-Capitolo 30-
Si consiglia la lettura con il sottofondo musicale
Buon giovedì...
Non riesco a pensare ad alcun bisogno dell'infanzia altrettanto forte quanto il bisogno della protezione di un padre.
(Sigmund Freud)
Tom
«Mamma!», la vedo in lontananza sbiadita, creatura peritura, voltata di spalle di veste bianca abbigliata tiene in mano una peonia bianca.
Ne sento il profumo nonostante la distanza, ritento reclamando l'attenzione: «Mamma, mamma, sono qui voltati».
Nulla, non si volta nella mia direzione.
Avvilito dalla sua indifferenza soggiungo: «Mamma, aiutami!», quella implorazione la porta a voltarsi e sorridendomi porta al naso il fiore.
Avvicinatasi fluttuando, una volta avermi raggiunto mi squadra e aggiunge: «Asciuga gli occhi, Tom, la mamma è qui.
Fammi vedere dove ti fa male».
Eseguendo la sua richiesta mi volto mostrandole la nuca, ella porta le mani nel punto dell'impatto e riportando lo sguardo sui miei occhi prende a scrutarli.
«Ti avevo avvertito, ma tranquillo l'uomo del quale non pronunci il nome, l'uomo che ha generato il seme della vendetta e della tua malattia verrà a salvarti da morte certa» mi acciglio, anche se sinora le sue parole siano state sinora profetiche, restano criptiche e indecifrabili.
«Chi mamma, chi è l'uomo?» soggiungo con voce flessa dallo scoraggiamento; ella porta la peonia al mio senso olfattivo e io ne inspiro la fragranza riempiendomi polmoni, come un alcolizzato in cerca del bicchiere per lenire la sensazione di vuoto che solo quel liquido può colmare. Abbevero di quell'effluvio selvaggio ogni mia cellula smaniosa di quell'essenza tanto cara e amara, ricaccio un sospiro rassegnato a non aver la benché minima idea di cosa mi accadrà.
Quel susseguirsi di visioni di mia madre hanno su di me l'effetto simile al pescatore: di notte getta speranzoso le reti e il giorno quando le ritira si schianta contro la realtà dinanzi al groviglio vacante.
Quell'andamento ripetitivo di apprizioni, quel moto perpetuo da una parte mi dona gioia, dall'altra mi lascia amareggiato un volta ridestato.
«Mamma, perché mi appari da anni, perché non so se sogno o son sveglio!» concitata è la mia richiesta di spiegazioni, ella colta da un sentimento di amorevolezza materna porta le mani a congiungersi alle mie e solennemente dolce asserisce: «Io sono morta, Tom, quello che io sono stata è il frutto di quello che tu vuolevi vedere! Sono stata il collegamento con la tua reminiscenza, il tuo subconscio, Tom, hai sempre ricordato tutto. Solo che questi ricordi erano chiusi a doppia mandata nel tuo cuore. Sei tu che hai incaricato all'immagine di me di divellere quello scrigno»
Avverto un leggero scuotere, mi rivolgo a colei che ha tenuto agganciata la mia intera vita alla sua memoria, a lei l'essenza delle mie azioni , l'essenza delle mie rievocazioni: «Mamma, devo andare, ti voglio bene».
Schiudo le palpebre lentamente, la stanza precedentemente avvolta nella penombra ora è rischiarata dalla luce della lampadina posta sulla mia testa e, benché io abbia la testa penzolante, avverto una fastidiosa sensibilità oculare data dall'illuminazione .
Sono seduto e tentando di alzarmi, produco solo uno stridio d'attrito contro il pavimento e mi rendo immediatamente conto che sono stato legato a una seggiola, i miei piedi sono assicurati alle gambe di essa per mezzo di una corda.
«Ben svegliata principessa!» quella detestabile voce arriva acuta e penetrante infastidendomi: «Devo sinceramente congratularmi con te, contro tutte le probabilità sei riuscito a sopravvivere. E dato che sei tornato dal sonnellino di bellezza, vorrei rivelarti il perché della mia vendetta. Venni convocato nello studio di mio nonno il giorno del mio diciottesimo compleanno e tuo padre mi rivelò senza mezzi termini che avevo un fratello, probabilmente sperava in cuor suo che io a quella rivelazione mi mostrassi felice, cosa che ovviamente non fu, ma quello che successe dopo cambiò irrimediabilmente il mio futuro...»
