L'esorcismo di Katarina

Lo specchio ovale del bagno rifletteva impietoso il volto di Corrado. La pelle della guancia destra era completamente arrossata e scavata da profonde cicatrici, che percorrevano anche il collo, come un groviglio di serpenti corallo, fino a scomparire sotto lo scollo della felpa grigia. Senza successo cercò di nascondere lo scempio sotto i capelli, che portava ancora lunghi. Un inutile vezzo della vita passata.
Gli sfregi erano estesi fino quasi alla bocca e dopo un anno, che versava in quelle condizioni, non si era ancora abituato. Una singola lacrima scivolò dall'occhio destro, lasciando nel suo percorso una scia umida sulla carne devastata.

Venticinque anni di vita gli passarono veloci davanti agli occhi, facendogli seccare la bocca. Voleva urlare e non ci riusciva mentre le immagini di lui, felice e spensierato e a cui la vita non aveva negato neanche una bellezza fuori dal comune, passavano veloci nella mente.
L'incidente d'auto era arrivato a ricordargli quanto il vivere fosse fragile, foglia appesa a un albero in autunno. Un giorno era al settimo cielo perché amava, ricambiato, la donna più bella della terra, e quello dopo si era ritrovato steso su un letto d'ospedale a cercare di capire dallo sguardo sfuggente dei medici qual era il danno alla sua faccia coperta da bende; il tutto causato dalla leggerezza di una notte, in cui si era lasciato convincere dalla sua ragazza a farle guidare l'auto sportiva nuova, regalo della madre per la laurea. Dato che Beatrice era leggermente brilla, non avrebbe dovuto permetterlo, ma la realtà era che non riusciva a negarle niente.
Non aveva mai provato un sentimento simile per nessuna delle ex. E ne aveva avute molte. Aveva sempre pensato di non essere un uomo dai legami seri, finché non era arrivata lei, bellissima e solare, a completare una vita già perfetta.
Bea, per fortuna, era uscita incolume dal brutto incidente; aveva avuto la prontezza di saltare fuori dall'auto prima che prendesse fuoco.
Lui, invece, nell'impatto aveva sbattuto la testa ed era svenuto. I soccorsi erano stati celeri, ma non abbastanza da salvargli la parte destra della faccia.
Per aver riportato ustioni gravissime, aveva trascorso molto tempo in ospedale tra la veglia e il sonno, il dolore e l'oblio.

Quando finalmente si era svegliato lucido, aveva trovato al capezzale la madre, che lo guardava piangendo.
"Il peggio è passato" gli aveva sussurrato, accarezzandogli la mano.
Invece doveva ancora venire.
L'ondata di sollievo, quando a fatica e con voce gracchiante aveva chiesto di Bea e aveva saputo che era sana e salva, si era tramutata in delusione, dopo aver scoperto che non era andata a trovarlo in ospedale neanche una volta. Aveva chiesto subito un telefono per chiamarla, lei freddamente gli aveva augurato una pronta guarigione e si era scusata del fatto che non potesse passare a trovarlo perché troppo impegnata con gli esami universitari.
Aveva provato un senso di abbandono per la prima volta nella vita. Un boccone amaro da mandare giù. Si era però riproposto che appena fosse uscito dall'ospedale, avrebbe impiegato ogni energia per riconquistarla. Con questo pensiero aveva trovato una nuova determinazione per guarire, ma ahimè aveva avuto breve durata, nella pratica fino a quando gli avevano tolto le bende. Il mostro che lo specchio rifletteva aveva ucciso ogni residua speranza. Una volta uscito dal Reparto grandi ustioni, con la voglia di vivere ridotta al lumicino, era stato solo grazie alla madre e ai pochi amici rimasti, se non aveva deciso di farla finita.

Si allontanò dallo specchio e andò in camera a finire di vestirsi. Quel giorno aveva appuntamento con l'amico Alfredo. Uscire, andare in un locale pubblico soprattutto, lo metteva fortemente a disagio, ma si fece forza e, come un condannato al patibolo, si avviò verso il luogo dell'appuntamento.

Alfredo lo aspettava seduto al tavolino del bar più in voga della città. L'aria allegra che traspariva dal viso tondo e a tratti infantile dell'amico gli fece dimenticare per un attimo la sua condizione. Durò giusto il tempo di entrare fisicamente dentro il bar quando tutti gli sguardi dei presenti vennero calamitati su di lui. Il fascino dell'orrido, pensò amaramente. Prima dell'incidente li attirava perché era bello, ora perché il viso era ridotto a una maschera grottesca. La cosa peggiore era che i curiosi, appena lui li guardava di rimando, abbassavano lo sguardo, ma non abbastanza in fretta perché lui non potesse leggerci l'orrore misto alla vergogna per non essere riusciti a trattenersi dal guardarlo.

