~ Capitolo tre ~
Un venticello leggero scorrazzava libero nell'aria gelida, divertendosi a giocherellare con i capelli corvini di Erik, che ancora non aveva distolto lo sguardo dal portone che separava l'interno del castello, caldo e confortevole, dall'esterno, freddo e pervaso da un'atmosfera pesante, ricca di incertezza, di stupore, di timore. Nel frattempo, aveva ricominciato a nevicare con forza. La nebbia anneriva i contorni dell'edificio, rendendoli incerti e sfuocati. Il principe li ripercorse rapidamente, come rapito da quel paesaggio famigliare e mistico allo stesso tempo.
Intanto, Clio sembrava particolarmente concentrata sul fratello, che appariva immobile come una statua di sale. I suoi occhi color ghiaccio erano tornati gli stessi, eppure quell'aura gelida che emanavano fino a pochi istanti prima non si era del tutto dissolta.
Il giovane si concentrò poi sulle sue mani robuste e rosate, su cui si adagiarono leggiadri fiocchi di neve.
"Che cosa è appena successo? Perché Adrian ha reagito così? Io non gli ho fatto niente" si chiese, deluso. In fondo, lui voleva solo divertirsi un po'. Non si aspettava che l'altro ragazzo sarebbe corso via in quel modo. Era abituato ai suoi scherzi e di solito ci faceva anche una risata su.
Ricordava ancora un giorno in particolare.
Era il giorno del suo compleanno: avrebbe compiuto dieci anni. Adrian ne aveva già compiuti quindici qualche mese prima, mentre Clio ne aveva appena quattro.
Il re e la regina avevano organizzato un sontuoso banchetto, dove erano state servite tutte le portate più prelibate ed elaborate del regno. Le tovaglie erano rosse e ricamate con gigli dorati e fiocchi di neve d'argento. Centinaia di piatti in ceramica decorata erano disposti in lunghe file ordinate, come soldati pronti per un combattimento. Le sedie erano in legno pregiato e gli schienali, rivestiti di velluto, erano ornati di perle. A capotavola, da una parte era sistemato un grande trono dorato, su cui sedeva il sovrano, mentre sull'altro lato se ne trovava uno più piccolo, ma non meno prezioso, per il festeggiato.
In quel giorno importante si sarebbe poi compiuto un rito particolare: quando un giovane principe compiva dieci anni, una volta finito il banchetto, doveva dirigersi all'Oracolo per consultarlo.
L'Oracolo era una roccia su cui sembrava essere stato scolpito il volto severo di un uomo anziano, carico di rughe e di esperienza: conosceva il passato, il presente e il futuro di tutta l'umanità. Usando parole oscure e misteriose, gli avrebbe rivelato un dettaglio del suo avvenire. I suoi grandi occhi di pietra avrebbero poi assunto un colore diverso da quel triste grigio: se fossero diventati bianchi, il futuro del giovane sarebbe stato ricco di gioia e pace, se fossero diventati neri, esso sarebbe stato tempestoso, carico di dolore, di paura, di morte.
Alla cerimonia erano stati invitati tutti i nobili più importanti del territorio. Tutti recavano addosso le loro vesti ricercate, i loro lunghi mantelli scarlatti, i loro copricapi raffinati.
Erik aveva paura. Si sentiva come un minuscolo, innocuo pesce in mezzo a un banco di squali pronti a divorarlo. Se il rito dell'Oracolo fosse andato male, tutti l'avrebbero visto. Non si sentiva pronto ad affrontare quegli sguardi affamati. Non voleva conoscere il suo futuro. Lui, un bambino così allegro e coraggioso, non aveva la forza di vedere ciò che sarebbe diventato una volta cresciuto, ciò che il destino aveva programmato per lui. Ma non voleva neanche deludere il padre, colui che l'aveva sempre sostenuto, che gli aveva permesso di diventare ciò che era.
