~ 6 ~

*Viride*

Arya mi osservò, Fanje al mio fianco, sapevamo cosa si aspettava da noi sua maestà. Discrezione, assoluta discrezione per ogni minima mossa del futuro re e di coloro che si sarebbero avvicinati a lui.

Chiunque poteva essere un pericolo per la sopravvivenza degli elfi.
Ma noi, ancelle e guardie personali della corona elfica, siamo state poste ad una somma promessa infrangibile che giura estrema fedeltà e lealtà a colui che regna, fino alla morte.

Già dalla nascita ero predestinata al combattimento, facendomi studiare nelle più elevate e complesse scuole umane di medicina nei pressi dei Monti Beor, mentre venivo addestrata nel combattimento dai nani che mi ospitavano.

Il giuramento che per ogni ancella e guerriero adempie poco prima di divenire operativi, si effettua ai confini tra il deserto di Hadarac e la Du Wldenwarden, come simbolo di rinascita. Un'inizio per i novizi, ma poco dopo ci si accorge di essere la fine della propria autonomia. La mia lealtà è iniziata poco prima della salita al trono di Galbatorix, ponendo tutte le mie forze nelle rivolte e nelle battaglie.

Sono sopravvissuta affiancata dai migliori combattenti, anche da Eragon Ammazza Spettri, che nonostante la differenza di rango, di età e della razza, mi infatuai di lui, sempre più affascinata dall'ultimo esemplare di Cavaliere.

Ma quando mi accorsi che il mio amore si era riversato completamente in Eragon, era troppo tardi, poiché era già salpato verso terre remote ed inesplorate.

Così ora mi ritrovo a far la guardia a suo nipote, sempre più stanca, arrampicandomi alla futile speranza che un giorno lui possa tornare e forse, chissà, rilevatogli il mio amore per lui, amarlo ancora di più e liberamente. Guardai per un'istante Eiansil. Il volto era identico a quello di Eragon se non per i piccoli tratti razziali elfici più accentuati e per i suoi occhi verde smeraldo.
Quanto tempo ancora dovrò reprimere questo mio sentimento?
Mi chiesi varcando le porte del castello, diretti verso la foresta.

*Eiansil*

Uno schiacciare di foglie ed il lento passo di una figura nella foresta mi fecero fermare. Chinando lo sguardo, tra i rami di un vecchio albero, mi ritrovai immerso in due verdi diamanti incastonati in un viso serafico. Lunghi e mossi capelli rossi sussultavano al vento, facendomi dimenticare la melodia che stavo intonando poc'anzi.
Evangeline.
La riconobbi a stento aiutato dal ciondolo che le avevo regalato anni addietro e che ancora portava intorno al suo collo.

Appena la vide, Viride puntò una freccia contro di lei alle sue spalle.
Fanje invece, aveva la sua balestra carica, mentre ancora si poggiava con le punte dei piedi su di un ramo poco più distante dal mio. - No, lasciatela passare, è una mia amica di vecchia data. - Appoggiai attento il liuto e con un balzo scesi a terra, accanto a lei. Riprendendo stabilità la guardai e subito potei notare i suoi occhi arrossati dal pianto. - Come stai? Ti trattano bene in città? - La vidi sussultare un momento, ma poco dopo abbassando gli occhi mi rispose. - Sì, sono gentili con me, mi hanno insegnato le vostre tradizioni, le danze ed i canti popolari e da poco ho appreso anche l'Antica Lingua. - Rigirò tra le mani una lettera mentre parlava e curioso la osservai. - E quella? - Subito non parve comprendere, ma seguendo il mio sguardo ed arrossendo un poco mi rispose. - Questa è la mia lettera giornaliera da parte vostra. - Sussultai. Non l'avevo riconosciuta sul momento, ma il bollo reale mi ricordò ciò che ci avevo scritto. - E la vostra? - Mi chiese sorridente e speranzosa. La sua voce dolce come miele. - Mi hai inviato una lettera anche tu mia cara Evangeline? - Mi guardò stupita. - Ogni giorno vi lascio una risposta. - In quel momento mi parve che Fanje stesse arretrando verso i rami più alti. - Capisco. -
Mi sembrava che la distanza tra noi due fosse troppo grande, avevo il disperato bisogno di sentire il calore sulla sua pelle ancora una volta.

Solo una volta ero riuscito a portarla in braccio: quando la stavamo portando ad Ellésméra su Jura. Si era addormentata tra le mie braccia col naso arrossato dal freddo dell'altitudine.
Sospirai.
- Dove posso incontrarti, nel caso in cui volessi rivederti? - Le chiesi speranzoso. - Ultimamente ho fatto amicizia con Fredric, un vecchio fabbro qui in città. Mi puoi trovare lì mentre lavoro, se vuoi. - Rispose sorridendomi. I suoi occhi riflettevano la sua felicità in due smeraldi.

Il fremere di una corda ed il fischio del vento di fecero sussultare. Alle mie spalle fu scoccata una freccia diretta ad Evangeline.

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