80. Attraverso uno Specchio
Mason
«Coraggio, sbrigati!»
Bridget si volta nella mia direzione con aria impaziente, bloccandosi nel bel mezzo del corridoio. La raggiungo e lei riprende l'andatura rapida. Seguo la sua figura che cammina in modo precipitoso, con i capelli lunghi e ramati che svolazzano ad ogni passo.
Mi ha trascinato fuori dalla nostra camera, affermando di dovermi mostrare una cosa. Stiamo vagando per le vie del Palazzo di Ghiaccio da più di dieci minuti, con lei che si ferma per incitarmi a muovermi e io che le vado dietro ponendole domande in continuazione. Non ho idea di quale sia la nostra destinazione.
«Posso sapere dove stiamo andando?» le chiedo per l'ennesima volta.
«Tu seguimi e basta. È una sorpresa» risponde evasivamente, di nuovo.
Mi rivolge un sorrisetto enigmatico e uno sguardo divertito dalla mia espressione di assoluta confusione. Le labbra incurvate le illuminano il viso di una luce allegra.
Non l'ho mai vista così. Così felice, così spensierata. Un alone di serenità la avvolge e le dona un aspetto gioioso e brillante, che la rende più bella di quanto non lo sia già.
È trascorso quasi un mese, dalla morte di Seth, e lei sembra rinata dalle ceneri in cui suo padre l'aveva ridotta.
Saliamo una rampa di scale, che sfocia in una delle zone nuove del castello. La ristrutturazione è quasi terminata e la residenza reale sta acquistando una nuova facciata.
Attraversiamo un corridoio spoglio e svoltiamo a destra; camminiamo in avanti finché Bridget non si arresta, tutto d'un tratto, davanti a una porta. Il battente è decorato di intarsi lineari di diamanti e argento, su una superficie di ebano sicurissimo.
«Ecco qua» dichiara Bridget, indicando a braccia spalancate la porta.
Aggrotto la fronte, non capendo. «Cosa c'è, lì dietro?»
«La sala degli specchi magici.» Sul suo volto è cucito uno strano sorrisetto, che esprime frenesia e soddisfazione, mentre pronuncia quelle parole.
«Devi parlare con tua madre?» ipotizzo.
«Non io» nega, senza smettere di sorridere, «ma tu.»
«Devo parlare con tua madre?» concludo, ancora più frastornato.
Bridget sbuffa, appoggiandosi una mano sulla fronte, in segno di stizza. «Perché non ho trovato un ragazzo più sveglio?»
I miei lineamenti formano un cipiglio offeso. «Potresti essere meno criptica, per favore?» sbotto, innervosendomi.
«Tu devi parlare con tua madre.»
La mia espressione vola dall'irritazione alla sorpresa. «Cosa?» faccio, disorientato, non cogliendo il significato dell'informazione. O, meglio, lo colgo, tuttavia il mio cervello si rifiuta di elaborarlo.
Emette un sospiro esasperato. «Devi entrare in quella stanza, parlare con tua madre, e anche con tuo padre e tua sorella» spiega.
Mi irrigidisco, sentendola nominare la mia famiglia. «Ti sei scordata che solo tu e Ryan potete farlo?»
Bridget mi si avvicina e posa le sue mani sulle mie spalle. «Ricordi cosa ti ha promesso Ryan, tempo fa? Che avrebbe reso gli specchi utilizzabili da chiunque?» domanda, in tono più calmo. «Ecco, abbiamo fatto costituire appositamente questa stanza. Adesso, ogni Arcandido ha un collegamento con il mondo dei defunti. Compreso te.»
L'incredulità mi spinge a sgranare gli occhi e a trattenere il fiato. «Stai dicendo che...» comincio, la voce emozionata.
«Sì, Mason» mi sorride con dolcezza, «puoi rivederli e puoi anche parlare con loro.»
In uno slancio euforico, prendo Bridget per i fianchi e la sollevo da terra, facendole fare una mezza giravolta. Schiaccio il suo corpo contro parete, accanto alla porta scura tempestata di righe diamantate, e mi accosto a lei.
«Dio, Bree, non so come ringraziarti» mormoro sulla sua pelle lattea, in tono di immensa riconoscenza.
