I. Le Campane di Elythen
Le campane suonavano a lutto, accompagnando la lugubre processione sino al Tempio di Alh'ner.
Rhynna scostò lievemente la tenda scura della lettiga per spiare fuori dalla finestra.
Il popolo, posizionatosi ai lati della strada così da poter osservare il corteo senza intralciarne il passaggio, si estendeva sino a dove il suo occhio poteva arrivare.
I negozi erano chiusi, drappi neri pendevano dalle vetrate e dai muri...
L'intera popolazione di Elythen si era riunita per porgere l'ultimo saluto all'imperatore, avvolti negli abiti da lutto così come dettava la legge.
Ma al funerale soltanto la famiglia imperiale sarebbe stata presente. E man mano che il Tempio si faceva più vicino, la realtà della situazione si faceva sempre più tangibile...
Rhynna lasciò cadere la tenda.
"Non riesco ancora a capacitarmene..." mormorò, più a se stessa che al fratello seduto di fronte a lei. "Un giorno era nel pieno delle sue forze, e quello seguente..."
Non fu in grado di terminare la frase.
Stroncato nel mezzo della vita, come un fiore reciso.
Il solo pensiero era per lei inconcepibile.
Ragnar annuì, il volto segnato da un'aria grave.
"Lo pensano in molti," rispose, avendo compreso soltanto dal suo sguardo ciò che le parole non potevamo esprimere, "nonostante il Medico Imperiale affermi che si sia trattato di malattia... Nostro zio aveva appena quarantadue anni ed era in piena salute, stando a tutti i resoconti."
"Non vorrai insinuare quello che penso."
Ma non era poi così inconcepibile, a pensarci bene... Molti nobili, discendenti delle antiche famiglie che avevano regnato sul Continente Settentrionale prima della fondazione di Ælfrich, mal tolleravano il dominio Væren. Era solo questione di tempo, stando alle voci più ardite, prima che qualcuno passasse all'azione.
"Nessuno oserebbe fare una simile accusa in pubblico," sussurrò Ragnar, dando voce ai suoi pensieri, "e ti conviene non menzionarlo con nessuno..."
Rhynna alzò gli occhi al cielo. "Suvvia, fratello, dillo e basta," lo incalzò.
"Si sospetta che qualcuno abbia tramato contro l'imperatore. Veleno, forse. Un'arma per traditori e assassini senza onore. Non è cosa inaudita che un sovrano abbia rivali a corte, e il modo in cui lui è... Non sembra possibile..." Il principe deglutì, poi sospirò, dandosi per vinto. "Capisci ciò che voglio dire, no? Non è naturale."
"Capisco." La ragazza annuì gravemente, distogliendo lo sguardo dagli occhi del fratello.
"Tuttavia, non possiamo affidarci alle malelingue, Ragnar..." lo consigliò. "Per lo meno, non finché non si hanno le prove della veridicità di queste informazioni. Questa città ha orecchie ovunque, e non vogliamo rischiare di attirarci l'inimicizia di persone potenti."
Ragnar esalò.
"Temo tu abbia ragione," ammise, passandosi una mano tra i ricci biondo-argentei. "Sarà meglio non parlarne più, almeno finché le acque non si saranno calmate."
Rhynna scosse la testa. "Dubito che se ne riparlerà più, in vero, a meno che non si scoprano prove schiaccianti che puntino ad una congiura. Bisogna essere cauti. Aivar non rischierà una guerra civile all'inizio del suo regno. Non servirebbe a nulla se non a peggiorare la situazione. Non riporterebbe in vita suo padre."
Gettò la testa indietro sui cuscini, emettendo un sospiro ben poco signorile. "Non so se riuscirò mai a farci l'abitudine. Zio Ragnar era un buon uomo, e un buon imperatore."
"Io..." Ragnar si rigirò le mani l'una nell'altra, fissandosi la punta degli stivali. "Io non so come si possa superare una morte, Rhyn, e non so neppure se sia possibile... Ma forse il funerale è un primo passo... per dirgli addio."
