~ Capitolo quattro ~

«Sei pronto a scoprire chi sei?»

Quella domanda rimbombò più volte nella testa di Erik che, ormai nel panico, era rimasto completamente immobile, con gli occhi di ghiaccio sgranati. Le scintille blu gli danzavano intorno vorticosamente, in attesa di una risposta, continuando a borbottare e a sussurrare.

«P-perchè? Chi... chi sono?» chiese tremando incontrollato, non sapendo cosa quelle voci avrebbero potuto rispondergli.

«Oh, questo non sta a noi rivelartelo. Rimarresti troppo sconvolto. Possiamo però garantirti che non tarderai a scoprirlo da solo. Per adesso, vieni qui. Tocca una di noi. Forza, non avere paura» mormorarono in coro le fiammelle, avvicinandosi a lui.

Il ragazzo parve pensarci su: poteva fidarsi di una voce della quale non conosceva la fonte? Poteva arrischiarsi a compiere un gesto del quale non sapeva le conseguenze? Tutto ciò che stava vedendo stava accadendo davvero? Ma poi, cosa è vero e cosa illusione? Cosa è sogno e cosa realtà?

Intorno a lui c'era il vuoto: era come sommerso in un mare fatto d'aria, come se stesse fluttuando attraverso un cielo notturno puntinato di baluginanti stelle azzurre, che continuavano a insistere, a chiedergli di avvicinarsi, di avere coraggio. Tutte quelle voci cominciarono a rassicurarlo, e dentro al suo cuore si accese un fuoco scoppiettante, che divampò rapido nel suo spirito come un incendio: aveva preso la sua decisione.

"Lo farò" pensò tra sè.

Allungò la mano verso una di quelle scintille, che divenne ancora più luminosa e cominciò a chiamarlo più forte. La sfiorò con la punta di un dito: era gelida, ma non gli dava fastidio. Appoggiò interamente il palmo. All'improvviso, tutte le fiammelle si unirono a quella che aveva toccato: se all'inizio la figura di cui avevano assunto le sembianze aveva contorni indefiniti, piano piano questi si delinearono sempre più, finché non diedero origine a una forma precisa. Erik sussultò, di fronte a ciò che si trovava di fronte a lui: un ragazzo dalla pelle diafana e dagli occhi freddi, del tutto uguale a lui. Lo fissava con superiorità, la crudeltà impressa nelle iridi color ghiaccio. Chi poteva essere? Un fuoco fatuo? Uno spettro?

«So cosa ti stai chiedendo, Erik Gondar» cominciò a dire la figura trasparente, tremolando al vento come le scintille da cui era costituita. «Ma no, io non sono un fantasma. Io sono la tua anima».

«L-la mia... anima?» balbettò il giovane, cercando inutilmente di indietreggiare.

«Esatto. In particolare, sono quella parte della tua anima che delinea ciò che sei stato, che sei e, soprattutto, che sarai. Contento di fare la mia conoscenza?» chiese lo spirito, sorridendo. Erik non sapeva come rispondere, se non per mezzo di mugolii impercettibili. «Come immaginavo... Il tuo cuore è troppo debole per accettare queste rivelazioni» concluse, scuotendo la testa.

Il ragazzo si indignò all'udire quelle parole: «Ti sbagli! Io non sono affatto debole!»

L'ombra sghignazzò: «Ah, sì? Beh, se ne sei così convinto, allora trova il coraggio di accettare l'evidenza, anche quando sembra assurda».

«D'accordo, lo farò» borbottò Erik abbassando la fronte.

Il ghigno sul volto dell'anima si allargò: «Ora inizi a ragionare! E ciò è un bene, visto che da questo momento in avanti dovremo convivere».

«C-convivere? In che senso? Se tu sei la mia anima, non ti saresti già dovuta trovare dentro di me?» domandò il giovane, picchiettandosi il petto con l'indice.

«Oh, come sei ottuso! Proprio non ci arrivi? Io sono sempre vissuta dentro di te, ma ero intrappolata. Tu, oggi, mi hai liberata. Quindi, stringimi la mano, e ti svelerò la tua vera identità».

Lo spirito allungò la mano diafana verso il ragazzo, che la fissò per qualche istante, immobile e incerto su come comportarsi: doveva seguire la ragione, che gli consigliava di allontanarsi da un eventuale pericolo, o l'istinto, che gli suggeriva invece di fidarsi della sua anima e di assecondarla?