«Sono io che devo ringraziarti» ribatte, incastrando il suo sguardo brillante nel mio. «Mi hai dato tanto, ti sei sempre sacrificato per me e non mi hai mai abbandonata. Persino quando sono arrivata al punto di odiare me stessa, c'eri sempre tu ad amarmi al posto mio. Prendi questo come un gesto per sdebitarmi.»
«È... io non...» rantolo, l'agitazione e la gioia che mi impediscono di esprimermi.
«Non importa. Vai e basta» mi incoraggia teneramente.
Stampo un bacio fugace sulle sue labbra e mi stacco da lei. Mi avvicino alla porta, scrutando il battente di diamanti e legno con una morsa di ansiosa felicità che mi stritola l'organismo.
«Forza» mi incita ancora Bridget, dedicandomi un'occhiata esortante.
Impugno la maniglia e apro la porta. Sguscio oltre essa e la richiudo, spezzando qualsiasi contatto visivo tra me e la ragazza dalle iridi puntellate d'oro.
La sala degli specchi magici consiste in una stanza dalle pareti bianche, ricoperte di immense lastre di vetro, tre per ogni lato, eccetto quello dove si trova l'ingresso. Dal soffitto pende un lampadario di cristallo, che lancia scintillii e fulmini di luce agli specchi, creando un gioco brillante di rimbalzi e riflessi tra le pietre e i vetri.
Mi avvicino alla parete di fondo, posizionandomi davanti allo specchio centrale. La lastra magica non restituisce la mia immagine. Resto impalato dinanzi al rettangolo di vetro, interrogandomi su cosa fare. L'emozione mi divora e mi impedisce di ragionare.
Devo chiamarla.
Schiarisco la voce e schiudo le labbra, deciso a compiere la prima azione necessaria, ma nessun suono fluttua dalla mia bocca. Riprovo, però un groppo in gola arresta le parole. Inspiro, per darmi coraggio, e pronuncio quelle fatidiche cinque lettere.
«Mamma?»
Il tono mi esce tremante e scomposto. La mia voce echeggia per qualche lungo secondo nello spazio vuoto, mentre lo specchio che sto fissando rimane trasparente e limpido.
Sto per abbozzare un secondo tentativo, quando la superficie di vetro si increspa e una figura inizia lentamente a occuparla. La sagoma diventa sempre più nitida, fino a descrivere una donna dai lunghi capelli castani e dagli occhi scuri e disorientati.
Mia madre.
Elaine Evans, dallo specchio, si osserva intorno con aria spaesata, finché il suo sguardo non si posa su di me. Notandomi, sgrana le palpebre, restando completamente interdetta.
«M-mason?» balbetta, inchiodandomi con i suoi occhi sconvolti.
La sua voce, seppur sconcertata, ha mantenuto la tonalità melodiosa di tre anni fa. Sentirla di nuovo basta a riempire i miei occhi di lacrime felici.
«Sei davvero tu?» riprende lei. «Come è possibile?»
«Sì, mamma, sono io» rispondo, faticando a parlare a causa delle sensazioni diverse che mi scuotono da capo a piedi. Un mix di gioia, euforia, agitazione, nostalgia, tristezza.
Vorrei dirle tantissime cose, ma ogni fibra del mio corpo è bloccata.
«Oh, cielo» esclama esterrefatta, portandosi le mani davanti alla bocca.
Scorgo macchie lucide invaderle lo sguardo cristallino. La sua figura sembra accostarsi al vetro; appoggia un palmo sulla lastra e in questo momento desidero con tutto me stesso che lo specchio si infranga, per potermi permettere di toccarla.
«Credevo che non ti avrei più parlato» esala mia madre, guardandomi con dolce commozione.
Ingoio il nodo che mi ostruisce la gola e argino le lacrime, sorridendole piano. «Anche io lo credevo, mamma.»
Mamma. Questa parola suona così strana, insolita. Non la uso da anni e non avrei mai pensato di pronunciarla un'altra volta.
«Gli specchi non sono riservati ai reali?» mi chiede, esprimendo il suo dubbio.
«È merito di Bridget» mi limito a dire, senza specificare l'identità della ragazza. Sono sicuro che la conosca.
Infatti, mia madre incurva teneramente le labbra. «Quella ragazza è davvero speciale.»
Lo afferma con decisione e dolcezza, facendomi comprendere che sappia più cose di quanto io pensi.
Annuisco con veemenza. «Sì, lo è.»