Corrado si sedette al tavolo scostando rumorosamente la sedia. Alfredo lo guardò inarcando un sopracciglio.
"Ti sei svegliato male?"
Lui sbuffò e quasi gli scappò un'imprecazione, ma poi il sorriso franco e aperto dell'amico, che aveva appena ordinato per entrambi due caffè, gli fece passare il malumore.
La graziosa cameriera dopo poco li portò al tavolo. In quello stesso momento notò che Alfredo, che era seduto rivolto verso l'elegante entrata del bar, era impallidito.
"Cosa c'è?" chiese, girandosi per vedere chi o che cosa fosse entrato, provocando quella reazione nell'amico. Non riuscì a trattenere un singulto, per quanto avesse cercato di farlo, appena riconobbe la ragazza. I lunghi capelli biondi e lisci erano lasciati sciolti sulle spalle, come piacevano tanto a lui, e gli occhi cerulei pieni di vita guardavano con desiderio il suo accompagnatore, un giovane aitante moro.
Dal modo in cui il corpo sinuoso di lei gli si stringeva addosso, dedusse amaramente che i due dovevano essere molto intimi. Digrignò i denti. Vederla dopo tanto e con un altro andava oltre ogni capacità di sopportazione. Sentì la mano di Alfredo posarsi sul braccio sinistro, che aveva iniziato a tremare, quasi a contenere una sorta di furia, che sembrava volere uscire dal corpo.

A quel punto anche lei si accorse della sua presenza. Sgranò gli occhioni chiari da bambola e poi disse qualcosa al suo accompagnatore, il quale lo guardò fugacemente con il solito mix di curiosità e raccapriccio, prima di trascinarla fuori dal bar. Corrado non smise di fissarla finché non sparì completamente dalla visuale.

La mano di Alfredo era ancora sul braccio, quando distolse lo sguardo da lei e si voltò finalmente verso di lui, guardandolo negli occhi castani, che lo scrutavano preoccupati.
"Non pensare più a quella stronza. Non capisco proprio perché non le hai voluto intentare una causa per avere almeno un risarcimento pecuniario, visto che lei era al volante e pure ubriaca."

Corrado si passò le mani tra la folta chioma bionda. Stranamente i capelli si erano salvati dalle fiamme, forse perché quel maledetto giorno li portava legati stretti in una coda di cavallo, e i soccorritori erano arrivati appena prima che il fuoco gli divorasse anche il cuoio capelluto e l'orecchio, anche quello si era salvato.
"Io le ho permesso di guidare" sibilò.
Alfredo scosse la testa. "Mi rifiuto di pensare che non debba pagare niente per quello che ti ha fatto e, soprattutto, per come si è comportata dopo l'incidente." Quasi urlò per la rabbia. Parecchie persone guardarono nella loro direzione.
"Non poteva certo continuare a stare con un mostro, lei che dà tanta importanza all'aspetto fisico, come facevo io d'altronde" rispose amaro.
"Questo è vero! Ti sei innamorato del suo bel culo, ammettiamolo. Ma poteva almeno starti vicina come amica, darti un po' di conforto in quei terribili mesi che hai trascorso in ospedale, diamine!"
"Non voglio la sua pietà!" sussurrò.

Alfredo, dopo aver sorseggiato il caffè ormai freddo, lo scrutò come se volesse leggergli dentro. Alla fine parlò. "Cosa vuoi allora?"
Corrado non ebbe bisogno di pensarci un attimo. "Che torni ad amarmi."
L'altro scosse la testa. "Lo vuoi capire che non ti ha mai amato?"
Non gli rispose.
"Sai cosa ti ci vorrebbe? Una fattura di Katarina" continuò Alfredo, ridendo sulle sue ultime parole.
"E chi è Katarina?" chiese interdetto.
"Nel paesello dei nonni materni, quello dove andavo sempre d'estate da piccolo, c'è una vecchia e si dice che sia una strega capace di fare ogni sorta di sortilegio" gli rispose, continuando a ridere.
"Dove la trovo?" chiese Corrado, mortalmente serio.
L'amico lo guardò in tralice. "È una ciarlatana! Suvvia, non crederai a queste cose?"
"Tu dimmi dove abita."
Con un senso di disagio crescente, Alfredo gli diede l'indirizzo.

***

La casa diroccata sembrava disabitata. Quel paesino sulla costa infatti si riempiva solo d'estate, avendo uno dei tratti di mare più belli che lui avesse mai visto.
Bussò a una sorta di batacchio arrugginito dalla forma orrida, una testa di demonio con quattro occhi e la lingua serpentina. La porta si aprì cigolando e ne sortì una vecchina. Vestita tutta di nero, con i capelli bianchi raccolti in un elaborato chignon e con gli occhietti acquosi, che lo fissavano con una strana malizia.