"Beh, se sono arrivato fin qui, non ha senso fermarmi e ritrattare ciò che ho fatto finora. Andrò avanti, come si addice a un ragazzo coraggioso, che non si tira indietro di fronte ai pericoli" pensò e, senza più esitare, strinse la sua mano attorno a quella dell'ombra.

«Ottima scelta, Erik Gondar» esclamò la figura, sorridendo malignamente, prima di assumere le sembianze di un fuoco di ghiaccio, che avvolse il giovane.

Una fitta calda e fredda allo stesso tempo gli attraversò il corpo, facendolo gemere. Un forte dolore gli invase le membra. Vide le sue mani illuminarsi di un'aura bianca, e i suoi occhi cominciarono a bruciare in maniera insopportabile. Poi una forza improvvisa lo invase, e si sentì più potente, invincibile. Percepiva una nuova sensazione inondargli le vene, ma non sapeva darle un nome, né una spiegazione. Si sentiva... bene. Era come se qualcosa si fosse risvegliato dentro di lui, qualcosa che era rimasto assopito per quindici lunghi anni.

All'improvviso, tutto sembrò spezzarsi. Il contatto si ruppe ed Erik fu sbalzato indietro. Il fuoco intorno a lui tornò a frammentarsi nelle precedenti fiammelle fatue, che, pian piano, svanirono, continuando però a sussurrare.

«No! Aspettate!» provò a gridare, ma tutto ciò che gli uscì dalla bocca fu uno sbuffo di fumo candido.

«La rinascita è compiuta: hai accettato la tua sorte. Scopri chi sei, Erik Gondar. Cerca dentro di te» furono le ultime cose che sentì prima che il nero si dissolvesse.

Quando tornò a vedere, si ritrovò seduto a terra, in mezzo alla neve. Aveva smesso di nevicare, e ora una pioggia sottile cadeva dal cielo. Non percepiva freddo né umidità. Si rialzò in piedi e si scosse di dosso i granelli bianchi che si erano depositati sui suoi vestiti.

«Che esperienza strana!» esclamò con un sorriso, contento di aver potuto vivere quella piccola avventura. Ora che era finita, avrebbe voluto che fosse durata di più. Alzò le mani e se le guardò: erano tornate come prima. Non erano più circondate da quella misteriosa aura bianca.

«Forse mi sono davvero sognato tutto. Eppure era così reale...» borbottò incamminandosi verso il punto di ritrovo scelto da lui e i suoi amici, simboleggiato da una grande statua di roccia che raffigurava una tigre delle nevi in posizione di agguato, come se intendesse difendere gli abitanti del villaggio dagli eventuali invasori. Tale scultura era forse perfino più vecchia della Guardiana del Villaggio, ma, come l'anziana quercia, conservava ancora la sua bellezza originale. Proprio in onore di questa il gruppo del ragazzo aveva scelto il suo nome: "Le Tigri delle Nevi".

Di tale gruppo facevano parte Erik e i suoi quattro amici, che frequentavano con lui la scuola.

Tra questi vi erano i suoi cugini Joshua, un ragazzo il cui volto pallido era circondato da una criniera di soffici ricci castani, piuttosto piccolo e mingherlino, con due occhi di un marrone scuro, e Marc, fanciullo alto e biondo con le iridi blu mare.

C'era poi Steve, un giovane dai corti capelli marroni e dai vivaci occhi color nocciola, figlio di un lontano cugino stabilitosi nel castello in quanto privo di quel patrimonio che aveva interamente sperperato dopo la morte della moglie.

Vi era infine Louise, l'unica ragazza del gruppo, figlia di un importante dignitario di corte. Quest'ultima aveva i capelli rossicci e nel suo volto, puntinato di lentiggini, stavano incastonati due smeraldi di un verde brillante.

Ognuno di loro si era scelto un nome di battaglia: Joshua era "il furetto", in onore della sua agilità e della sua rapidità nei movimenti, Marc era "la lince", per via della sua vista acuta, Steve era "il giaguaro", essendo il più forte e il più scaltro, Louise era "la volpe", in quanto astuta e silenziosa, e infine Erik era "la tigre", nome che spettava al capo del gruppo. Insieme si divertivano a combinare guai e compiere peripezie. Ormai l'intero villaggio sapeva di loro e li temeva: erano tutti a conoscenza della loro grande abilità nell'inventare scherzi sempre più irriverenti.