«Ti ho osservato in questi anni, Mason. Non immagini quanto avrei voluto starti vicino mentre soffrivi.»
«È stato un inferno. Mi manchi tantissimo, mamma.» Una lacrima rovente mi graffia la guancia e la mia voce si spezza.
«Anche per noi è stato orribile» replica il mio tono crepato.
Quel "noi" mi ricorda che mancano mio padre e mia sorella all'appello. Devo assolutamente vederli.
«Immagino che tu voglia parlare con loro» intuisce mamma, come se mi avesse letto nel pensiero.
Confermo e mi aspetto quasi che lei svanisca dallo specchio, per fare posto a papà o a Piper. Invece, le lastre poste a destra e a sinistra si animano di onde e frammenti colorati. Due figure affiancano mia madre.
In un primo momento, resto impalato e in silenzio, osservando le tre sagome che mi si stanziano di fronte. Caleb Evans fa saettare le sue iridi di pece da un punto all'altro della sala, e lo stesso fa Piper.
Poi, si accorgono di me, e hanno la stessa reazione che ha avuto precedentemente mia madre: cadono in uno stato di muto frastornamento, guardandomi con gli occhi fuori dalle orbite.
«Mason?» Mio padre tronca lo spesso strato di silenzio sceso.
«Papà» rispondo, sorridendogli.
«Non ci credo» prorompe, ancora lo stupore in volto.
«Credici, invece» si intromette la mamma, guardando divertita l'espressione esterrefatta di suo marito.
Mio padre crolla sulle ginocchia, oltre la lastra di vetro, gli occhi neri lucidi e commossi. Il suo sguardo, la fotocopia del mio, si posa sulla divisa che indosso. Osserva la giacca azzurra che gli è appartenuta anni fa, rivolgendomi un'occhiata fiera.
«Sapevo che ci saresti riuscito» mi sorride, orgoglioso. «Ho sempre creduto in te.»
«Volevo che fossi fiero di me, papà.»
«Lo sono sempre stato, figlio mio, indipendentemente dall'uniforme.»
Le iridi nere di mio padre sono umide di gioia e soddisfazione. E, dopo anni passati a pretendere il massimo da me, con il solo obiettivo di riscattarmi, finalmente mi sento appagato.
Presto la mia attenzione a Piper. Mia sorella si è chiusa in un bozzolo di silenzio e mi scruta con un'espressione indecifrabile. È rimasta uguale a come la ricordavo: la chioma bionda le incornicia i lineamenti delicati, ancora infantili, e gli occhi sicurissimi, che non si sganciano dai miei.
All'improvviso, come un'esplosione inaspettata, scoppia a piangere. Singhiozza rumorosamente e le lacrime voraci le mangiano il volto.
«M-mi sei mancato, fratellone» farfuglia tra le lacrime, parlando a scatti e con voce distrutta.
«A me era mancato averti tra i piedi, P» ribatto con un sorriso dolce e scherzoso.
Mia sorella ridacchia, senza però smettere di piangere. «Sei il solito insopportabile.»
Il desiderio ardente di stringerla tra le mie braccia inizia a farsi largo in me. Vorrei tanto spaccare il vetro che separa le nostre dimensioni e intrappolarla in uno di quegli abbracci fraterni che nessuno dei due ha mai tollerato. Tre anni fa, non pensavo che sarei passato dal rifiutare i gesti affettuosi al bisogno di darne e riceverne.
«Siamo tutti contentissimi di questa sorpresa» dichiara mio padre.
«Allora, Mason? Cosa ci racconti?» fa la mamma, osservandomi con una nota di curiosità.
Nonostante siano a conoscenza degli ultimi eventi che mi hanno scombussolato la vita, racconto loro volentieri cosa è successo in questo periodo.
Narro della partenza per Arcandida, delle numerose battaglie, delle perdite e delle vittorie contro le Ombre. Li informo della sconfitta definitiva di Seth e del nostro trionfo. Poi, sotto loro richiesta, parlo delle giornate in Accademia, delle Sentinelle, dell'Esercito e della mia carica.
Piper mi interroga anche su Emily e Carter e le rivelo che sono ufficialmente diventati una coppia, in seguito a vari problemi.
«Ce l'hanno fatta a mettersi insieme!» esclama mia sorella.