Inizia così a incedere lento, cammina avanti e indietro, come se grazie a quell'azione riuscisse a stimolare il ricordo di quel giorno...
Dodici anni prima...
«Bene, Phil, se è tutto direi che è giunto il momento che io e mio nipote rimaniamo da soli. Ti pregherei di rimandare ogni discussione, avrete tempo e modo per confrontarvi» soggiunse mio nonno perentorio e, qualora non fossero state sufficienti quelle parole, l'espressione che tramutò i suoi lineamenti non lasciava adito a fraintendimenti.
Phil, col capo chino parve sinceramente dispiaciuto del teatrino inscenato e parve prossimo all' obbedienza di quel tassativo ordine impostogli dall'anziano, ma in uno scatto repentino cambiò: issò il capo, assottigliò lo sguardo le cui iridi sprizzarono istantaneamente disgusto per entrambi e dischiuse le labbra che intrisero di risentimento e odio l'intera stanza: «Vecchio, quantunque tu osi darmi ordini, ti ricordo che non sei nella posizione di avanzarne. Ti sei occupato della madre di Tom con mezzi impropri, le hai praticato l'elettroshock solo perché la tua sgualdrina di figlia si era invaghita di me. Hai adoperato la tua posizione e i tuoi mezzucci per compiacere quella ragazzina al solo scopo di farle tenere la bocca chiusa, ti teneva soggiogato con la minaccia di rivelare, alla sua adorata e socialmente impegnata madre delle tue visite nella sua stanza di notte, si hai capito bene Cory, tuo nonno abusava di tua madre. Ella me lo rivelò il giorno che seppe di aspettare te, tra le lacrime liberò quel segreto e tra quelle stille salate disse di essere rimasta incinta di lui e, sempre grazie ai suoi mezzi da medico, di averla fatta abortire nel suo ospedale.
Ecco perché lui l'ha allontanata dalla tua vita, ecco perché non ti ha cresciuto e conduce una vita nella più totale dissolutezza, per paura di averlo vicino. Stesso terrore che ha tuo nonno, che lo induce ad assecondarla, per la viva apprensione che la verità venga a galla e spazzi via l'aura menzognera dell' integgerrimo dottor Griffith» ultimò il suo soliloquio con il fiatone, la rabbia fluì dal suo corpo sotto forma di veleno insozzandoci.
Diressi lo sguardo su mio nonno che aveva assunto un'espressione raggelata vidi i suoi lineamenti tramutarsi a poco a poco: le sopracciglia si inarcarono; le narici si dilatarono e il petto iniziò a gonfiarsi e sgonfiarsi come un toro prossimo alla carica; poi un rumore sordo spezzò quel suo ansito animalesco, fu il suo pugno destro che andò a scontrarsi con la superficie della scrivania.
«Fuori!» urlò preso da ira funesta, Phil di rimando si mise la maschera della compiacenza per se stesso e dopo un inchino, si rivolse a me: «Spero tanto che tu possa redimerti, Cory, e altrettanto mi auguro che mio figlio non diventi mai come te, ricorda che sei il risultato degli errori di quest'uomo» concluse indicando con biasimo mio nonno.
Phil si trattene dall'andarsene nella speranza che un barlume di discernimento mi conducesse verso lui, porto con acque meno agitate al cospetto di quelle del mio progenitore che pareva preso dalla mia medesima trance ma combattendo con considerazioni di diversa natura.
Sospirò, Phil e, inserendo le mani nelle tasche girò i tacchi, avanzando verso l'uscio si fermò prima di oltrepassarlo per sentenziare: «Cory, sta lontano da quest'uomo».
Mi sentii in trance, osteggiato tra questi due uomini; che malsanamente avevano dirottato la mia esistenza: uno abusatore di sua figlia; l'altro occultatore di progenie.