Per la scuola utilizzavano una stanza apposita all'interno di un lussuoso edificio non lontano dal castello. Tale costruzione era di proprietà del re: la parte più bassa era adibita a magazzino, mentre la classe era situata nel piano più alto. Era arredata con cinque piccoli banchi di legno, uno per ogni studente, e uno più grande, dietro al quale stava seduto l'insegnante. La luce penetrava attraverso aperture nelle pareti che affacciavano direttamente sul villaggio. I muri erano dipinti di un giallo pallido attraversato in alcuni punti da strisce rosse, sulle quali spiccavano raffigurazioni stilizzate di gigli bianchi.

Il loro insegnante, il professor Golmer, era un uomo di mezza età con capelli radi e argentati, occhi grigi e spenti attorniati da occhiali dalla montatura sottile e un paio di folti baffi ingrigiti. Apparteneva a una famiglia nobile del luogo e spesso si vergognava del suo mestiere: avrebbe preferito diventare banchiere, come suo padre, e abbandonare le odiate Montagne di Ghiaccio. Tuttavia tale mestiere gli era stato impedito e, per scampare al servizio militare, si era dedicato interamente allo studio. Era sempre severo e burbero. Per questo i suoi studenti si divertivano a infastidirlo.

Il giovane si ricordò all'improvviso di non aver pensato ad uno scherzo ai danni del professore. La situazione l'aveva travolto come un'ondata violenta, e non aveva avuto né il tempo né il desiderio di pensare agli scherzi. Era successo già un'altra volta che si fosse dimenticato di preparare un dispetto. Ricordava bene la reazione dei suoi amici.

Era il giorno successivo alla sua Cerimonia dell'Oracolo. Era rimasto così sconvolto dal verdetto che non aveva più toccato cibo dal pranzo precedente. Non pensava ad altro se non all'allarmante risposta datagli dall'Oracolo. I genitori, per quanto anche loro fossero preoccupati per il figlio, gli avevano detto di frequentare lo stesso le lezioni.

«Un po' di studio ti libererà dalle preoccupazioni» gli diceva suo padre, ma lui non ci credeva pienamente.

Si era diretto con volto mesto al luogo d'incontro suo e dei suoi amici. Poco dopo erano arrivati tutti e l'avevano salutato con sorrisi smaglianti.

«Che scherzo hai preparato per il professore, oggi?» aveva chiesto Steve con un sorriso furbo e una strana luce negli occhi color nocciola.

Erik, di fronte a quella domanda, era rimasto interdetto. Non erano minimamente interessati al risultato della sua Cerimonia? Eppure lui ne aveva parlato a lungo con loro, nei giorni precedenti.

«Ehm, non ci ho pensato. Avevo la mente altrove, mi dispiace» aveva detto, imbarazzato.

Gli altri quattro ragazzi sembravano delusi. «Oh, quindi dovremo passare tutte quelle ore chiusi in una stanza senza poter fare nulla? Che noia!» aveva esclamato Louise ruotando gli occhi.

«Le Tigri delle Nevi non possono stare acquattate in un angolo a guardare le loro prede senza fare nulla. No. Le tigri devono attaccare!» era poi intervenuto Marc, simulando un agguato.

«Hai ragione, Marc. Non vuoi mica che le tigri rimangano chiuse in una gabbia stretta, ad affilarsi gli artigli sulle sbarre di ferro?» aveva rimbeccato Joshua.

«No, tranquilli! Mi verrà sicuramente in mente qualcosa!» si era affrettato ad aggiungere il giovane dai capelli color carbone. Gli altri lo avevano guardato con sguardi curiosi. Erik si era sentito fortemente sotto pressione. Lui era "la tigre", il capo del gruppo. Non poteva permettersi di perdere la stima dei suoi amici.

Scosse più volte la testa, una volta terminato il ricordo. I suoi compagni sarebbero stati sicuramente delusi se avessero scoperto che non aveva nuovamente organizzato nulla. Cominciò quindi a riflettere. Ripensò a tutti gli scherzi che avevano creato fino a quel momento.

Ricordò di quando avevano atteso l'arrivo dell'insegnante da sopra la parete del castello, sulla quale si erano arrampicati per mezzo di solide corde di canapa che avevano appositamente legato a chiodi sporgenti tra le dure e ruvide pietre sagomate a forma di parallelepipedo, per poi rovesciargli sulla testa un secchio di acqua gelida. L'uomo si era ritrovato con i radi capelli color fumo fradici e incollati alle tempie scavate.