"Ragazzo mio, ti vedo alquanto male" gli disse sogghignando. Corrado rimase un po' interdetto. Non sapeva cosa rispondere.
"Eh sì! Per te non vedo proprio scampo. A meno che... Che c'è, ti meravigli perché non sono come ti aspettavi?" Rise forte, facendo sobbalzare la dentiera.
"Chissà se non sapresti darti il coraggio che ti manca. Ma per questo forse sei troppo ragazzone e stai ancora sotto le gonne di tua madre" aggiunse, guardandolo con la testa piegata come un rapace quando punta la preda.
Corrado si riscosse. "Ma se non sai neanche perché sono venuto da te?" cercò di ribattere.
Lei continuò a sogghignare. "Per quello per cui vengono tutti da Katarina, vuoi l'amore."
"E allora dimmi cosa devo fare!"
"No, non adesso. Torna tra tre giorni, vieni digiuno verso mezzanotte. E accendi un cero per Katarina nella chiesa al centro del paese" gli gridò, mentre gli sbatteva la porta in faccia.

Corrado la mandò mentalmente al diavolo e andò via come una furia, non aveva nessuna intenzione di dare retta a quella pazza.
Dopo tre giorni però ritornò e fece come gli aveva detto. Si presentò da lei, che questa volta lo fece entrare.
La casa all'interno non aveva un aspetto migliore di quello che appariva da fuori, era inoltre piuttosto spoglia. Vuota al centro, era arredata solo negli angoli. Un tavolo a ovest, su cui campeggiavano vecchi e malconci arnesi. Un treppiede faceva bella mostra di sé dentro un camino spento e pieno di cenere, situato nell'angolo a nord. Una specie di altare a est con sopra una candela, l'unica luce della stanza. E a sud un divano malconcio, su cui lei prontamente lo fece sedere.
"Come va, sei pronto?" disse, guardando una siringa che teneva in mano in controluce. Corrado sentì l'urgenza di andare via, ma il corpo non voleva dargli ascolto e, come un automa, gli porse il braccio. Ebbe l'impressione di aver infilato il collo in un cappio.
"Stammi bene a sentire: puoi ascoltarmi ma non guardarmi mentre ti parlo, finché io stessa non ti chiederò di farlo. Adesso rilassati, inizia qui il nostro viaggio nella sorte. Quando ti sveglierai non ricorderai più niente, solo il giorno convenuto saprai cosa fare."

***

Era la quinta notte avanti il plenilunio e Corrado scese dall'auto portando con sé un pesante sacco di iuta, dentro c'era Bea drogata e imbavagliata.
L'aveva rapita qualche ora prima. Si era appostato sul terrazzo di una vecchia casa disabitata accanto a quella di lei. Da quel posto aveva una visuale perfetta della camera da letto. Era stata una tortura assistere all'amplesso di quella che un tempo era stata la sua donna con un altro. Mentre la guardava fare gli stessi gesti, dire le stesse parole, emettere gli stessi gemiti, che faceva con lui, pianse di rabbia. Stringendo i pugni si impose di non irrompere nella stanza e aspettare fino a quando l'altro se ne fosse andato. Dopo un'oretta il ragazzo infatti lasciò la casa. Mentre lei faceva la doccia, Corrado si era intrufolato nella camera scavalcando semplicemente la ringhiera ed entrando dalla finestra del balcone, che lei aveva lasciato aperta per il caldo. L'aveva colta di spalle e narcotizzata, poi l'aveva chiusa in un sacco e caricata nel portabagagli della station wagon che aveva noleggiato. In tre ore era arrivato nel paese di Katarina, pronto a mettere in atto le disposizioni della vecchia.

Vide ormeggiata al molo la barca, che aveva affittato. Qualche giorno prima aveva assoldato un uomo del posto perché fosse pronta a prendere il largo al suo arrivo. L'energumeno dai capelli rossi e dall'aspetto trasandato gli venne incontro, senza parlare, Corrado gli diede i soldi convenuti e dopo una secca stretta di mano lo salutò. Non aveva minimamente notato il sacco.

