Questa è una congiura!

PERCY

Gli dei continuarono a discutere tra loro in greco antico. Non riuscivo a comprenderlo, quindi smisi di distinguere le voci e mi concentrai solo sul percorso per tornare alla Casa Grande. Entrai senza bussare. Le luci erano accese. Reyna dormiva sul divano sotto una coperta di documenti vari e con dei libri aperti per cuscino. Annabeth era seduta alla scrivania e sonnecchiava con la testa tra le braccia. Un vassoio con sopra un coperchio era posato davanti a lei. Sopra c'era un biglietto:

Anche gli eroi hanno bisogno di mangiare, Testa d'Alghe. Ps. Se non torni prima dell'alba asciugherò tutto il mare per trovarti. Pps. Se muori per la tua stupidità verrò a prenderti a calci negli Inferi.

Sorrisi, ripiegando la lettera in tasca. Le diedi un delicato bacio sulla fronte e portai il vassoio con me sul divano. Mangiai non pensando a nulla in particolare. Il braccio aveva smesso di sanguinare e il taglio era magicamente guarito da solo senza lasciare traccia. Sapevo che l'icore era il sangue degli immortali, quindi era impossibile che lo possedessi. Probabilmente un po' di icore mi si era attaccato addosso durante il combattimento. Ecco la spiegazione più ovvia. Una semplice svista. Decisi di dormire un po'. Mi sistemai in orizzontale sulla poltrona, con le ginocchia sollevate su un bracciolo e la testa appoggiato all'altro. Il collo mi faceva un po' male, ma ormai c'ero abituato. Stavo per addormentarmi, quando Ares mi si parò avanti brandendo uno dei suoi coltellacci.

-Stai fermo o ti taglierò il naso, pivello.- mi ordinò.

Rimasi di sasso quando con un rapido scatto del braccio, il Dio mi provocò un taglio sulla guancia. Sentì il bruciore e il sangue caldo scorrermi sulla pelle.

-Ehi!- mi lamentai, portandomi la mano al volto, per ritrarla sporca di comunissimo sangue rosso.

-Visto?! – esultò Ares – figurarsi se questo marmocchio è degno dell'immortalità!-.

-So cosa ho visto.- replicò Apollo – Perdeva icore dal braccio!-.

-Avrai preso una svista, buono a nulla!-.

-Ah si? Guarda un po' qua!- esclamò Apollo, rubando il coltello ad Ares.

Il Dio della musica mi accostò la lama al polso, incidendo.

-Ehi, voi! Mi avete preso per un affilacoltelli?!-.

La voce mi morì in gola, quando vidi l'icore sgorgare dal mio polso. Era dorato scintillante.

-Oddei!-.

-Visto?- ribadì Apollo.

Sotto il mio sguardo esterrefatto, l'icore fu riassorbito dalla mia pelle e il taglietto scomparve.

-Sono... malato?-.

Ci sperai.

-No, figliolo.- mi disse mio padre, mettendomi una mano tra i capelli mentre si inginocchiava alla mia altezza. Mi guardò fisso negli occhi. – Sei stato prescelto dalle Parche per diventare un Dio. Un Immortale.- mi spiegò.

Ok, questo è troppo! Mi alzai e corsi in bagno a vomitare la cena. Chiusi la porta a chiave e restai solo in bagno. Finalmente solo. Respiravo veloce. Troppo veloce. Sentivo di star per svenire. Io, un Dio? No! No, no, no, assolutamente no! Non ne ero in grado e non lo volevo. Tutto ciò che desideravo era vivere una vita piena con Annabeth. Come Dio non avrei mai potuto farlo. Poi che cosa significava quel mutamento nel mio sangue? Sarebbe cambiato anche il mio corpo? I miei sentimenti? Ci sarebbe stata una mia controparte romana e sarei stato afflitto da personalità multiple. Il Dio di cosa poi? Una volta mi fu offerta la possibilità di diventare immortale e servire alla corte di mio padre, ma rifiutai per stare con Annabeth ( tra le altre cose). Possibile che le Parche me la stessero facendo pagare per quel rifiuto? Del tipo: Ah si? Non vuoi assolutamente vivere per sempre? Bene, non ce ne importa un fico secco di ciò che vuoi tu. Questa era una congiura di quelle tre vecchie psicopatiche!

Mi accasciai contro la porta, sedendomi a gambe aperte. Ero scoraggiato e spaventato a morte.

-Tirati su, ragazzino.- interruppe i miei cupi pensieri Mr D., apparendo di fronte a me.

Mi limitai a guardarlo, sbuffando.

-Cosa c'è adesso, Mr D.?.

-Ti stai comportando da femminuccia isterica, ecco cosa c'è. Molti darebbero e farebbero qualsiasi cosa, anzi hanno fatto e dato ogni cosa per diventare Dei. Tu hai la fortuna di essere stato prescelto da entità antiche e ineluttabili come le Parche. Dovresti sentirti onorato, non rinchiuderti in bagno a frignare come un poppante. Non ti ho insegnato questo.-.

