78. Limbo e Inferno

Bridget

Un fascio di luce bollente mi accarezza la pelle, spingendomi ad aprire gli occhi. Batto ripetutamente le ciglia, per abituarmi ai raggi solari che mi baciano il corpo.

Degli steli morbidi e profumati mi solleticano l'epidermide e le narici. Rendendomi conto di essere sdraiata su un prato, mi metto a sedere.

Mi guardo intorno, disorientata. Mi trovo su una distesa verde e brillante, una radura soleggiata e illuminata, dove sorge un lago dalle acque limpide. A circondarmi, erba e alberi rigogliosi.

Sfioro il torace, scoprendo che la ferita che mi ha inflitto Seth si è rimarginata. Anche il sangue secco sulla divisa è sparito. Mi sento stranamente bene; non percepisco più il veleno circolare nelle vene e intossicarmi le viscere.

Tuttavia, una pesante sensazione di stanchezza mi aggrava sulle spalle. Ho l'impressione di aver dormito profondamente per ore.

Mi alzo, barcollando sulle mie gambe instabili. Riacquistato l'equilibrio, analizzo l'ambiente, provando a identificarlo. È troppo caldo e luminoso, per appartenere ad Antylia, e la natura incontaminata che domina esclude anche l'opzione di New York.

All'improvviso, due figure che camminano nella mia direzione si stagliano sull'orizzonte soleggiato. La luce dorata le investe, impedendomi di indentificarle, finché non mi sono davanti.

Le iridi bicolore e brillanti di mia madre mi scrutano. Al suo fianco, Den, con gli occhi azzurri scintillanti come le acque placide del lago.

Selene si avvicina a me. Spalanca le braccia e non esito neanche per un istante: mi tuffo nella sua stretta materna e calorosa. Mi circonda affettuosamente; i suoi capelli ricci, della stessa tonalità ramata dei miei, mi pizzicano il volto, mentre le sue mani mi accarezzano la nuca.

Mi godo la pace interiore che provo stando tra le sue braccia, chiudendo gli occhi. È la prima volta che la mia pelle entra a contatto con la sua, ed è da tempo che non mi sento così protetta, così al sicuro, stretta a qualcuno.

«Cosa ci faccio qui?» le domando, staccandomi dall'abbraccio. «Che posto è?»

«Sei nel limbo, tesoro. Sei svenuta dopo che Seth ti ha ferita» mi risponde in tono soave.

Porto le mani al petto, ricordando che il veleno iniettato da mio padre stava per uccidermi. Forse, l'ha fatto.

«Sto morendo, mamma?» chiedo, deglutendo un nodo di spavento alla gola.

«No, Bridget. Non morirai.»

«Riuscirai a svegliarti» aggiunge Den.

Sposto l'attenzione dalla donna a lui e, presa da un impulso irrefrenabile, mi rifugio tra le sue braccia. Den mi accoglie in una stretta confortante, che ci lega indissolubilmente. L'ex-sovrano di Arcandida mi liscia i capelli, stampandomi un bacio sulla testa.

«Sono orgoglioso di te» sussurra al mio orecchio, commosso e fiero.

Quelle parole bastano a farmi sorridere. Mi rendono felice, soddisfatta di me stessa.

«Lo siamo entrambi» precisa Selene, unendosi all'abbraccio.

Percepisco lacrime di gioia inumidirmi gli occhi, mentre i miei genitori mi circondano, schiacciandomi tra i loro corpi. Mi mancava questo senso di appartenenza. Mi mancava avere una famiglia.

«Ho vinto» farnetico quando ci separiamo, la voce rotta dall'euforia. «Io e Ryan abbiamo vinto.»

«Sì, avete vinto» ripete mia madre, ridacchiando genuinamente per il mio entusiasmo.

«Avete salvato i Guerrieri» proclama Den. «Adesso, non vi resta che diventare le loro guide.»

«Vorrei tanto vedervi regnare» asserisce malinconicamente Selene.

Il pensiero dell'imminente incoronazione mi coglie impreparata. Il panico mi invade, facendomi sgranare gli occhi e perdere la precedenza contentezza.

«Non ci riuscirò mai. Non so come si fa, mamma» sbotto in preda all'agitazione.

Mia madre mi accarezza con dolcezza la guancia, sistemandomi una ciocca rossa. «Ma tu stai già regnando. L'hai sempre fatto, tesoro, anche se non te ne sei resa conto. Ogni volta che usavi il tuo coraggio per difendere gli altri, diventavi una sovrana. Non ti serve la corona, per esserlo.»

«Sarai una degna Regina per gli Arcandidi» si intromette Den, confermando le parole della sua compagna.

I due si scambiano uno sguardo breve e un sorriso appena accennato, gesti così intimi e colmi d'amore che ho paura di disturbarli, osservandoli.

«È arrivato il momento di andare, Bridget. I tuoi amici ti stanno aspettando» decreta Selene.

Abbasso gli occhi sul mio corpo, vedendolo sbiadire. Sto sfumando gradualmente.

«E voi?» domando loro, rialzando le pupille.

«Siamo destinati a vivere qui» dice Den, e scorgo una punta di amarezza nella sua espressione.

«Salutaci tuo fratello» si raccomanda mia madre.

La mia figura si fa sempre più sfocata, fino a diventare invisibile e svanire completamente. Prima di smontarmi in un vortice di cristalli, rivolgo un'ultima frase ai miei genitori.

«Mamma, papà, vi voglio bene.»

Non recepisco la loro risposta, perché vengo strappata via dal limbo. Precipito nel vuoto per alcuni secondi, poi atterro su una superficie morbida, ma invisibile. Aprendo agli occhi, mi aspetto di trovarmi al Palazzo di Ghiaccio, eppure non è così.