Rimembrò inoltre di quando, approfittando dell'assenza dell'insegnante, che si era momentaneamente allontanato per andare al bagno, avevano nascosto i suoi occhiali, da lui erroneamente scordati sulla cattedra. Aveva impiegato molto tempo a ritrovarli.

Si rallegrò infine a ricordare del giorno in cui avevano cosparso di inchiostro la sedia del professore, il quale, dopo essersi seduto, si era ritrovato con una grossa chiazza nera sul sedere.

Quanto si era arrabbiato con loro, in tutte quelle occasioni! Aveva passato ore intere a gridare e strepitare, ripetendo con tono sempre più severo che l'avrebbero pagata e che il loro gesto avrebbe abbassato enormemente la loro valutazione in condotta. Ma cosa importava loro dei voti? Che senso aveva la scuola senza un po' di divertimento? Cinque ore chiusi in una stanza a respirare sempre la stessa aria immobile sarebbero state una tortura insopportabile per dei ragazzi come loro.

Tutti quegli scherzi erano stati divertenti, ma ora voleva inventarne uno nuovo, originale, mai visto. Voleva stupirli tutti. Tuttavia, ogni volta che provava a concentrarsi, visioni delle fiammelle, del fiocco di ghiaccio e, in particolare, della sua anima irrompevano con violenza nella sua mente.

«Uffa...» borbottò, arrendendosi. Continuando così, non sarebbe arrivato a nulla. Decise quindi di lasciar perdere: magari gli altri avevano già pensato a qualcosa.

Arrivato alla statua, si sedette sul basamento e aspettò per qualche minuto, con la pioggerellina che dettava a terra un ritmo pacato, rilassante. Per passare il tempo, contemplava i profili delle misere abitazioni degli abitanti del villaggio, con le pareti costruite con fragili mattoni crudi e i tetti sorretti da impalcature di legno e ricoperti di argilla. Si chiese come doveva essere abitare in case come quelle, così piccole e scomode. Ma lui era il figlio del re, e ciò gli dava dei privilegi di cui andava fiero.

«Peccato che non potrò mai assumere il potere» sussurrò continuando a guardarsi intorno.

"Oh, ma cosa ti importa, Erik? Adrian è l'erede. Non puoi farci niente" si disse colpendosi la fronte con il palmo.

«Oh, ma guarda un po'... Inizi a rimpiangere di non essere il primogenito?» borbottò una voce nella sua testa, analoga alla sua se non per il tono squillante. Essa era spaventosamente simile a quella con cui la sua anima si era rivolta a lui.

Scacciò il pensiero e guardò invece il castello, imponente come un gigante di pietra avvolto dalla nebbia, che stava cominciando nuovamente a diradarsi. Le guglie frastagliate, ora bene in vista, svettavano contro il cielo grigio di nuvole. Si vedevano perfino gli stendardi regali, che recavano sopra un ricamo raffigurante un fiocco di neve. Da quel simbolo sembrò partire una scia, che arrivò fino a colpirgli gli occhi, che si assottigliarono. Lo invase improvvisamente un desiderio bruciante: quello di dominare sugli altri. Cominciò a sentirsi superiore: tutti dovevano essergli sottomessi.

Sentì il cuore diventare improvvisamente freddo, così come il suo respiro. Percepì una sensazione particolare: era come se una lama gli avesse penetrato gli occhi, ma senza accecarlo totalmente. Urlò in preda al dolore. Poi quel gelido e invisibile pugnale fu estratto, e sentì un certo sollievo. Tuttavia iniziò a vedere il mondo in modo strano: era tutto pallido, sbiadito, come ricoperto di brina.

«Un giorno governerò su tutto questo. Non importa se non sono l'erede legittimo!» gridò al cielo, mentre un sorriso maligno gli si dipingeva sul volto. I suoi occhi cominciarono nuovamente a emanare un'aura gelida come il ghiaccio.

Cominciò a ridere sguaiatamente, come non aveva mai fatto prima. Lui era il padrone. Lui avrebbe governato. Nessuno, se non voleva morire, glielo avrebbe impedito.