Carter ed Emily erano anche suoi amici, e ricordo nitidamente quanto insistesse sul fatto che fossero la miglior coppia dell'istituto.
«E la Principessa, invece?» mi domanda mio padre, con un'occhiata furba.
Un sorriso mi nasce spontaneo, nel sentirla nominare. Così, racconto alla mia famiglia del più grande cambiamento avvenuto nella mia esistenza: Bridget Kelley. Della ragazza dai capelli ramati e dagli occhi più luminosi che avessi mai visto, che è piombata nelle mie giornate come un meteorite, dando a esse di nuovo colore. Di colei che mi ha fatto dannare e mi ha completamente rimescolato il cervello e il cuore, ma che mi ha anche reso felice come nessuno ha mai fatto.
In realtà, questi pensieri li tengo per me. A loro dico semplicemente che Bridget è la mia fidanzata e che presto verrà incoronata.
«Quindi, diventerai Re?» conclude Piper, e il suo sguardo si illumina di euforia.
«No, P» recido i suoi sogni a occhi aperti, «quello spetta al fratello di Bridget. E, poi, io sono già il Generale.»
«Guidi l'Esercito e hai conquistato la futura sovrana» asserisce mio padre, con una punta di malizia nella voce. «Ti sei dato da fare, in questi anni, eh?»
Mi rabbuio improvvisamente, calando lo sguardo. «C'è stato un periodo in cui credevo che non ce l'avrei fatta. Sentivo costantemente la vostra mancanza.»
«Ma ce l'hai fatta. E hai vinto, tesoro» mi risolleva mia madre, con quel suo tono di voce estremamente amorevole e mellifluo.
«Anche se non lo sapevi, noi eravamo sempre al tuo fianco» concorda mio padre.
«Ti vogliamo bene, fratellone» termina Piper, tirando su col naso. Ha ancora gli occhi neri luccicanti di lacrime.
«Anche io ve ne voglio. Tantissimo, sorellina.»
Piper mi sorride genuinamente, ma tutto d'un tratto la sua figura inizia a sbiadire, come quella di mamma e papà. Stanno sparendo dagli specchi.
«Il nostro tempo è scaduto» annuncia mia madre, con sguardo triste.
«No! Non voglio andarmene» protesta mia sorella, tirando un'occhiata rabbiosa alla mamma, proprio come faceva quando era piccola e voleva a tutti i costi essere accontentata. «Non voglio lasciarti di nuovo» continua, girandosi verso di me.
«Mason tornerà a trovarci» si intromette mio padre, per placare la situazione. Incastra le sue iridi nelle mie. «Giusto?»
Annuisco, confermando in fretta. «Verrò ogni giorno, ve lo prometto. Non scapperai di nuovo da me, sorellina» rivolgo a Piper un sorrisetto spiritoso.
«Vorrei tanto essere ancora lì, con te» dice lei, osservando con amarezza la sala dalla lastra di vetro che la tiene prigioniera.
«Per prendermi a schiaffi?»
«No, idiota, per abbracciarti. E sì, anche per prenderti a schiaffi.»
«Non siete arrabbiati con me per ciò che è successo quella sera, vero?» domando timorosamente ai miei genitori.
«Non dirlo neanche per sogno!» sbotta mia madre, quasi indignata. «Non ti abbiamo mai dato la colpa. È stato un incidente, lo sai. Lo sappiamo tutti.»
«Ma...» provo a ribattere.
«Non dirlo» mi blocca papà. «Basta darti stupide colpe. Promettici che non lo farai più.»
Sono tutti e tre sicuri di questo pensiero, e non mi resta che sospirare, arrendendomi. «Lo prometto» mormoro.
Ormai, il pentimento è una parte integrante di me. È diventato così familiare che sarà dura, lasciarlo andare via. Ma ci proverò, unicamente per loro.
Piper e i miei genitori sfumano sempre di più.
«Dobbiamo salutarci, tesoro» afferma mia madre.
«Torna presto a farci visita» si raccomanda mia sorella.
Le loro figure si fanno sottili come fogli di carta e opache come la nebbia. Devo dirlo adesso, prima che sia troppo tardi.
«Vi voglio bene» sputo tutto d'un fiato. «Non sono riuscito a dirvelo quella sera e in tre anni non ho avuto la forza neanche per rivolgervi un pensiero. Ma vi voglio un mondo di bene.» Confesso loro il mio affetto con la voce incrinata e le lacrime che mi bruciano il viso, scendendomi sulle guance.
