mi rendo conto che stai usando il sesso per manipolarmi," la accusò. "Oh, e non prenderla a male, stai facendo un buon lavoro, ma hai scordato che io non sono un ragazzino che puoi imbambolare con un paio di tette."
Rhynna rimase di sasso per una frazione di secondo. Questo, prima che si alzasse di scatto, gli occhi infuocati.
Si mise in piedi con tanta foga che sbatté contro il petto di lui, ed Edmund colse l'occasione per afferrarla per un braccio prima che potesse sfuggirgli.
"Lasciami andare!" strillò la principessa, dimenandosi. "Che i Dodici mi siano testimoni, mi pento di ogni singola volta che mi sono concessa a te!"
"Stai delirando, donna," grugnì Edmund. Le toccò la fronte per cercare eventuali segnali di febbre.
Rhynna si scostò. "Sono perfettamente in me, te lo assicuro. E lasciami, ti ho detto!"
Passò una frazione di secondo senza che lui la accontentasse che la ragazza gli assestò una ginocchiata far le gambe con una forza di cui non l'avrebbe creduta capace, strappandogli un urlo di puro dolore. In quel frangente, il Gran Duca mollò abbastanza la presa da permetterle di liberarsi.
La principessa fu rapida a raggiungere la porta.
"Dove pensi di andare?" le gridò dietro lui, ma gli ci volle un attimo per poter muovere un passo senza che fitte lancinanti trapassassero il suo corpo.
Rhynna non si fece problemi a spalancare la porta per sfuggirgli, nel mentre. Né si trattenne dall'annunciare a gran voce per i corridoi: "Me ne torno a casa mia! Dove le persone mi rispettano! E pensare che ho anche tentato di aiutarti!"
"Torna subito qui!"
Ma lei era più veloce.
Passarono di fronte a servi e cortigiani che li fissarono increduli, sussurrando fra loro cose che Edmund non udì—ma poteva immaginare.
Le voci sarebbero corse come il vento, di come il Gran Duca non era in grado di controllare sua moglie.
Al diavolo le voci, decise.
Ormai qualsiasi parvenza di decenza era volata fuori dalla finestra. E quella folle ragazzina gli aveva dato un calcio dritto alla virilità.
"Merda, Rhynna!" imprecò. "Ti ho dato un ordine, maledizione!"
"Il tuo ordine può andarsene agli Inferi!"
E prima che potesse risponderle a tono, lei sgusciò fuori dal portone principale senza che nessuno la fermasse.
"Dove sono le dannate guardie?!" tuonò Edmund. Ma non sarebbe servito a niente che giungessero, a questo punto. Sapeva bene dove stava andando.
Il ruggito del drago fece tremare le fondamenta stesse del castello.
A quel suono, tutti coloro che fino ad allora avevano indugiato nei corridoi accorsero al piazzale esterno.
Edmund dovette spingere per farsi largo attraverso quella calca di curiosi.
Quando infine fu sull'uscio la bestia aveva già dispiegato le enormi ali, brillanti come metallo verde sotto il sole di mezzogiorno. Il lungo collo squamato era puntato verso il cielo, e un attimo dopo spinse sulle possenti zampe posteriori e si librò in aria.
Il vigore del suo battito d'ali smosse i venti, ribaltò ogni cosa e persona coloro che si trovasse nelle vicinanze. Persino Edmund si sentì spingere indietro, e probabilmente sarebbe rovinato a terra se non si fosse aggrappato al lato della porta.
La bestia si levò sempre più in alto, lenta per la sua stazza ma inesorabile.
Le esclamazioni di ammirazione della gente furono inghiottite dallo stridio del drago.
Assottigliando gli occhi per via del sole, Edmund sollevò lo sguardo alla sua groppa.
Lei sembrava minuscola da laggiù, specie a confronto con l'animale che montava.
Egli non poteva vedere altro che una macchiolina di lilla e platino, e di certo non poteva cogliere la sua espressione, ma seppe in cuor suo che la principessa si stava godendo la sua vittoria. Probabilmente stava ridendo di lui, in quell'esatto momento.
Maledetta ragazza.
"Che hai fatto per risvegliare il drago, Ed?"
Si voltò di scatto all'udire la voce divertita di suo fratello che lo canzonava. Non poté controllare l'occhiataccia che il suo sguardo gli riservò.
"E va bene, e va bene." Eric alzò le mani in aria.
Soppresse una risata. "Sono felice di non essere sposato. Sembri invecchiato di dieci anni."
Edmund sospirò. Tutto ad un tratto, si sentiva esausto.
"Vuoi un consiglio?" sbuffò. "Non sposarti mai. Non ne vale la pena."
E magari, pensò in quell'istante, era un bene che Rhynna se ne fosse andata. Aveva bisogno di schiarirsi la mente.
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