Una volta soli, quella stanza assunse la connotazione di un'imbarcazione , mi sentii smosso da nausea, la stanza iniziò a ondeggiare su quelle acque agitate, avvertii la necessità di un appiglio una scialuppa, aggottai levando dal fondo della mia esistenza quel liquido putrido e stagnante e sebbene mi sforzassi stavo colando a picco.
Fu la sua voce, come Tritone e il suo corno di conchiglia il cui suono calmava le tempeste, abbonacciò il tumulto dei miei pensieri: «Figliolo!», tentò, ma un qualunque tentativo di giustificarsi gli fu vano, persino un mostro come lui potè capire fin quando era impossibile addurre motivazioni.
«È vero dunque! Hai abusato di tua figlia, di mia madre. Lei è rimasta incinta e l'hai fatta abortire. È vero? Parla!» all'indirizzo di quelle mie parole fu colto istintivamente da un sussulto accompagnato da un passo indietro, successivamente abbassò la testa e pian piano soggiunse il suono di un piagnucolio.
In quegli anni guardai alla figura di mio nonno con adorante venerazione, desiderai ardentemente di diventare come lui, capii che la mia intera vita era stata costruita sulle fondamentale fragili della menzogna, le travi erano fatte di fango, le mura di carta.
Iniziò a materializzarsi nella mia mente la vendetta, un sostantivo pericoloso, ma aveva il potere di liberare.
«Giurai che mi sarei vendicato di mio nonno per il dolore inflitto a mia madre che dopo qualche anno fu trovata morta per overdose da farmaci fagocitata dal ricordo degli abusi, giurai che mi sarei vendicato di mio padre per aver taciuto sulla tua esistenza e per aver preferito sempre te a me».
Dunque io e lui eravamo ricoverati presso la stessa struttura nello stesso periodo, mancano tasselli per completare il quadro e renderlo chiaro.
La confessione fatta da mio fratello mi ha destabilizzato "mio padre ha sempre preferito me?" mi interrogo, non vi è stata traccia né sospetto che si fosse interessato a me in tutti quegli anni così decido di chiedergli: «Sbagli, Cory, nostro padre non si è mai interessato a me, sono anni che non abbiamo rapporti», egli comincia a ridere con enfasi e soggiunge: «No, Tom, sei tu a sbagliare. Tuo padre ti ha sempre seguito da lontano, in casa sua ci sono foto tue, in ogni istante della tua vita. Lui ti ha guardato da lontano, dice che lo fa per proteggerti dal dolore che è capace di fare che è lo stesso che ha fatto a tua madre. Qualche giorno fa mi ha contattato perché mi ha visto entrare nel tuo negozio, sperava che mi fossi ravveduto sui miei propositi di dodici anni prima, ma ho detto chiaramente che la mia voglia di vendetta è tale e quale. Adesso io attraverso te colpirò lui».
Uno schiaffo si infrange sulla mia gota destra, il dolore arriva fin dentro la scatola cranica offuscandomi la vista, un pugno allo stomaco sembra sviscermi di ogni organo e interrompendo quella sequela di colpi alternati, si volta rimestando in una borsa, presumibilmente portata da lui per adempiere ai suoi propositi di rivalsa.
Estrae da essa una pistola è dall'espressione compiaciuta adducco che devo essere sconvolto, rigirandosela tra le mani asserisce: «Bene, "fratello"» simula le virgolette con tono sarcastico «poniamo fine a tutto, la cosa si è protratta fin troppo, voglio vederti morto e bramo di vedere Phil risucchiato dal dolore. Prima aspetto che la mia padrona arrivi e decida quando devo premere il grilletto.» ultima con sguardo allucinato verso l'arma.
Ed ecco, come se fosse stata richiamata da quell'appelativo, Lexy fa la sua comparsa accompagnata da un uomo, i suoi lineamenti paiono essermi familiari, lui ha un ghigno malefico e le mani intrecciate a lei, come a reclamarne il possesso.
«Tom, ti presento il dottor Johnson, o per dire meglio ti ricordo chi è. Lui è il mio mentore, ha guidato e incanalato la mia rabbia dovuta a quello che mi hai fatto e
adesso, anche lui, reclama la sua dose di vendetta» sono frastornato, ho i sensi ottenebrati, una congiura è stata orchestrata per anni alle mie spalle.