«Anche noi, Mason» risponde mio padre.
Le sue parole sono le ultime che mi arrivano. Dopodiché, svaniscono dagli specchi, cristallizzandosi in stelle luminose e lasciando la lastra di vetro vuota e fredda.
Con la vista ancora appannata dalle lacrime, fisso le superficie riflettenti pulite. Mi sento privato di un peso. Il quintale di dolore che mi porto dietro da anni si è sbriciolato, scivolato via insieme alle gocce di pianto, liberandomi di quella pressione insostenibile. Esalo un respiro di sollievo, sentendomi finalmente meglio.
Prima di tornare da Bridget, però, c'è un'altra persona che ho bisogno di vedere. Asciugo le lacrime con il dorso della mano e rischiaro il tono, chiamando a gran voce la ragazza.
La Guerriera appare all'istante, in un vortice di particelle dorate sulla superficie di vetro. I suoi occhi color miele incontrano subito i miei, e li sgrana. Anche la sua chioma riccia, un intreccio di stelle filanti, sembra gonfiarsi di stupore.
«Mason?»
«Sì, proprio io» ribadisco per la terza volta nel giro di mezz'oretta.
Le iridi lucenti di Sophia mi scrutano. «Cosa...?»
«Lunga storia» le impedisco di terminare, «ma l'importante è che posso parlarti di nuovo.»
Sophia non si toglie l'espressione confusa dal volto. «Come... come sta andando la guerra?» domanda alla fine.
Le sorrido con fierezza. «Abbiamo vinto.»
«Ma è fantastico!» esclama, con lo sguardo d'oro che brilla maggiormente.
«È anche merito tuo» le riferisco, e faccio una fatica immane a pronunciare le seguenti parole: «Mi dispiace un sacco, Sof. Sei morta a causa mia».
«Non fa niente, Mason. Non potevi di certo sapere che quell'Ombra fosse pazza» ridacchia, riferendosi a Samantha.
«A tua sorella manchi tanto» la informo.
«Puoi dirle che vorrei parlarle, uno di questi giorni?»
«Certamente» annuisco.
In seguito alla mia risposta, precipita il silenzio. Sophia mi scruta e il suo sguardo è dolce, mentre il mio lo percepisco abbattuto e nuovamente lucido. Se pensavo di essermi liberato del fardello del senso di colpa, mi sbagliavo: è appena tornato a schiacciarmi l'anima sotto il suo peso distruttore. Condannarmi per la scomparsa di Sophia è più forte di me.
«So a cosa stai pensando, Mason. Non ti dirò di smetterla di assillarti, perché è inutile: sei un tale testardo. Mi limiterò a ringraziarti.»
«Ringraziarmi?» ripeto, stranito.
«Sì. Ti ringrazio per non avermi lasciata nemmeno per un secondo, mentre...» la sua voce si fa titubante, «...mentre me ne andavo.»
«Non avrei mai potuto. Ti voglio bene, Sof.»
«Lo so, e te ne voglio anche io. Sono così contenta che ce l'abbiate fatta.»
«Beh, come si sta nel limbo?» cambio argomento.
Mossa sbagliata.
Lo sguardo di Sophia di accende di vivacità e inizia a sparare affermazioni a raffica. «Non è così male, sai? Credevo che gli dèi mi avessero spedita all'inferno, e invece eccomi qui, in paradiso! O, meglio, in questa sottospecie di paradiso. Comunque, è davvero un bel posto. È immerso nella natura e non scende mai la notte. Meglio così, perché detesto il buio. Credo di aver sempre avuto una vera e propria fobia per l'oscurità, ma questo è un altro discorso. Stavo dicendo: il limbo non è niente male. C'è tutta quell'erba, e quel lago. Non avevo idea che fosse un mezzo di comunicazione con il nostro mondo. Anzi, con il vostro. Io non ne faccio più parte, ormai. Tornando al limbo, mi trovo meglio del previsto, anche se mi sento terribilmente sola. In genere preferisco la tranquillità, ma mi manca la confusione. Specialmente il chiasso di New York. Beh, se devo trascorrere il resto della mia vita ultraterrena in qualche posto, sono contenta che sia questo, e...»