"Suppongo tu abbia ragione..."
E se non per dar pace al proprio animo, lo doveva a lui. Suo zio meritava che la sua famiglia al completo si radunasse per onorare la sua memoria.
Poco dopo, la lettiga si arrestò e fu abbassata a terra.
Dovevano essere giunti a destinazione.
Uno dei servitori scostò le tende, permettendo a Rhynna e Ragnar di scendere.
"Vostre Altezze." S'inchinò. "La vostra famiglia vi attende all'interno."
L'imponente Tempio di Alh'ner, Dio delle Fiamme, Padre dei Draghi, sorgeva di fronte a loro in tutto il suo splendore, il bianco marmo tinto di una sfumatura aranciata sotto il sole del tramonto.
In diverse circostanze, Rhynna sarebbe rimasta ammaliata dalla bellezza di quel luogo nel cuore della capitale, e di tutta la città circostante.
Ma in quel momento, il peso di ciò che stava per avvenire le rese impossibile apprezzare appieno tutto ciò che normalmente amava di Elythen.
Ragnar le offrì il braccio. "Pronta?"
La principessa annuì, senza distogliere lo sguardo dal colonnato circolare dell'edificio. "Tanto quanto potrò mai essere."
I loro genitori erano già all'interno, così come la maggior parte dei loro numerosi parenti, disposti a cerchio attorno al punto in cui doveva essere posta la pira funeraria.
Una parte di Rhynna fu grata per la folla che le impediva di vedere il corpo, anche mentre il Sommo Sacerdote pronunciava le parole di rito, anche mentre il nuovo imperatore recitava l'elogio funebre al padre.
Rimase accanto alla sua famiglia per tutta la durata della cerimonia, tenendo la mano della madre che non era stata in grado di trattenere le lacrime per il fratello perduto.
E infine i figli di Ragnar presero le torce ardenti, e appiccarono il fuoco alla pira.
Non fu questione di molto prima che una colonna di fumo salisse sino all'apertura al centro della cupola.
Rhynna guardò.
Incapace di accettare la realtà di ciò che aveva visto, non versò una lacrima, ma guardò e, mentre il fumo serpeggiava verso il cielo e lo stridio dei draghi lacerava l'aria, sentì nel profondo del suo cuore che qualcosa era fuori posto.
—
"Lunga vita all'imperatore!"
I cortigiani s'inchinarono uno per uno al passaggio di Aivar Væren, l'erede designato—nonché primo figlio—del precedente imperatore, accompagnato dai suoi innumerevoli parenti. Fra fratelli, figli, zii, cugini e consorti, calcolò Lord Edmund, dovevano esservene all'incirca una trentina.
Egli era stato invitato al banchetto funebre, in quanto Gran Duca di Estelle e membro del Consiglio Imperiale, ma aveva ben poco interesse a partecipare a quella commemorazione, circondato da persone per cui non provava alcun affetto.
Tuttavia, le regole di corte dettavano che al passaggio dell'imperatore si dovesse chinare il capo, ed Edmund ritenne inutile farsi gettare nelle segrete per una cosa tanto triviale.
Presto sarà finita, si disse, e potrò lasciare questo posto.
Nel mentre, si servì un calice di vino, e osservò la schiera di nobili e principi sparsi per la sala del trono a discorrere, probabilmente della vita e della morte di Ragnar il Vecchio e della successione al trono.
Non vi erano molti altri temi che fosse cortese trattare durante simili eventi, dopotutto, il che li rendeva particolarmente tediosi.
Man mano che il tempo passò alcuni si ritirarono nei giardini, illuminati dagli ultimi raggi di sole.
Dopo aver mandato giù qualche bicchiere senza che la situazione migliorasse, Edmund decise che non fosse poi un'idea così terribile. Di certo, era preferibile al restare lì dentro.
Era sul punto di uscire, dunque, quando si sentì chiamare: "Lord Arrethan!"
Quella voce gli suonò familiare, e quando si voltò i suoi sospetti furono confermati.