Mi sento perso, solo disperato, capisco in un lampo che è giunta la mia ora.
«Padrona, dimmi tu quando!» asserisce Cory con tono soave alla donna che tiene le redini della situazione, ella passa a picchiettarsi il mento fingendo indecisione e schioccando le dita in procinto di affermare qualcosa si arresta a causa del rumore della porta principale che viene divelta improvvisamente, poco dopo la voce di Phil riempe il silenzio creatosi.
Chiama a gran voce il mio nome e quello di Cory, si sente la concitazione dei gesti mentre perlustra la casa.
E non appena mi ridesto dallo stato di shock per gli avvenimenti appena accaduti istintivamente grido: «Papà, giù nello scantinato, corri».
Uno sparo arresta e mette a tacere ogni tentativo di richiedere aiuto, volgendomi verso l'origine del suono vedo Cory con il braccio teso per aria. Lo scalpitare di mio padre che freneticamente scende le scale, per raggiungerci si fa sempre più vicino fino ad interrompersi completamente colto alla sprovvista davanti alla scena che ha di fronte.
Phil cerca di avanzare piano, con le mani in alto in segno di resa, si porta accanto a me e dall'espressione che ha in volto devo essere ridotto malaccio.
«Cory, getta quella pistola, fallo per tua madre, fallo per te» con tono pacato tenta di infondere un po' di raziocinio, ma ecco che alle spalle di Cory si appropinqua Lexy, porta le sue mani sul suo capo carezzandolo e avvicinandosi al suo orecchio asserisce: «Mio dolce Cory, sai che tu devi dare ascolto alla tua padrona, vero?» Cory inizia ad assentire con il capo ed ella soddisfatta prosegue: «Bene, allora procedi».
Cory si mette in posa da tiro, divarica le gambe alza entrambe le braccia, tiene salda la presa sul calcio della pistola e pronto è l'indice posto sul grilletto, poi prende un respiro sorride e aggiunge: «Buona sofferenza, papà».
Chiudo gli occhi in attesa che la pallottola si conficchi nella carne, irrigidisco i muscoli per prepararmi psicologicamente al dolore, un primo colpo poi un secondo ed un altro ancora si mescolano con il rumore di passi e grida.
Sento mio padre urlare a squarciagola e gettarmisi addosso, poi silenzio.
Pochi secondi dopo, penso di essere già morto, e pian piano apro gli occhi nella speranza di trovarmi finalmente in un posto migliore, dove finalmente possa ritrovare mia madre.
Ma, sotto shock, mi accorgo di essere ancora qui, presumibilmente Cory non ha mirato bene. Mi ritrovo con mio padre poggiato con il capo sulle mie gambe, probabilmente pensa che io sia trapassato, così decido di chiamarlo: «Papà».
Egli riscosso da quell'appellativo, che da troppi anni non accarezzava le mie corde vocali e quelle dell'anima, alza il capo e contestualmente mi accorgo che un fiotto di sangue esce dalla sua bocca ora ricurva all'insù, ride di gioia per quel nome che non avevo più pronunciato.
La rugiada si libera dagli occhi di entrambi, il carminio tinge di dolore quegli attimi, papà mi ha fatto da scudo per sottrarmi da morte certa, ha sacrificato la sua vita per me.
«Tom, ho amato te e tua mamma per tutta la vita, ti prego perdonami», un colpo di tosse; l'ultimo anelito di un padre ritrovato troppo tardi con un gesto d'amore profondo.
Un ultimo sorriso, si poggia nuovamente sulle mie gambe, sembra un bambino, i suoi occhi si chiudono lentamente e muore.
Bene, bene, bene😬😬😬.
Siamo quasi arrivati all'epilogo, giusto un altro capitolo e ci siamo. Promesso.
Non vi dico quando pubblicherò... così rimaniamo nel pathos degli ultimi avvenimenti...
Vi ringrazio immensamente tutti
STAY TUNED
SEPMGG
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