«Sì, proprio così! Io sarò il padrone! Io dominerò sulle Montagne di Ghiaccio!» La sua coscienza aveva preso a gridare sempre più forte dentro di lui, dettandogli le parole da pronunciare. Voleva essere lui l'erede. Perchè Adrian era nato prima? Perchè non poteva essere lui il primogenito? Per la prima volta in tutta la sua breve vita, la gelosia cominciò ad alimentare il suo cuore, ad avvelenargli la mente.

Poi, all'improvviso, qualcosa si accese dentro di lui. Il ghigno sadico sul suo viso svanì e tornò a rilassarsi. La sua anima smise di gelargli il cuore e gli occhi smisero di ardere.

«Ma... ma cosa sto facendo?» si chiese, spaventato da sé stesso. Si guardò intorno e notò una serie di volti allibiti fissarlo, terrorizzati: gli abitanti del villaggio dovevano aver sentito le sue urla e i suoi strepiti. Cominciò a sudare freddo: adesso tutti l'avrebbero creduto pazzo.

«Cosa mi è appena successo? Questo non è da me...» sussurrò guardandosi le mani. Le vene gli pulsavano ancora. Un silenzio attonito impregnava l'aria, rotto solo dai pianti dei bambini più piccoli. Nessuno aveva il coraggio di muoversi, né di parlare.

«Posso... posso spiegare tutto...» provò a dire, gesticolando. Ma mentiva. Neanche lui sapeva come trovare una risposta. Sapeva solo che per qualche istante aveva perso il controllo dei suoi pensieri, del suo corpo. La voce cristallina delle scintille gli aveva invaso la mente. Non aveva sentito più nient'altro.

Tutti sembravano aver paura di lui: le madri stringevano a sè i loro figli, tremanti, mentre gli uomini, anche i più forti, lo guardavano come se fosse stato un mostro.

Il ragazzo provò a muovere qualche passo, facendo indietreggiare tutti gli altri.

«No! Non abbiate paura!» gridò, sempre più nel panico. Non sapeva come fare: quegli sguardi impauriti lo trafiggevano come lame. Non sapeva cosa gli fosse successo, né perchè si fosse messo a gridare in quel modo. Voleva solo che gli altri capissero, che tornassero alle loro vite quotidiane, smettendo di divorarlo con gli occhi.

«Erik!»

Il ragazzo si voltò nella direzione da cui proveniva la voce che aveva pronunciato il suo nome. Sgranò gli occhi vedendo Steve e Louise correre nella sua direzione.

«Erik!» gridò nuovamente Louise. Il suo volto pallido e appuntito era stravolto in un'espressione tesa e preoccupata. Gli occhi smeraldini sprizzavano paura, e affannose boccate d'aria le scuotevano il corpo esile. Steve sembrava ansioso quanto lei. Proprio come il loro amico, neanche loro dovevano conoscere la situazione.

Un uomo muscoloso bloccò loro la strada, intimando loro di non muoversi. In una mano, tozza e nerboruta, teneva saldamente una lancia. I suoi folti capelli color pece erano raccolti dietro la testa in una coda di cavallo, e una barba cespugliosa gli circondava il viso paffuto. Portava indosso un'armatura ferrea e resistente, per cui Erik ipotizzò potesse trattarsi di un soldato. Ma come mai, essendo il villaggio in periodo di pace, era armato e corazzato? Ma poi si rese tristemente conto che in quel momento la minaccia era lui.

«Ma è nostro amico!» gridò Louise provando a passare, ma quello non si mosse. Le puntò invece contro la lancia. La ragazza alzò le mani e indietreggiò, impaurita.

«Voi non andate da nessuna parte. Quel ragazzo è pericoloso. Non avete sentito ciò che ha urlato?» esclamò con voce tonante. Erik tremò.

«Ma lei sa chi è lui?» domandò Steve.

Il soldato esplose in una risata alquanto maligna, per poi rispondere: «Oh, certo che lo so. Volete che non conosca Erik Gondar, principe delle Montagne di Ghiaccio?» Erik sembrò paralizzarsi al sentire quelle parole: quindi quell'uomo sapeva chi era e si comportava lo stesso così? Era inaccettabile.

«Ci lasci passare!» urlò Louise spazientita, ma la punta acuminata della lancia era sempre più vicina al suo petto. Se avesse provato a muoversi, sarebbe stata trafitta.