Sophia continua a spiattellare pensieri e considerazioni senza sosta, saltando da un argomento all'altro. Mentre conversa con se stessa, i lineamenti del suo volto si piegano in una serie di smorfie, e non riesco a trattenere un risolino.
Mi era mancata, la sua loquacità. Ha sempre avuto il dono di inserire in un discorso un numero sproporzionato di frasi, e questa sua capacità fuori dal comune, per quanto possa risultare irritante, mi fa ridacchiare di cuore.
La Guerriera arresta il flusso di coscienza quando il suo corpo inizia a sbiadire. Abbassa lo sguardo d'oro sulla sua figura, che si sfoca velocemente, per poi rialzarlo su di me.
«Oh, cavolo, ho di nuovo straparlato?» mi domanda, affranta e imbarazzata.
«Sì» rispondo, ridendo.
«Accidenti» impreca, spostandosi i ricci scuri dalla fronte.
«Non importa. Mi ha fatto piacere, starti ad ascoltare» la punzecchio ironicamente, evidenziando il fatto che sia stata l'unica dei due a parlare.
«Bravo, Generale, prendimi in giro» sibila, offesa.
«Adesso, posso farlo ogni volta che mi va.»
Sophia sorride, scuotendo il capo, con i riccioli che rimbalzano sulle spalle. Il guizzo dei suoi capelli inanellati e lo scintillio dei suoi occhi color miele sono l'ultima cosa che vedo di lei, prima che si dissolva.
E rimango, per la seconda volta, solo in questa stanza fatta di vetro e ricordi. Eppure, con un peso in meno. Perché ora, ne sono sicuro, quel masso di pentimento si è distrutto, e non gli permetterò di tornare a seppellirmi. Mai più.
Resto fermo a contemplare le lastre di vetro e ad assaporare il gusto della serenità, prima di uscire dalla sala degli specchi magici.
Una volta fuori, mi accorgo all'istante di Bridget. Con la schiena premuta al muro, osserva le punte dei suoi piedi, i capelli che le coprono i lati del volto come un sipario di bronzo.
Non appena sente il rumore della ponta che viene richiusa, solleva gli occhi, puntandoli nei miei. Mi accenna un sorriso. Però, quando nota il mio sguardo, ancora lucido e arrossato dal pianto recente, tende le labbra in un cipiglio preoccupato.
«Com'è andata?» mi chiede, senza staccare la schiena dalla parete.
Invece di fornirle una risposta a parole, mi scappa un ampio sorriso. Il mio gesto sembra tranquillizzarla: lo ricambia e si avvicina a me. Mi arriva di fronte e poso le mie mani sulle sue guance, chinandomi sul suo viso.
«È il regalo più bello che potessi farmi» bisbiglio sulle sue labbra, allacciando le mie iridi piene di gratitudine alle sue.
Bacio Bree e sento che, dopo anni interi, ogni cosa è finalmente tornata al proprio posto.
Spazio Autrice
Readers, sono tornata! Rieccoci qui, da Bree e Mason 💓💓 Perdonatemi il ritardo 🙈🙈
Allora, ve lo aspettavate così, l'ultimo capitolo? Bree ha avuto il suo lieto fine e si è liberata dei suoi demoni, ma Mason aveva ancora una questione irrisolta: la sua famiglia. Grazie a Bridget, riesce a contattare i genitori e Piper e a parlare di nuovo con loro dopo anni. Vi è piaciuto questo commovente incontro? Credo che una riunone tra gli Evans sia il modo migliore per concludere la storia, prima dell'epilogo.
Mason decide di chiamare anche Sophia. Vi ricordate ancora di lei? Era il Capitano dell'Esercito ed è morta subito dopo l'arrivo ad Arcandida, lasciando in Mason un grande senso di colpa. Finalmente, in questo capitolo, riesce a liberarsene.
Beh, era ora che avesse anche lui un po' di felicità.
Il prossimo passo è l'epilogo. Sono emozionatissima e non vedo l'ora di mostrarvi la conclusione di questa lunga e intensa avventura, anche se i nostri Guerrieri mi mancheranno da morire💔💔
⚠️⚠️⚠️ Attenzione: non vi prometto che uscirà puntualmente venerdì, dato che voglio prendermi tempo per scriverlo al meglio. Non preoccupatevi, però, entro il fine settimana lo avrete!
Vi auguro la buonanotte!
Xoxo⚜
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top