-Lei non mi ha mai insegnato nulla!- ringhiai.

-Questo lo pensi tu! – replicò lui – comunque, sebbene sia un'enorme seccatura, sul diventare un Dio posso risponderti. Infatti è capitato anche a me.-.

Lo guardai, incerto. Il Signor D. che si rende utile a qualcosa? Che sembra disponibile e gentile? Dov'è la trappola?

-La ringrazio.- mormorai.- in effetti... avrei qualche domanda...-.

-Ne vuoi parlare in bagno? Adesso?-.

-Si.-.

-Come ti pare.- commentò lui, stringendosi nelle spalle.

Sempre seduto nella mia poco dignitosa posizione, feci la mia prima vera chiacchierata importante col Dio del Vino.

-Come mai nel mio corpo c'è sia icore, sia sangue rosso?-.

-L'icore è presente nel sangue dei semidei in modo impercettibile. È quello che ti da i poteri e l'odore di un semidio, la dislessia e l'iperattività. Il tuo icore sta aumentando sia di qualità, sia di quantità. Il processo sembra essere cominciato dal braccio destro, ma si diffonderà fino a sopprimere ciò che resta del tuo sangue umano.-.

-Cosa mi succederà al termine di questo processo?-.

-Diventerai immortale, svilupperai una forma divina e poteri particolari.

-Che tipo di forma?-.

-Nessuno può saperlo con certezza.-.

-Quali poteri? Connessi al mare?-.

-Forse o forse no. La divinizzazione non è una scienza esatta.-.

-Non c'è modo di fermare tutto ciò?-.

-Toglitelo dalla testa, Jonson! È impossibile.-.

-E se parlassi con le Parche? Non potrei convincerle a...-.

-No!- m'interruppe lui.-. Il tuo destino è già stato deciso.-.

Riflettei sulle sue parole.

-Lei è... cambiato fisicamente o mentalmente quando è diventato un Dio?-.

-Non che io sappia. Non ricordo molto del mio periodo da umano.-.

-Che razza di Dio potrò mai diventare?- chiesi più che altro a me stesso.

Dioniso si strinse nelle spalle e non mi rispose. Sospirai. Era venuto il momento di alzarmi in piedi e tornare nel salotto.

-Quanto tempo impiegherà il processo a concludersi?-.

-Ore o giorni o settimane o mesi o anni. Chi lo sa.-.

Con queste nuove informazioni, uscì dal bagno. Non incrociai lo sguardo degli dei, né loro mi rivolsero la parola. Presi in braccio Annabeth e la feci distendere sul letto di una stanza. Almeno non si sarebbe svegliata col mal di schiena. Infine mi distesi con lei. Il materasso era grande, solo le nostre mani si toccavano. Lei mi strinse le dita nel sonno. Decisi che non m'importava se l'indomani mi avrebbe pugnalato o sgridato, né m'importava di cosa mi avrebbe detto Atena. Mi addormentai sentendo il suo calore e il suo profumo.


-Pensi che sia grave, Will?-. Sembrava la voce della mia Annabeth, ma forse stavo sognando.

-Non lo so. Non ho mai visto nulla del genere.-.

-Lo sapevo che il lavoro uccide. Ecco perché io fatico il meno possibile.-.

-Non morirà!-.

-Certo, certo. Vedrete che dopo una settimana di relax tornerà come nuovo. Me ne potrei occupare io...-.

-Leo, non porterai Percy a Miami!-. Questa era Reyna.

-Miami? Per chi mi hai preso? Pensavo più alle Hawaii.-.

-Neanche. Taci, lo stai svegliando.-.

Aprì gl'occhi. La stanza era illuminata dal sole che entrava dalla finestra aperta. Ai piedi del mio letto c'era un Leo sorridente ed una Reyna scocciata. Accanto a me erano seduti Will e Annabeth, con cipiglio preoccupato.

-Buongiorno. Cosa succede?-.

Will si limitò ad indicare il mio braccio che era posato sulle sue ginocchia. Dovetti sfregarmi gl'occhi due volte per assicurarmi di essere sveglio. Il mio braccio splendeva di luce dorata. Anzi, sembrava proprio d'oro...

-L'icore deve essersi accumulando durante la notte.- mi spiegò Mr. D. - Muovi il braccio e passerà.-

Feci come aveva detto, recuperando la sensibilità. Il colore, pian piano scemò.

-Cosa... come...?- balbettò Will, passando più volte le mani lungo tutto il mio braccio.

Annabeth mi guardava, sorridendo. Avrei scommesso la parte più importante del mio corpo che lei aveva capito tutto.

-Forse... è il momento di confessarvi una cosetta...-.


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