«Sta' in silenzio, ragazzina» sputò l'uomo con tono crudele. Louise fece per rispondere a modo, ma una fitta di paura la fermò. Erik si sentì ardere dentro: nessuno poteva permettersi di trattare in quel modo i suoi amici. Ma poi si ricordò di ciò che era avvenuto pochi istanti prima e si fermò, cercando di calmarsi.

«Possiamo giurarle che non è affatto pericoloso. Avrà avuto una crisi...» provò a dire Steve, ma l'uomo davanti a lui era irremovibile. Puntò la lancia nella sua direzione e la avvicinò pericolosamente alla sua gola. Il ragazzo cominciò a sudare mentre lo strumento portatore di morte era sempre più vicino.

«A stabilire questo non sarai di certo tu, sciocco ragazzo. Ne ho già visti di giovani come lui: sono pericolosi, dei flagelli per l'ordine pubblico. Non possiamo lasciare che uno come lui si aggiri liberamente per il villaggio. Non avete sentito cosa gridava? Vorrebbe usurpare il trono di suo fratello, l'erede legittimo! Arriverebbe a ucciderlo per avere il potere!» esclamò.

Erik stava cominciando ad arrabbiarsi seriamente. Lui non avrebbe mai congiurato contro la sua stessa famiglia. A lui non importava governare sugli altri. Voleva solo godersi la sua adolescenza. Ma realmente, in quegli istanti in cui aveva perso il controllo, aveva urlato quelle parole? "No, non è possibile. Non può essere" pensò. Forti tremiti gli pervasero il corpo, avvolgendolo in una stretta gelida.

"Calmo, Erik. Calmo" si disse stringendo i denti e i pugni, cercando disperatamente di trattenere la rabbia che cresceva pericolosamente dentro di lui. Intanto gli altri membri del villaggio assistevano alla scena, troppo spaventati per muoversi o reagire. Due uomini, anche loro armati, a un cenno del soldato corsero via, forse per chiedere aiuto. Ma quale aiuto? Che bisogno c'era di movimentare un esercito per mettere in catene un ragazzo indifeso, per di più il figlio del re?

All'improvviso, gli occhi neri come la morte del soldato si ridussero a due fessure. Una fila di affilati denti bianchi spuntò tra le sue labbra arricciate in un ghigno sadico. I tre ragazzi si spaventarono molto a veder apparire quell'espressione sul volto di quello sconosciuto.

«Ma a che mi servono i rinforzi? Perché aspettare, e non estirpare subito questa minaccia?» pensò ad alta voce. A quel punto Erik si sentì paralizzare dal terrore: quel tale voleva ucciderlo!

«No! Non glielo permetteremo!» gridò Louise con tutto il fiato che aveva nei polmoni.

«Ah, e chi me lo impedirebbe? Voi? Due stupidi ragazzini?» ghignò l'uomo con tono minaccioso.

Erik non sapeva come reagire: nella sua testa regnava sovrana la confusione. «M-ma perchè m-mi vuole uccidere?» trovò il coraggio di dire. Cercò invano di ottenere il controllo del suo corpo e di fermare le gambe che continuavano a tremargli violentemente.

«Oh, povero piccolo ingenuo. Non sai ancora nulla? Il tuo paparino ti ha tenuto all'oscuro di tutto?» biascicò con tono falsamente mellifluo.

«N-non so di cosa lei stia parlando» balbettò Erik intimorito. L'uomo esplose in una risata maligna, per poi rivolgere al giovane uno sguardo carico d'odio e di follia.

«Peccato, dover morire prima di aver compreso...» disse sghignazzando. La folla dette in un gemito sorpreso e qualcuno cominciò a strepitare, curioso di sapere cosa intendeva dire il soldato. Nessuno mosse neanche un dito per difendere Erik, come se il suo destino non importasse loro, come se avessero troppa paura per affrontare una persona così possente e muscolosa pur di salvare una vita innocente.

"Nessuno deve saperne nulla - pensò Erik - Quest'uomo deve essere andato fuori di senno". La visione delle scintille glaciali tornò a invadergli la mente.

«Paventa quest'uomo e quelli come lui. Non è folle, è solo sottomesso al destino, una pedina della sorte, come te. Fuggi, fuggi lontano, salvati dalla morte!» mormorò una prima voce.

«No! Non farlo! Non mostrarti come un codardo, di fronte a gente che dovrebbe temerti e rispettarti! Resta, combatti per ciò in cui credi, ascolta la tua anima!» gridò un'altra, perentoria.

