-Epilogo-

Si consiglia la lettura con il sottofondo musicale...

Buon proseguimento...

Le persone non muoiono immediatamente, ma rimangono immerse in una sorta di aura di vita che non ha alcuna relazione con la vera immortalità, ma attraverso le quali continuano ad occupare i nostri pensieri nello stesso modo di quando erano vivi
(Marcel Proust)

TOM

Il cielo stanotte è un manto di velluto nero, la luna regala il suo riflesso per aiutarmi a valicare i confini della mia anima e delle mie paure.

Mi trovo di fronte ai cancelli chiusi del cimitero, sono passate due settimane da quel giorno: da quella resa dei conti. Tetro e angustiante, rimiro questo luogo, grava sul mio petto il rimorso di non essere mai venuto qui, nemmeno per mia madre. Era come gettare certezza sul fatto che fosse morta, rimestare le paure e i ricordi sopiti in qualche anfratto del mio cuore, ma adesso è diverso, ora devo mettere in pace la mia anima.

Muovo piccoli passi sul terreno ghiaioso, il rumore prodotto fa da sottofondo: buio e ombra giocano, davanti ai miei occhi si staglia a perdita d'occhio alla mia sinistra e alla mia destra l'infinita distesa di tombe; statue di angeli corrosi e piangenti; Madonne addolorate nella pietà dei trapassati; epitaffi descrittivi di anime esemplari e giovani tombe di bambini perduti.
Una morsa attanaglia il mio cuore, il respiro mozzato dalla tristezza del luogo, la testa china in rispetto e suffragio di quelle anime inanimate di vita.

Per distogliere l'attenzione dal turbamento che sto vivendo, mi impongo di pensare ad altro, decido così di richiamare alla memoria i giorni dal mio risveglio in poi, affinché possa giungere sereno alle lapidi.

Ricordo ancora, quando, svegliatomi dal coma farmacologico trovai al mio capezzale Pat. Inevitabilmente il ricordo corse a quando, dodici anni prima, mi ritrovai sempre lei col capo poggiato al letto nell'attesa che mi destassi.

In quel momento, come fu anni prima, la vidi con la rugiada a inumidirle le guance. Allertò gli infermieri del mio risveglio, conseguentemente venne a farmi visita il chirurgo che mi operò : «Signor Carter, ben tornato tra noi, è arrivato qui in condizioni pressoché critiche, è stato colpito da una pallottola all'addome che le ha lesionato la milza. Era in corso una grave emorragia, i suoi parametri vitali erano in calo e si è ritenuto necessario intervenire per rimuovere l'organo compromesso. È stato mantenuto, fino ad oggi, in coma farmacologico per garantirle un risveglio "protetto". Deve ringraziare la donna che era con lei, il tamponamento della ferita e la chiamata tempestiva ai soccorsi, ha reso possibile salvarla. L'iter post operatorio è ancora lungo ma, da come sembra, il suo organismo reagisce bene.»

Disattento sentii il susseguirsi di quel monologo, la mia mente era concentrata a seguire il turbinio di flash di quella vicenda: mio padre che feceva da scudo per salvarmi; Lexy e la sua sete di vendetta tennero in scacco quattro vite; Cory assoggettato a quella voglia di rivalsa su me e J, il tanfo di sangue e morte che, ancora oggi a distanza di tempo, riempe il mio senso olfattivo.

Qualche giorno dopo essere uscito dal coma, venne a trovarmi l'agente incaricato del caso, mi informò che una volta dimesso avrei dovuto recarmi in commissariato per illustrare la dinamica dei fatti e, quando domandai cosa era successo a Lexy, rispose: «Signor Carter, la signorina Davidson, sebbene si sia trincerata nel silenzio appellandosi al quinto emendamento, è stata condotta in carcere, gli esami forensi e il guanto di paraffina hanno dato esito positivo alla polvere da sparo e al suo coinvolgimento. È solo da capire il susseguirsi degli eventi».

Fu durante il ricovero che dovetti disbrigare, con l'aiuto di Pat, il funerale di mio padre, espressi la volontà di far risiedere attigua a mia madre la sua sepoltura e che l'allestimento fosse di peonie bianche e rosse, con la promessa del cuore, silenziosamente fatta a loro, di raggiungerli appena uscito.

Ed eccomi qua con in mano un mazzo di peonie, dinanzi le loro tombe, la rugiada riempe i miei occhi offuscando i loro nomi; le gambe tremano e il cuore sussulta dolorante.
Mi genufletto per adagiare i fiori tra le due sepolture, accarezzo la terra umida, un respiro profondo prima di parlare, mi passo le mani sugli occhi impastando la bocca di rugiada e lacrime.

Un altro respiro profondo, alzo le maniche della maglia e il tatuaggio sull'avambraccio sinistro è ancora fresco: una peonia che perde stille sanguinolente, "Et non moriatur", non morirete mai, e poco più sotto i loro nomi intrecciati.