Navigò per due notti e un giorno verso nord-ovest. Il secondo giorno tirò la ragazza fuori dalla cambusa dove l'aveva rinchiusa. Lo sguardo perso e terrorizzato di Beatrice, nonostante fosse ancora mezza drogata, gli fece per un attimo mettere in dubbio i suoi propositi. Ma c'era una voce pressante nella testa che lo spingeva avanti, ricacciando ogni rimorso indietro. La spogliò e legò nuda all'albero, le braccia dietro, stretta con cima di canapa ritorta. Le sciolse i capelli e li spartì in due grosse trecce con le quali le serrò la nuca bionda all'albero. La lasciò così. Lei guardava con occhi allarmati ogni suo passo, ma il terrore le impediva di proferire parola, aveva anche smesso di implorarlo da un po' forse perché aveva capito che era inutile.

La terza notte, al levar della luna, le cinse il collo con un serto di cardi gialli, intorno ai fianchi e al pube le intrecciò un fiorito perizoma con tralci di rose selvatiche. Bea ricominciò a urlare e a dimenarsi. Lui la ignorò, concentrato su ciò che sarebbe venuto dopo.

Il terzo giorno le si spaccarono le labbra e la lingua si gonfiò per la sete. Corrado squarciò allora, con un cavatappi, il fegato di un animale, che aveva portato con sé in un contenitore freezer. Imbevve una spugna del fiele che ne uscì e con questo la abbeverò. Lei tentò di impedirglielo, serrando le labbra, ma ormai era allo stremo delle forze e ogni tentativo di opporsi si rivelò inutile.

Il quarto giorno le legò sugli occhi un embrione di pollo, che aveva avuto cura di bagnare con acqua salata, mantenendolo fresco fino a quando i gabbiani giunsero a beccarlo, lacerando con i loro forti becchi le palpebre. Ignorò lo straziante fievole sibilo che proveniva da lei. Quando gli uccelli ebbero finito di pasteggiare, non si curò di guardare lo stato in cui erano ridotti i suoi occhi; si accertò soltanto che fosse ancora viva. Con sollievo notò che c'era polso.

Venerdì diciassette dopo mezzanotte le asperse tutto il corpo con acqua piovana in cui aveva infuso petali di rosa, e le deterse, alla luce argentea, il volto, che vide trasfigurato.
Le tolse il serto di cardi e il perizoma di tralci di rose. Al loro posto, un filo di corallo delicato le allacciò al collo da cigno e un braccialetto di rame e uno d'ambra a ciascuno dei polsi. Strinse le caviglie insieme con una collana a doppio giro, di perle rosate. Le sciolse i capelli sulle spalle, tenne stretta la testa tra le mani e le diede il suo respiro, bocca a bocca.
Poi si spogliò e aspettò che sorgesse l'aurora. Katarina si era raccomandata di non guardarla, se non di sfuggita; ma di stare attento invece a non perdere d'occhio il mare che cangia nell'azzurro. Doveva attendere il momento in cui, con l'alba, per un istante i suoi occhi, il cielo e il mare fossero stati dell'identico colore.
Quando giunse il momento le conficcò nel petto un paletto aguzzo di ulivo, con in punta un chiodo scannellato; picchiò forte con una mazzetta massiccia di legno di rovere finché non sentì di avere inchiodato all'albero il suo cuore sgusciante come un polpo e coriaceo com'è il cuoio ben conciato. Il sangue di lei gli macchiò tutto il petto. Soltanto allora la guardò negli occhi. Si specchiò in quelle pozze spalancate in cui aveva smarrito un giorno la vita e la sanità mentale. Si tuffò ancora in quella conca azzurra mentre teneva inchiodata la sua piovra, e le spaccò il cuore chiudendo gli occhi.
Poi si fece coraggio e li aprì, ma non ne vide subito il volto. La sua gola rovesciata palpitava come quella di una tortora. Rialzò infine il capo, e la vide sollevare le palpebre rugose su due pozze oblunghe d'azzurro pervinca.
Corrado si sentì attanagliare le viscere dalla stessa attrazione del vuoto di quando, bambino, aveva visto un ragazzino tuffarsi a strapiombo dalla rocca di Scilla in uno specchio d'acqua viola, retratto tra gli scogli. Cercando di fermare il capogiro scorse la lingua rosea di civetta fare capolino in mezzo alla dentiera ballonzolante; e capì, finalmente... Si era compiuto il sortilegio.
Guardò di nuovo come quando si scopre la faccia a una salma, sbirciando da sotto, e riconobbe il volto non più increspato dagli anni di una vecchia di ottant'anni, bensì quello di una giovane ragazza, che lo guardava con occhi maliziosi e maligni allo stesso tempo.
Corrado si allontanò barcollando, ma la risata beffarda di Katarina lo raggiunse.
"Non volevi una ragazza che ti amasse?"

"Mi... mi hai ingannato..." singhiozzò lui.
"Ma cosa dici, amore mio, non lo sai che solo un mostro può amarne un altro?"


Os scritta per il Contest "Punti Cardinali" del ILTUOCAFFELETTERARIO

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