Mi sento uno spione

CIEL

Dopo molti imbarazzanti sbagli, riuscì a riportare gli Dei nella terra degli umani. Ci materializzammo all'interno di una grande stanza circolare dalle pareti di legno chiaro. Al centro c'era un tavolo da pingpong, a lato, sotto la testa di un giaguaro, c'era un divano e poltrone dall'aria confortevole. In un altro angolo c'era una scrivania grande di legno scuro con dietro una poltroncina blu. Ogni superficie piana di quei mobili più il divano e le poltrone erano ricoperti di fascicoli, fogli, matite, penne, spillette, calcolatrici, bottiglie e bicchieri vuoti, carte accartocciate. Il pavimento era cosparso di libri colorati e di varie dimensioni. Sopra una catasta di voluminosi tomi rossi dormiva una ragazza dai capelli biondi con profonde occhiaia violacee, che stropicciava tra le mani una copertina azzurra.

-Quel Jonson! Guardate come ha ridotto il mio salotto! – sbuffò Dioniso.

-Tua figlia non ha neanche un letto nella casa 6? Le verrà il torcicollo.- commentò Artemide.

- Non voleva lasciare Percy da solo. Com'è romantico.- sospirò Afrodite.

Mi guardai intorno, alla ricerca di Percy. Sentivo la sua presenza nell'appartamento, ma non lo vedevo. Stavo per accingermi ad assumere una forma concreta e visibile anche per i semidei, quando la porta si spalancò all'improvviso. Irruppero nella stanza due ragazzi, uno basso e grassoccio dai capelli ricci, corti e neri e gli occhi viola, che portava una tazza bianca in una mano, l'altro lo seguiva a breve distanza, più alto, muscoloso, biondo con gli occhi azzurri, la pelle abbronzata, un camice da medico ed infradito arancioni.

-Buone notizie! – esclamò il più basso. – Ho perfezionato la mia formula. Questo caffè a Modo Mio vi terrà svegli per almeno altre 48 ore.

-Non è salutare l'assenza di sonno, Polluce. Lasciali dormire ancora un po'. Non c'è nessuna particolare emergenza in vista.- disse il biondino.

-Ah, figlio mio! Come sei cresciuto e sei bello quasi come me!- lo lodò Apollo.

-Questo posto è l'emergenza, Will. C'è un sacco di lavoro arretrato dato che Reyna ha avuto la febbre alta e non c'erano né Annabeth, né Percy ad amministrare. -.

- Lo sai cosa causa la mancanza di sonno?-.

-No e non m'interessa. – sbuffò Polluce, dirigendosi alla scrivania.

Si accovacciò a terra, spostando la sedia girevole. –L'ho trovato, dammi una mano.-.

Will accorse e, insieme all'altro ragazzo, presero Percy in braccio, provocando una cascata di fogli dal suo corpo. Era talmente pallido che mi si spezzò il cuore. Sembrava molto più che esausto con gli splendidi capelli scarmigliati e le labbra rosee dischiuse.

-Figliolo...- mormorò Poseidone, accanto a me.

I ragazzi lo fecero sedere su una poltrona e Will gli controllò le pulsazioni.

-Percy, sveglia!- lo scosse Polluce.

-Cos... si... la divisione Katie è bella deve andare in soccorso alla fucina numero otto! – ansimò Percy, aprendo d scatto gl'occhi. Poi li richiuse e si accasciò.

-Ragazzi... scusate. Mi sono addormentato.- esalò con voce impastata.

-Tutti dobbiamo dormire e tu sei sfinito. L'avevo detto a questo idiota di lasciarti dormire, ma...-.

-Tutto ok, Will. Gli ho chiesto io di tenermi sveglio.-.

-Tranquillo, Capo. Con questo non dormirai più per molto tempo.- affermò Polluce, mettendogli sotto il naso la tazza piena.

-Non è blu. Non si può avere blu? – chiese il figlio di Poseidone, aprendo solo un occhio.

-No. Fai il bravo bambino e bevi.- sorrise Polluce.

Percy bevve. Per un momento non accadde nulla. Poi il ragazzo spalancò gl'occhi e scattò in piedi con un – wow, che scossa! Ma cos'è?-.

-Ricetta segreta dei figli di Dioniso.-. s'inorgoglì Polluce.

-Annabeth? Dov'è?- chiese Percy guardandosi intorno.

Quando la vide corse da lei e s'inginocchiò, posandole la mano sulla fronte.

-Mmm.- mugugnò lei a quel contatto.

-Tranquillo, Percy. È solo stanca. – lo tranquillizzò Will.

-Will, puoi portarla in infermeria? Ha lavorato tanto, ha bisogno di riposo.-.

-Certo, ma prima voglio controllarti i parametri.-.

-La porto io in infermeria.- si offrì Polluce.

Percy lo ringraziò e lo aiutò a caricarsi Annabeth sulle spalle. Poi li guardò uscire.