Il suo cuore era come oppresso da una grande pietra, che lo appesantiva nel profondo e gli impediva di respirare bene e di ragionare. Non c'è niente di peggio di conoscere il proprio futuro: una volta scopertolo, non si può più cambiare. È già tutto scritto. Nascere, crescere, morire... Fa tutto parte del disegno della vita, un disegno realizzato con colori indelebili. E se l'Oracolo gli avesse rivelato come sarebbe morto? Se avesse dovuto affrontare da giovane quella soglia? No, non lo voleva. Aveva tutta una vita davanti... "Che senso ha morire giovani?" si chiedeva.
Peraltro, tutte quelle attenzioni non gli giovavano affatto. Tra strette di mano e saluti amichevoli, Erik si sentiva così imbarazzato che avrebbe preferito correre nella sua camera e nascondersi sotto al letto, dove nessuno sarebbe andato a cercarlo. Lì avrebbe trovato un po' di sicurezza e protezione.
Il bambino provò a muovere qualche passo in avanti, ma decine di corpi tutti agghindati lo bloccavano su tutti i lati, come se si fosse trovato in un labirinto. Adrian, facendosi largo tra la folla, si avvicinò a lui a fatica.
«Vieni con me. Devo dirti una cosa» gli disse prendendolo per una mano. Erik annuì e si lasciò trascinare dal fratello maggiore.
All'improvviso, una donna tarchiata con capelli castani raccolti in una complessa acconciatura si parò davanti a loro, imponente come un orso. Erik fece un balzo indietro per la sorpresa.
«Oh, ecco qui il nostro festeggiato! Sei emozionato per la Cerimonia dell'Oracolo?» esclamò con voce profonda. Il bambino borbottò qualcosa, imbarazzato, ma le parole faticavano a uscirgli dalla bocca. La mole di quella donna lo spaventava e le gambe gli tremavano come foglie.
A quel punto intervenne Adrian: «Ci scusi, Miss Rosard. Noi dovremmo passare. Sa, stare in mezzo a tutta questa gente fa sentire mio fratello piuttosto a disagio. Vorrebbe proprio prendere una boccata d'aria». Erik guardò il fratello e gli rivolse un cenno di gratitudine.
«Oh, capisco. Vi lascio andare, cari» esclamò la donna con voce dolce, cominciando ad allontanarsi.
Mentre già i due ragazzi si stavano dirigendo fuori, Miss Rosard aggiunse, rivolta a Erik: «Sta tranquillo, piccolo. Gli occhi dell'Oracolo non si colorano quasi mai di nero...»
Il giovane tremò a sentire quelle parole, e la mano di Adrian strinse più forte la sua, rassicurandolo.
Continuarono a camminare per qualche secondo, per poi arrivare all'entrata del castello. La attraversarono e si ritrovarono all'esterno, avvolti da una nebbia umida e sottilissima. Un freddo pungente penetrò nelle loro ossa, facendoli tremare leggermente.
Adrian portò il fratellino attraverso il prato, finché non furono al cospetto di una vecchia e robusta quercia, i cui rami nodosi e profumati sporgevano al di fuori delle mura che attorniavano e proteggevano il castello. Ormai era da tutti conosciuta come la Guardiana del Villaggio, essendo lì piantata da moltissimi anni. Una folta chioma la rivestiva in ogni periodo dell'anno e le foglie, incuranti del gelo e dello scorrere del tempo, brillavano di un verde smagliante e non cadevano mai.
I due fratelli si sedettero sopra una delle radici dure e legnose dell'albero, facendosi avvolgere dal profumo del legname e della linfa. Adrian puntò i suoi occhi neri in quelli color ghiaccio del più piccolo. Erik percepì un brivido attraversargli il corpo, e desiderò divincolarsi da quel contatto visivo.
Il maggiore aprì poi la bocca e cominciò a parlare con un filo di voce: «A te piace il freddo, vero, Erik?»