"Principe Bjaern." Edmund sollevò un sopracciglio. "A che cosa devo l'onore?"
"Mio fratello vuole parlare con voi."
Il Signore di Estelle si guardò attorno, alla ricerca dell'imperatore—perché senza dubbio, se fra i figli di Ragnar il Vecchio ve n'era uno che poteva avere interesse di incontralo, doveva trattarsi di Aivar—ma di lui non vi era traccia.
Quando il suo sguardo tornò sul suo interlocutore, tuttavia, quest'ultimo aveva già girato i tacchi e si era avviato, senza attendere risposta.
Edmund non ebbe altra scelta se non quella di seguirlo—Come un cane a servizio del padrone, pensò con disprezzo.
Non conversarono durante il breve tragitto, né si videro in volto. Salvo per quell'unica volta in cui gli aveva rivolto la parola, di Bjaern il Gran Duca di Estelle vide soltanto i lunghi capelli argentati.
Non fece fatica ad immaginare, tuttavia, l'aria di superiorità che caratterizzava tutta la sua stirpe dipinta sul suo viso. Era più raro che non, in effetti, che un Væren non si atteggiasse a pinnacolo della grandezza, benché il loro unico vanto fosse quello di avere a disposizione degli animali domestici che sputassero fuoco.
Dovettero giungere di fronte ad una porta—presumibilmente il salotto privato dell'imperatore—prima che il principe si degnasse di considerarlo.
"Dovrete perdonarci per avervi strappato al banchetto, ma Sua Maestà Imperiale preferisce condurre questo discorso in privato," disse, il tutto con un'aria impassibile.
Da vero cortigiano, suppose Edmund.
Non era un'attività per cui aveva molta pazienza egli stesso, tuttavia ogni sovrano aveva bisogno di uomini fedeli che tessano le trame.
Nessuno mantiene un impero per quattrocento anni senza ricorrere agli occasionali sotterfugi.
"Vi confesso di non avere idea di che cosa mio fratello abbia in serbo per voi," gli rivelò il principe, distogliendolo dai suoi pensieri. "Che gli Dei siano con voi, Lord Arrethan."
"E con voi, Vostra Altezza," ricambiò il saluto.
Quando Bjaern si fu allontanato, Edmund bussò alla porta.
Venne ad aprire un uomo sulla sessantina che indossava una tunica bianca bordata d'oro, la veste tipica degli alti funzionari imperiali.
E allo scrittoio in fondo all'ampia sala, con alle spalle una finestra colonnata che si apriva sulla città sottostante, sedeva Aivar Væren.
Se anche non lo avesse conosciuto di persona, sarebbe stato impossibile non notarlo. Aveva gli stessi capelli biondo-argentei che caratterizzavano il resto della sua famiglia, una ricca veste purpurea, e la corona dorata sul capo che riluceva degli ultimi raggi del sole.
Si alzò, al suo arrivo, e fece un cenno alle poltrone al centro della sala. "Accomodatevi, prego. E servitevi pure, se ne desiderate."
Il tavolino di fronte a loro era colmo di frutti, e una caraffa di vino rosso sedeva al centro, assieme a tre calici dorati.
Inutili cortesie.
Cortesie che, tuttavia, egli stesso avrebbe dovuto osservare.
"Le mie condoglianze, Vostra Maestà," esordì.
Si trattenne dal porgergli le congratulazioni per l'elezione al trono. Non sarebbe stato saggio provocarlo.
L'imperatore gli rivolse un cenno di assenso, segno che l'aveva udito.
La pazienza di Edmund si stava già assottigliando.
"In un momento simile, devo però ammettere che mi ha stupito la vostra convocazione," constatò senza grandi giri di parole. "Mi è concesso conoscerne la ragione?"
Pensandoci bene... "Mi ha sorpreso che non foste al banchetto, effettivamente. Devo dedurne che si tratti di un affare di grande importanza?"
L'imperatore annuì. Secco, regale. "Voglio farvi un'offerta, Lord Arrethan," disse, il viso impassibile come quelli dei marmi dei suoi antenati che adornavano il palazzo.
