-Capitolo 18-
Si consiglia la lettura con il sottofondo musicale
Buon giovedì
Per un fiore appassito nel libro dei ricordi rugiada è una lacrima di dolore.
(Ambrogio Bazzero
~Lagrime e sorrisi~)
Dodici anni prima...
TOM
<<Ora delle medice>>, nella sala comune, la voce si diffonde dagli altoparlanti posti sulle nostre teste, anch'essa meccanica, quasi robotica, non tradisce emozioni.
Ecco apertosi, quello che sembrava uno specchio, scorre lentamente e appare un infermiere.
Tutti i pazzi si appropinquano disponendosi in fila indiana, hanno la medesima voglia di quando si è in fila alle poste, alcuni claudicanti, altri pervasi da tic e infine qualcuno seduto sulla sedia a rotelle accompagnato da un inserviente.
Io sono ancora seduto sulla sedia con in mano un libro, ho paura che una volta avvicinato a quella fonte medicale, non sarò più lo stesso.
Sono trascorsi 5 giorni nei quali ho avuto modo di incontrare nuovamente la dottoressa Donovan, ella tenta ostinatamente ad aprire un canale di dialogo, di farmi sentire a mio agio, con scarsi risultati.
Ieri durante una seduta, mi ha annunciato che prima di intraprendere la terapia farmacologica, per alleviare il mio stato di depressione, vuole intraprendere la via della terapia cognitivo-comportamentale.
Scorgo lei, la ragazza misteriosa, parla con un ragazzo che presumo abbia la mia età, forse attratta dalla potenza del mio sguardo si volta nella mia direzione abbandonando seduta stante la compagnia del tizio.
Si incammina nella mia direzione con grandi falcate e un espressione che non riesco a decifrare.
Arrivata dinanzi a me, poggia entrambe le mani sul tavolo e squadrandomi con aria di sufficienza asserisce:<<Ehi squinternato, che hai da guardare?>> la sua voce mi arriva fin dentro scuotendomi, è un mix di saccenza e indisponenza che mi suscita una risata convulsa:<<Certo io sarei squinternato mentre tu sei qui perché sei normale!>> replico.
Ella strabuzza gli occhi come colta da ira, si porta in posizione eretta incrociando le braccia sotto al seno, quest'ultimo grazie al quel movimento si alza portandomi a fissarlo, è di una bellezza disarmante, bella e pericolosa assieme.
Voglio pungolarla, mi piace osservare l'effetto che hanno su di lei le mie affermazioni:<<Allora, se hai notato l'insistenza del mio sguardo, ne deduco che anche tu insisti nel guardarmi!>>, portandosi la mano destra sul fianco, passa a esaminarsi le unghie della sinistra, ignorandomi intenzionalmente.
Passano diversi minuti poi ella dice:<<Ti ho visto sai, nella tua camera parlare da solo, senz'altro io ho qualche problemino a gestire la rabbia, ma a te manca qualche venerdì>>, l'asprezza del suo tono mi arriva come un pugno nello stomaco, deglutisco ripetutamente e cerco di focalizzarmi su qualsiasi cosa che possa darmi sollievo.
<<No... non parlo da solo>> è tutto quello che riesco a dire, alzandomi di scatto scanso malamente chiunque mi impedisca di raggiungere il prima possibile l'uscita e poter dirigermi lesto nella mia stanza.
Appena dentro è l'odore di essenza di peonie a invadere il senso olfattivo, è il profumo di mia madre, il diario mi richiama a se, alzo di poco il materasso e afferrandolo lo annuso.
Immediata è la pacatezza che pervade ogni mia fibra e la superficie grinzosa mi avvolge come una carezza, ormai coma un rito apro una pagina a caso. Spalancandosi ai miei occhi un varco sulla vita di mia madre noto che tra queste facciate di una esistenza passata vi è una peonia appassita...
Settembre 7 1990
Carissimo diario,
Ieri ho avuto un crollo, ho pensato di farla finita volevo ingerire l'intera boccetta di antidepressivi prescrittami dal dottor Griffith, ma a sviarmi da tale tentativo è stato Tom... piangeva nella sua culla da almeno mezz'ora, forse colto da un incubo , alla fine ho ceduto e mi sono diretta nella sua cameretta. Non appena l'ho avuto tra le braccia si è acquietato così ho deciso di sedermi sulla sedia a dondolo, quel movimento cadenzato l'ha addormentato.