Carponi mi sistemo tra le due lastre fredde come capita a un bambino che ha appena fatto un brutto sogno e corre nel letto dei genitori raggiungendo il suo porto sicuro. Porto le gambe al petto, mi sento protetto, volgo il braccio ove è raffigurata la sua essenza: la peonia.

Quel fiore senza spine, che ha unito un uomo e una donna: Lily e Phil; quello stesso fiore che mi ha fatto conoscere la vendetta.

Quei nomi finalmente intrecciati, lo sono sempre stati durante tutti questi anni, e ora lo saranno per sempre.

Accarezzo quel simbolo, dolci brividi arrivano al petto, quell'organo atrofizzato, accattorciato che si è rimpolpato grazie a quell'ultimo sacrificio.

«Mamma, papà, sono pronto. Vi ho perdonato!» asserisco in un soffio, poggio la testa alle ginocchia e tenue quel richiamo viene accolto.

Una brezza lieve mi fa issare il capo ed ecco nuovamente lo specchio, scatto in piedi e portandomi verso quell'oggetto inghiottito nel nero rimiro la mia immagine.
Quella superfice riflettente mi rimanda me stesso: emaciato, il pallore fa invidia alla luna, scavati i lineamenti.

«Bentornato me sano, vecchio amico dove ti eri cacciato? O semplicemente non sei mai andato via, come un ladro arrivi nel cuore della notte a rimestare l'anima nostra, mi ricordavi sepolto e quel sepolcro vuoto attende. Tranquillo, Tom, stavolta e per sempre ci ricongiungeremo » asserisce il mio riflesso e eseguendo un inchino trionfale si defila per lasciar inondare di luce lo specchio.

Quel bagliore m'acceca ma, affievolendosi lentamente, palesa improvvisamente mia madre: vestita di nero, in mano ancora la peonia bianca e nell'altra tiene intrecciata la mano di mio padre anch'egli abbigliato a lutto, rincuora quella visione.

Anni a sentirmi indesiderato da colui che mi ha generato; anni a lenire l'assenza di colei che mi ha amato nonostante la malattia mentale e fisica, vederli insieme finalmente fa pompare nelle vene la serafica beatitudine.

Abbevero la vista nella loro muta bellezza, imprimo a fuoco nella mente la loro visione, come icona la loro ritrovata unione.

«Tom, finalmente sei venuto come avevi promesso» asserisce mia madre, poi si volta verso mio padre e sorridendogli dolcemente prosegue: «Ecco l'uomo che ti ha generato, si è sacrificato per salvarti da morte certa. So cosa c'è nel tuo cuore, figlio mio, la colpa ti sta fagocitando; l'oblio ti sta abbracciando».

«Troppo è la sofferenza, mamma, enorme è il vuoto e il senso di colpa. Travolto e avvolto dalla vendetta, carnefice e vittima della mia stessa malattia. Vivere... questo non è vivere, è sopravvivere: sono un superstite del mio dramma» ammetto come un fiume in piena, scosso dagli spasmi del pianto, dalla tasca estraggo la mia fedele amica. Uno scatto ed eccola lì suadente il luccichio m'invita e, incise sul manico le iniziali di mio padre, rinasce spontanea, da reminiscenza, la carezza e la reverenza.

"Oh amica stavolta aiutami, fa quello che devi!" penso.
Volgo lo sguardo sullo specchio, poco più dietro dai miei genitori, appaiono nuovamente delle tombe: quella di mia madre, quella di mio padre e un'altra...

TOM CARTER
B.12/12/1987
D.14/04/2017

Mio padre, finora in religioso silenzio, allunga una mano nella mia direzione, incoraggiandomi con la bellezza dei suoi occhi, a cogliere quell'ancora che mi libererà.

Lentamente allungo la mano tremante e il fluido scorre fino al terreno sfamandolo, non appena le nostre estremità si congiungono uno stato di pace mi attraversa.

La carezza di mia madre arriva sulla gota sinistra, discendendo fino all'avambraccio che istintivamente alzo per portarlo alla sua vista, ella prima lambisce con le dita quell'inchiostro, che impresso sopra ai tagli fatti per entrambi adesso porta il perdono, poi si abbassa a depositarvi un bacio.

Insieme noi tre, mano nella mano, procediamo verso quelle lapidi. Giuntivi in prossimità, mi volto a guardare prima uno poi l'altra, loro sono le radici dell'essenza delle peonie e io sto soavemente raggiungendoli.

Fine

Spero che questo epilogo vi sia piaciuto.
Vi lascio un breve messaggio, il disegno sopra inserito è il tatuaggio che ho pensato e ideato.
Ci vediamo ai ringraziamenti 😘

STAY TUNED
SEPMGG

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top