Non c'era ragione di starsene ad attendere affinché proseguisse. "E di che cosa si tratta?"
"Conoscete mia cugina, non è vero?"
Edmund dovette trattenersi dal sorridere di fronte al ridicolo di quella situazione.
Aveva imparato a non sottovalutare le follie della corte, ma che l'imperatore in persona cercasse di combinargli un incontro ad un funerale non gli era mai accaduto.
Tuttavia, non rese noto il suo stupore. "Se ben ricordo, ne avete molte," puntualizzò.
Ma Aivar Væren non diede segno di curarsene. "Francamente, non fa differenza," disse. "Scegliete quella che più vi aggrada. Sono certo che ne troverete almeno una che sia di vostro gusto, e non dovete preoccuparvi del resto. Sono certo che, qualsiasi delle ragazze doveste scegliere, sarà un'ottima consorte."
A quel punto, gli fu impossibile nascondere la sorpresa che attraversò il suo volto. "Vi chiedo scusa?" Le sue labbra si curvarono in una risata. "Devo aver sentito male. Non vorrete davvero che io prenda in sposa una delle vostre cugine."
L'imperatore sollevò un sopracciglio, chiaramente stupito dalla sua reazione. "Molti uomini sarebbero onorati di essere al vostro posto."
Edmund non poteva certo rispondere con la verità—avrebbe preferito tagliarsi una mano piuttosto che imparentarsi con i Væren—così rimase in silenzio.
E Aivar proseguì nel suo discorso: "Le mie parenti sono tutte donne dalle maniere impeccabili."
"Non ne dubito, Vostra Maestà, tuttavia-"
L'imperatore, parve, non aveva terminato: "E di alto lignaggio. Qualsiasi uomo con un briciolo di intelligenza in corpo si riterrebbe fortunato ad avere una di loro come moglie."
Fu allora che gli sovvenne: Alto lignaggio. Un lignaggio imperiale.
Nelle vene delle principesse di Ælfrich scorreva il sangue Væren, e lo avrebbero trasmesso ai loro figli... E con esso, il diritto al trono.
Non che Edmund provasse un particolare affetto per l'impero—no, al contrario—ma la discendenza dai Væren avrebbe provvisto la sua prole di un ulteriore diritto a rivendicare le terre che già spettavano loro di diritto.
Il ricordo dei tempi antichi, di un regno di Estelle indipendente e libero dal giogo straniero, sopravviveva vivido nella memoria della sua famiglia. Edmund era cresciuto sentendo le storie dei suoi gloriosi antenati, e della loro caduta per mano dei cavalcatori di draghi venuti da Sud. E aveva sentito parlare della riconquista. Suo padre, suo nonno prima di lui, l'avevano desiderata. Ora era suo compito portare avanti i loro obiettivi.
E se ciò significava giacere con una donna Væren un paio di volte, poteva compiere questo sacrificio.
Prendere moglie per poi prendere un regno. Era una prospettiva allettante, al pensarci.
No, non ne aveva propriamente necessità.
Ma, ora che ci aveva riflettuto su... Forse, il matrimonio gli avrebbe fruttato anche un drago e qualche erede capace di domarlo. E se voleva avere una possibilità di liberare Estelle, gli dei sapevano che avrebbe avuto bisogno di tutte le forze che poteva ottenere.
La figlia del principe Vissar, pensò. Non era una bambina, ma sicuramente non poteva avere più di vent'anni, ed era in possesso di un'enorme bestia sputafuoco. L'aveva incrociata poche volte a corte, di sfuggita—per la maggior parte del tempo, la sua famiglia risiedeva nella fortezza di Karsig sul Nido del Drago—ma ricordava che fosse carina. Se la sarebbe fatta andar bene.
I sui occhi incrociarono quelli innaturalmente violetti dell'imperatore Aivar. "Ebbene..." Si schiarì la gola. "Suppongo che presto le campane di Elythen avranno una ragione ben più lieta per suonare."
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