Come ogni qualvolta è tra le mie braccia ho avuto modo di studiare ogni minimo particolare: le ciglia folte; la pelle di porcellana; i capelli soffici; le manine talmente paffute da creare al posto delle nocche dei solchetti che traccio un per uno con l'indice.
Amo questo bambino, ma al contempo mi sento bloccata da questo sentimento, se da una parte non vorrei lasciarlo mai dall'altra, a causa dei miei sprazzi scostanti, vorrei porre fine a questo modo di sentirmi.
Il dottor Griffith dice che è depressione post parto, ma io so di soffrirne da sempre, anche da ragazzina avevo ideazioni suicide, ricordo che mia madre mi colse in fragrante mentre passavo la lama sulle cosce o quando ero in bilico sulla balaustra che dalla mia camera, posta al primo piano, sporgeva sul giardino retrostante.
Forse è questa la ragione per la quale dopo il matrimonio sono scomparsi, non conoscono Tom, non sanno se sono felice.
Spero in cuor mio che stiano bene e che sentano la mia mancanza.
Ancora la notte mi capita di liberare rugiada per loro, vorrei che fossero qui...
Prendo tra le mani la peonia senza vita, tocco ogni petalo ne avverto l'olezzo, d'un colpo sento un trapestio ritmico.
Mi volto verso la fonte di rumore e la vedo: mia madre sulla sedia a dondolo, con indosso un vestito a fiori, sfondo bianco e fiori rossi, tra le braccia un bambino.
Dondola, canticchia una ninna nanna senza parole, alza il capo dal bambino e facendomi cenno con l'indice mi invita ad avvicinarmi e così faccio, non appena le sono a breve distanza guardo la creatura che tiene, sono io.
<<Shhh Tom, non fare rumore, ti sei appena addormentato, e io sono nel buco nero...Shhh>> non capisco cosa voglia dire con buco nero ma, ella come a leggere i miei pensieri, prosegue:<<Tom, il buco nero della mente, ci sei dentro anche tu, è per questo che mi vedi>> sorride continuando a dondolarsi.
<<No, tu sei reale mamma, io posso toccarti posso parlarti. Tu sei qui!>> affermo in un soffio; sconfitto e stravolto, "possibile che sia frutto della mia mente?", accarezzandomi la mano mia madre fa cenno con il capo di no. Io mi accascio ai suoi piedi.
Inizia un pianto disperato, come mi trafigge e tortura, lei passa una mano tra i miei capelli e riprende la muta nenia, alzo il volto, zuppo per le lacrime, e si appresta ad asciugarle:<<Mamma, non voglio guarire se questo vuol dire non vederti più...>> lascio in sospeso la frase preso dai singulti.
<<Tom, tu sai cosa fare>> e come colto da una scarica vitale, mi dirigo all'esterno della stanza.
Fortuna vuole che, lì poco distante, vi è un carrello per le medicazioni con tutti gli strumenti disposti pronti all'uso, scorgo un bisturi imbustato e in un attimo è tra le mie mani.
Rientro dentro, lei è ancora lì intenta a dondolarmi, apro il bisturi e successivamente alzo le maniche della maglia, gli avambracci ancora costretti vengono presto liberati, rivelandomi i grumi di sangue rappreso.
Devo fare presto, e perdo la concezione del tempo e del mio corpo, mi impossessa la voglia di liberarmi dal dolore, il rosso mi ammalia, le catene sporche di fango e purpureo ferroso si riagganciano ai miei piedi e mi tirano giù verso l'abisso.
La possessione liberatoria è talmente intensa, che procedo nel taglio in maniera convulsa, riaprendo, squarciando, dilaniandomi, sento le forze allentare la presa, il vincolo ferreo stringere e mi conduce sempre più giù.
Mi accascio in terra, guardo per l'ultima volta la sua figura, ella è ancora intenta a dondolarsi ma il bambino, l'io si è detestato adesso è seduto sulle sue ginocchia, mi guarda, mi guardo.
Poi buio...
Bentrovati...
Dunque un ritorno al passato del resto non si è scoperto ancora tutto sulla vita di Lily...
Spero vi sia piaciuto...
Vi ringrazio come sempre, siete il motore, l'organo pulsante di questa storia.
Il prossimo appuntamento è per sabato. Vi auguro un buon proseguimento di serata
E ricordate...
STAY TUNED
SEPMGG
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