«Ora la smetta! Lasci stare il nostro amico!» gridò Steve.

«Pazzo! Nessuno può osare mettersi contro Brennus, il generale dell'esercito, il soldato più forte e valoroso, il più fedele servitore del nostro beneamato sovrano» esclamò l'uomo armato.

«So solo una cosa. Se qui c'è un pazzo, quello è lei» dichiarò spavalda Louise.

«Come ti permetti, stupida ragazzina? Nessuno può insultarmi, se non vuole morire» gridò il soldato minaccioso, ma Louise, dimenticata la paura, sosteneva con coraggio il suo sguardo.

«Se vuole toccare il nostro amico, dovrà prima passare sui nostri cadaveri! E se lo farà, finirà in prigione a vita!» gridarono in coro i due giovani.

«Bene, l'avete voluto voi! Chi non è con me, è contro di me: farete la stessa fine del "principino"! E poi, sapete una cosa? La prigione mi teme più di quanto io tema lei!» urlò mentre un'espressione crudele gli compariva sul volto. Tutti gli spettatori si ritrassero in un colpo solo, come a voler lasciare libera l'arena per il combattimento. Loro, con la loro indifferenza, erano i veri mostri.

Erik rimase fermo dov'era: percepiva che la situazione stava degenerando. «Ragazzi, no! Scappate! Me la caverò!» provò a gridare, ma non fu ascoltato.

Guardò terrorizzato Brennus slanciarsi sulla ragazza inerme, con l'intenzione di trafiggerla. Lei lo schivò e cominciò a indietreggiare con cautela. Steve le si parò davanti, ma il battito accelerato del suo cuore tradiva la sua espressione spavalda. I due amici si divisero e sgusciarono ai fianchi dell'uomo armato.

Dalla folla cominciarono a provenire voci concitate: «La smetta!» «Sono solo dei bambini!» «Ma cosa le hanno fatto?». Finalmente, si disse Erik, avevano perso quell'indifferenza velenosa.

Alcuni tra i presenti cominciarono a invadere il campo di battaglia, provando a trascinare via Brennus, ma quello li ignorava. Li spingeva via facilmente con le sue enormi mani. Continuava a sferrare attacchi come un toro infuriato, e i ragazzi lo schivavano abilmente.

«Ah, volete farla difficile...» sghignazzò. Lanciò l'asta, mirando alla gola di Steve, ma lui riuscì a deviarla, venendo tuttavia colpito alla gamba. Gemette di dolore e si accasciò a terra, mentre un rivolo di sangue scarlatto cominciava a uscirgli dalla ferita. Provò a premere le mani su di essa, ma il sangue continuava a scorrere incontrollato.

«No!» gridarono in coro Erik e Louise. La giovane corse incontro al ragazzo ferito e gli fece da scudo con il suo corpo. Steve non riusciva ad alzarsi: la gamba gli doleva troppo.

Un largo ghigno comparve sul volto di Brennus mentre alzava la lancia, pronto a colpire i due fanciulli disarmati, che, pur tremando, mantenevano la loro espressione scaltra. La folla trattenne il fiato, mentre qualcuno tentava disperatamente, con urla e strepiti, di fermare il generale.

«Lei è proprio un pazzo! Un assassino!» gridò Louise mentre il soldato era sempre più vicino a loro. Non piangeva: non voleva dargli quella soddisfazione.

«Può essere vero, ma tanto che me ne importa? Preparatevi a morire!» esclamò Brennus con gli occhi che sprizzavano sangue.

A quel punto Erik non riuscì più a trattenersi. Sentì nuovamente il ghiaccio invadergli l'anima e gli occhi bruciare come fiamme ardenti. Brennus si girò ed ebbe un fremito. Steve e Louise tremavano ancora, abbracciati e con gli occhi chiusi, pronti al colpo fatale.

«No! Lei non lo farà!» gridò il ragazzo dai capelli color carbone.

Non appena ebbe detto ciò, il cielo si fece tempestoso. Un tuono attraversò l'aria con il suo boato assordante. Dalle mani di Erik partì una scia che investì in pieno il generale, che urlò. In men che non si dica, quello si ritrovò a fluttuare nel nulla, tra gli sguardi stupefatti della popolazione.

Ecco un nuovo capitolo. Che ne pensate? Perchè Brennus si sarà comportato così? Cosa significherà la visione di Erik? Continuate a leggere per scoprirlo! Al prossimo capitolo!

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