Erik ci pensò su qualche secondo, rendendosi conto che effettivamente apprezzava le gelide carezze del vento e la piacevole frescura della neve. «In effetti sì - rispose, confuso - ma penso che mi piacerebbe anche il caldo allo stesso modo. Qua fa sempre freddo. Perchè me lo chiedi?»
Adrian sorrise e scosse la testa, per poi dire: «Immagina di essere un fiocco di neve. Fresco, leggero, che ti gela con un semplice tocco. Come ti sentiresti?»
Il bambino rimase immobile a guardare il fratello, cercando una risposta adeguata da rivolgergli, ma la sua mente pareva avvolta da quella stessa nebbia che circondava il suo corpo. «Non lo so» sussurrò spalancando gli occhi pallidi.
«Semplice: invincibile. Un fiocco di neve non ha paura di nulla: si libra nel cielo come una farfalla e si posa su qualunque cosa, che sia un tetto, un prato, un campo. Lui, semplicemente, vive la sua vita».
«Ma i fiocchi di neve si sciolgono quando spunta il sole» mormorò Erik, sempre più confuso. Anche lì sulle Montagne di Ghiaccio la neve si scioglieva, trasportata da quei radi raggi di sole che sbucavano una volta ogni tanto, senza però riuscire a portare il caldo tra quella coltre di fredda foschia.
«Tranquillo, tu non ti scioglierai al sole. Tu sei fatto di un materiale ben più solido e duraturo della neve. Cerca nel tuo cuore tutto il coraggio necessario e sii intrepido come un fiocco di neve, ma robusto come il sole» continuò Adrian con un'espressione dolce.
«Quindi tu credi che io possa farcela? Credi che andrà tutto bene?» chiese Erik, mentre un piccolo sorriso cominciava a delinearsi sul suo volto infantile.
«Certo. Ne sono convinto».
«Ne eri davvero così convinto, Adrian?» mormorò Erik, interrompendo il flusso dei suoi ricordi. Non poteva fare a meno di ricordare il modo in cui suo fratello l'aveva rassicurato prima della Cerimonia dell'Oracolo che, peraltro, aveva avuto un esito del tutto inaspettato. Erano passati ormai cinque anni, e lui non aveva ancora compreso pienamente il significato delle parole del fratello.
Contemplò con maggiore attenzione i fiocchi di neve che continuavano a posarglisi sulla mano, senza però sciogliersi a contatto con la sua pelle calda. Chiuse gli occhi e immaginò di essere uno di loro: bianco, gelido, splendente. Poteva volare, osservare tutto il mondo sotto di sè, senza paura, senza vertigini, finché non toccava il suolo. Inspirò in profondità, godendosi il profumo rinfrescante dell'aria umida.
Quando riaprì le palpebre, ebbe uno scatto di sorpresa: i piccoli granelli bianchi sulla sua mano stavano cominciando a unirsi tra loro, solidificandosi e dando vita a un fiocco di ghiaccio enorme, grande come il suo palmo.
«Cosa?» mormorò con gli occhi spalancati e facendo un balzo all'indietro. L'oggetto cadde a terra con un tonfo e lasciò un'impronta nel terreno imbiancato, ma non si ruppe. Erik lo fissò per qualche istante, immobile, senza pronunciare una parola.
«Ehm, Erik? Che ti prende?».
La melodiosa voce di Clio riscosse all'improvviso Erik dai suoi pensieri. Il ragazzo distolse subito lo sguardo dal fiocco di ghiaccio, rivolgendolo alla sorella. Catturò la sua espressione stupita e un po' impaurita. Non comprese all'istante il motivo dell'inquietudine stampata sul volto della bambina, e si limitò a scrollare le spalle, cercando di ignorare quanto appena accaduto.
«Niente. Va tutto bene» mentì distrattamente, rivolgendosi poi di nuovo al portone chiuso che segnava l'ingresso del castello. Il fiocco di ghiaccio continuava a giacere ai suoi piedi, e sembrava ingrandirsi sempre di più.