-Siediti.- lo invitò Will, con un sorriso rassicurante.

-Sto bene, Will.-.

-Siediti!- ripeté il figlio di Apollo.

Alzando gli occhi al cielo, Percy ubbidì. Il medico gli controllò il battito cardiaco, i polmoni ed ogni tanto canticchiava, passandogli le mani sulle braccia e sulla testa.

-Sembri in forma, per quanto può esserlo qualcuno che ha dormito 20 ore in 14 giorni.-.

-Grazie.-.

-Via la maglietta, ti farò un massaggio per non farti atrofizzare i muscoli principali, inoltre i tuoi nervi sono tesissimi. Non mi stupirei di vederti svenire da un momento all'altro, o che ti scoppiasse la testa.- ridacchiò Will.

Con evidente disappunto, Percy gli obbedì, rivelando un torace ampio, muscoloso e glabro. Sentì l'imbarazzo arroventarmi le guance quando mi accorsi di desiderare di stringerlo a me.

-Notizie dal tuo amico speciale?- chiese Will, cominciando a massaggiargli le spalle.

-Non ancora.-.

-Sei sicuro che ci si può fidare di lui? Lo conosci appena, e poi è un figlio delle Parche...- continuò, passando alle braccia e alle mani.

Impallidì, leggermente offeso.

-Certo che sì! Ciel è un bravo ragazzo, mi fido di lui.- affermò Percy senza un attimo di esitazione.

Questo mi scaldò nuovamente. Un suono squillante mi riportò alla realtà.

-Cos'è?- chiese Will.

-Il telefono. – ridacchiò Percy, prendendo uno schermo nero dal comodino.

-Ti lascio lavorare. – sorrise il medico, schioccando un rumoroso bacio sulla guancia a Percy, che annuì.

Il figlio di Poseidone si rimise la maglietta e premette un pulsante del telefono. Sullo schermo apparvero due ragazzi, entrambi con i capelli neri e gli occhi scuri. Quello seduto su uno scalino aveva una carnagione bianchissima e sembrava arrabbiato, quello che sbirciava da sopra la sua spalla aveva la pelle ambrata e un sorriso sornione.

-Ciao Nico, Ciao Leo. Cosa succede?-.

-Percy... dì a Valdez che deve tornare al Campo! Non lo sopporto più! – disse quello pallido.

-Ehi, potrei anche offendermi!- replicò l'altro.

- Nico, non vogliamo che tu stia da solo. Se potessi aspettare solo un altro po'...-.

-Percy, ti prego! – lo interruppe Nico – mi sta facendo odiare gli inferi. Ha insegnato a Cerbero a ballare su due zampe. Sulle zampe, Jackson! Mi schiaccia tutti gli spiriti. Come se non fosse già abbastanza umiliante, gli ha messo un cappello colorato su ogni testa e al cane piace. Azzanna chiunque cerchi di prenderli.-.

-Trovo sia un tocco di stile.- commentò Leo.

-Ha riempito la stanza che gli avevo dato di cuscini colorati e festoni e materassi ad acqua.-.

- Mi hai detto di fare come se fossi a casa mia... Ho anche installato a Persefone quel gazebo e quei dondoli che voleva in giardino.-.

-Si, ma hai anche costruito dei mini satiri che vanno per i campi della pena a suonare le canzoni di Taylor Swift e Beyoncè.-.

-Ti dimentichi Lady Gaga. Ho pensato di alleviare un po' le loro torture.-.

-O di peggiorarle allora.- brontolò Nico.

-Ehi, cos'hai contro Lady Gaga, amico!- lo criticò Percy.

-Valdez ha anche aperto un chiosco di tacos che vende agli spiriti mentre sono in fila per lo smistamento.- concluse Nico, quasi con le lacrime agli occhi.

- Quei poveretti aspettano anche giorni prima di essere smistati! Non puoi negargli il cibo.-.

-Sono spiriti, Leo! Spiriti! Non possono morire di fame.- ringhiò Nico, girandosi verso il compagno.

Sembrava gli volesse saltare al collo per strozzarlo, ma Percy richiamò la sua attenzione.

-Tranquillo. Ti volevo proprio dire che questo pomeriggio Hazel partirà per raggiungerti. Quindi se Leo vuole tornare al Campo...-.

-Si, vuole tornare!- decise arbitrariamente Nico.

-Ehi, mi stai cacciando dall'Aldilà? Uff... e va bene! Fine della pacchia.- sospirò Leo.

Dopo qualche altra discussione, Percy spense il telefono e si accinse a sfogliare dei fascicoli.

-Come si fa a non innamorarsi di uno così? Beh, meglio farsi vedere.- mormorai io, anche se non credevo che gli dei mi avessero sentito, tra gli sghignazzi di Apollo, i sospiri di Ade e i mormorii di Ermes che cercava di consolare Efesto, esasperato.

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