Clio però continuava a fissarlo con i suoi dolci occhioni verdi, piuttosto timorosa. Il giovane si decise quindi a parlarle.
«Perchè mi guardi così? Mi è per caso spuntato un paio di corna?» scherzò Erik toccandosi la testa con un sorriso simile a una smorfia. Ma Clio non rise. Rimase immobile e seria come una vecchia quercia.
«Dai, sorellina. Capisco che Adrian si sia comportato in modo strano, ma perché ciò dovrebbe provocare in te una reazione del genere?» esclamò Erik dandole una pacca sulla spalla per tirarla su di morale.
A quel punto Clio sembrò sciogliersi. Dai suoi occhi smeraldini cominciarono a fuoriuscire gelide lacrime di cristallo. Il timore cieco sul suo volto esplose in una paura violenta, incontrollata, incomprensibile a Erik, che la osservava senza dire una parola, troppo stupito e preoccupato dalla sua reazione per poter muovere un singolo muscolo.
«Cosa ti succede, Clio?» chiese, sconvolto.
«Non... non si tratta di Adrian» mormorò la principessa singhiozzando. «Ma di te».
«Di me?» chiese Erik stupito, indicandosi con l'indice. Clio annuì, tremando violentemente. Le sue scosse di pianto si fecero più violente, le lacrime più fitte, e ormai un fiume impetuoso le scorreva sul volto chiaro.
«Clio, tu non stai bene. Vieni, torniamo a casa» sussurrò Erik allungando una mano alla sorella, che però rifiutò e si allontanò di qualche passo.
«Insomma, che ti prende?» borbottò Erik, sempre più preoccupato.
«Ho... ho visto tutto. La nebbia che stamattina si era diradata per poi tornare come prima, il tuo scoppio d'ira quando Adrian non reagiva al tuo scherzo... - mormorò Clio non smettendo di tremare – P-pensavo che fossero solo casualità m-ma quando ho visto quel fiocco di ghiaccio crearsi nella tua mano, ho capito che non era così».
«Oh, Clio...» disse Erik facendo per abbracciarla, ma lei lo evitò.
«Non ti avvicinare!» gridò terrorizzata, per poi cominciare a piangere ancora più forte.
Il ragazzo dai capelli corvini non la riconosceva più: di solito sua sorella era così dolce e gentile. Perché ora si comportava così? Cosa le aveva fatto? Un'espressione di puro panico si dipinse sul suo volto: stava accadendo qualcosa. Ne era certo.
«Per favore, sorellina. Non fare così. Non ti farò del male. Fidati di me» sussurrò dolcemente Erik, provando a essere convincente. Se c'era qualcuno che non stava capendo niente di ciò che stava succedendo, quello era lui. Di certo non avrebbe mai torto un capello a sua sorella. Come avrebbe potuto pensare di fare una cosa del genere?
«Come posso fidarmi?» chiese la bambina.
«Perchè sono tuo fratello, Clio! Ti giuro che non so niente di tutta questa storia! Del cambiamento del tempo, della nebbia che non mi bagnava la pelle, del fiocco di ghiaccio... Nulla!» urlò il giovane mentre gli occhi cominciavano a bruciargli. Aveva bisogno di spiegazioni. Di certo si sarebbe rivolto a suo padre, quel giorno stesso.
Clio smise di tremare a sentire quelle parole. Il suo respiro si quietò e le lacrime smisero di rigarle il volto. «D-davvero?» balbettò.
«Sì, sorellina. Non ti farò mai del male» ribadì Erik con un'espressione dolce.
La più piccola, rasserenata, corse dal fratello e si lasciò abbracciare. «Sta tranquilla. Troverò una risposta a tutto questo. Intanto, godiamoci la nostra mattinata. Sai, tra qualche minuto iniziano le lezioni» mormorò il maggiore stringendola forte.
«Oh, la scuola! Hai ragione! Miss Serith mi starà sicuramente aspettando» esclamò la principessa.
Sciolto l'abbraccio, Clio salutò il ragazzo più grande e corse dentro il palazzo. Erik la guardò allontanarsi, mentre la neve lo circondava, imbiancandogli i capelli neri. Fece poi per voltarsi e incamminarsi verso il luogo dove solitamente lui e i suoi compagni si incontravano.
«Erik...». Un sussurro fece vibrare i timpani del ragazzo, che si fermò di scatto.
«Cos'è stato? C'è qualcuno?» chiese guardandosi intorno, per scorgere da chi provenisse quel verso soffocato, quasi un gemito.
«Erik...» ripeté la voce.
Il giovane, confuso, continuò a scuotere ripetutamente la testa e a strofinarsi gli occhi per vedere meglio. Ma nulla. Quel rumore si fece più sonoro, più potente. Era qualcosa che proveniva da dietro le sue spalle. Si voltò e il suo sguardo deviò nella direzione del fiocco di ghiaccio che, ancora a terra, sembrava fissarlo con i suoi indistinguibili occhi di cristallo. Si avvicinò con cautela e prestando attenzione a ogni singolo movimento. Si chinò, tese l'orecchio e ascoltò: era da lì che proveniva la voce. Allungò verso di esso una mano tremante, mentre la curiosità già gli dipingeva il volto. Sfiorò la sua superficie liscia con la punta di un dito, e quel contatto ebbe su di lui un effetto strano: era come se non avesse più un corpo. Le braccia gli si fecero molli e le gambe fragili. Dal fiocco si scaturirono scintille azzurre, che cominciarono a fluttuare attorno a lui, circondandolo.
Ognuna di quelle piccole fiamme pareva sussurrare il suo nome. Riusciva a percepire le loro voci tutte uguali tra loro, fredde, sottili, più simili a sibili, come quelli di un serpente. Si alternavano, si mescolavano, creando un'eco scrosciante, continua. Erik era sempre più confuso e preoccupato. Non sapeva cosa fare, né come muoversi. Era come se il suo corpo fosse stato paralizzato. Il battito del suo cuore si fece più violento e il respiro più affannoso. Tutti quei mormorii intorno a lui gli stavano facendo venire un forte mal di testa.
Non riusciva più a distogliere l'attenzione da quelle luci intermittenti: qualcosa glielo impediva. Era come se i suoi occhi e quelle scintille fossero stati tra loro legati tramite un filo invisibile, sottile ma molto solido, che non poteva essere tagliato neanche dalla più affilata delle lame. Ascoltava rapito quel canto glaciale, fatto della ripetizione della stessa parola: "Erik". La testa gli pulsava e gli occhi gli bruciavano. Provò a gridare, ma dalla bocca non gli uscì alcun suono.
Un buio penetrante lo avvolse, e si sentì trascinare in una dimensione nuova, sconosciuta, dove l'unico suono udibile era quel mormorio arcano, unito al suo calmo respiro. Le fiammelle l'avevano seguito anche lì, e continuavano a chiamarlo. Fu quasi tentato di rispondere a quel richiamo, in modo da porre fine a quell'esperienza. Improvvisamente, una vibrazione scosse le voci misteriose. Sembrarono sincronizzarsi, e in breve ritrovarono l'armonia.
«Erik Gondar, sei pronto ad accettare il tuo Fato?» mormorarono tutte insieme.
«Cosa?» chiese il ragazzo, colto impreparato. Gocce di sudore gli imperlavano la fronte e il respiro gli si mozzò. La domanda che arrivò dopo lo lasciò del tutto sgomento.
«Sei pronto a scoprire chi sei?»
Ecco un nuovo capitolo. Che ne pensate? Quale sarà il significato del fiocco di ghiaccio? Cosa avrà voluto dire la voce alla fine? Lo scoprirete nei prossimi capitoli!
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