Sono finita in una stanza completamente nera, buia, senza un filo di luce. L'oscurità mi opprime. L'aria è fredda e striscia attraverso il tessuto dei miei indumenti.

Giro lo sguardo in ogni direzione, setacciando il luogo nero alla ricerca di uno spiraglio luminoso, che possa indicare una possibile uscita. Vedo solo fittissime tenebre.

Stavolta, però, dopo un'attenta analisi, riconosco il posto dove sono stata catapultata. Mi trovo nella mia testa. Nell'antro buio usato da Seth per comunicare con me, durante gli incubi.

Quasi come se lo avessi chiamato ad alta voce, mio padre appare, componendosi tramite un tornando di particelle scure. Quando la sua figura si staglia dinanzi ai miei occhi, scatto in posizione di difesa, fulminandolo con lo sguardo.

«Tranquilla» esordisce, le parole che rimbombano nello spazio nero e deserto, «non posso toccarti.»

Mi rilasso parzialmente, senza però abbassare la guardia. Resto all'erta, scrutandolo, aspettandomi qualsiasi mossa che abbia lo scopo di nuocermi.

Se c'è una persona che non credevo avrei rivisto, è proprio Seth. L'ho ucciso. I suoi occhi si sono spenti davanti a me. Che diamine ci fa qui? E perché ci sono anche io?

«So a cosa stai pensando: non dovrei essere morto?» intuisce le mie considerazioni frastornate. «La Spada ha distrutto ogni collegamento terreno con il mio corpo e la mia anima. Sono uno spirito vagante dell'inferno, adesso.»

«Questo è l'inferno?» gli domando, studiando le pareti buie. Quindi, non mi trovo nella mia testa. Sono all'inferno.

«Cosa ti aspettavi? Fiamme, lava e gerarchie di demoni? Non credi che una stanza nera, vuota e isolata sia decisamente peggio di qualsiasi inferno di fuoco?»

Mio malgrado, sono costretta a dargli ragione. La solitudine e una vita gelida e buia sono la punizione più spietata che possa essere inflitta.

«Perché mi hai portata qui?» indago, spazientita.

«Volevo solo dirti che d'ora in poi non avremo più contatti. Taglierò la connessione con la tua mente.»

Per un attimo, mi paralizzo, trattengo il fiato. Poi espiro, inarcando un sopracciglio. «Speri che io ti creda? Devo ricordarti che hai provato ad uccidermi, per caso?»

«Sono un giocatore onesto, Bridget. Hai vinto. È il momento di farmi da parte.»

«Ti stai arrendendo?» continuo a interrogarlo in tono scettico.

«Mi sto arrendendo» ripete.

«E cosa ci ricavi? Tu cerchi sempre qualcosa in cambio.»

Mio padre mi tende il braccio. «La tregua?»

Naturalmente, non gli stringo la mano. Sono sicura che sia un altro dei suoi trucchi per accoltellarmi di nascosto.

«Tu, il grande e spietato Seth, mi stai proponendo una tregua?» faccio con voce sarcastica, incrociando le braccia.

Ritira la mano, sospirando. «Mi hai battuto, Bridget. Verrai incoronata. Ti ho già detto che trascorrerò il resto dei miei giorni chiuso in questo posto e che ti lascerò vivere in pace. Perché dovrei mentirti?»

Seth mi allunga di nuovo il braccio, incastrando le sue iridi blu e corvine nelle mie. Leggo una sincerità vera, reale, che mi spiazza.

Non può più farmi del male.

Proprio per questo motivo, incrocio le nostre dita, sugellando la pace. Al contrario di quanto aspettassi, Seth ricambia semplicemente la presa, senza trucchi o inganni.

«Non sperare che ti abbracci» replico in tono lievemente scherzoso.

Mio padre accenna un sorrisino. «Sono pur sempre il grande e spietato Seth

Slego la mia mano dalla sua, assumendo un'espressione accorata. «E io sono tua figlia.»

«E mi hai ucciso.»

«E tu hai quasi fatto lo stesso» ribatto. «Che bella famiglia, vero?»

«La tua famiglia sono Selene e Den» mi corregge, e ho l'impressione che stia nascondendo un cipiglio addolorato.

Trattengo un "non è vero". Per quanto mi costi ammetterlo, mio padre, quello vero, si trova davanti a me. Devo accettarlo e basta.

«Questo non è più un problema, Bridget» dichiara, intercettando i miei pensieri. «Non mi vedrai mai più, dopo oggi. Desideravo semplicemente chiarire con te.»

«Come farai a vivere qui?»

«È la punizione che merito. Poi, bisogno di tempo e spazio per riflettere, e qui ne ho in abbondanza» mi informa, facendo vagare lo sguardo lungo il perimetro indefinito del luogo.

«Riflettere su cosa?»

«Su tutto ciò che ho sbagliato in passato.»

«Intendi ciò che ti ha portato a perdere?»

«No, Bridget» nega, sorprendendomi, «parlo di ciò che mi ha portato a diventare così.»

Schiudo la bocca per controbattere, ma il mio corpo inizia a dissolversi. Le gambe sbiadiscono e la sfocatura si amplia verso il resto della mia figura.

«Adesso, devi andare» ordina Seth.

Osservo per l'ultima volta mio padre, mentre svanisco. I suoi occhi non sprizzano più cattiveria. Pare essersi completamente sottomesso.

«Ti auguro di trovare una risposta alle tue riflessioni» gli dico.

«E io ti auguro di riuscire a ricostruire tutto quello che ho distrutto.»

Le sue parole mi giungono le orecchie e sono le ultime che sento da lui. In seguito, mi frantumo e vengo spazzata via dall'inferno nero.

****

Tornando alla realtà, la prima cosa che percepisco non è il suono costante degli apparecchi ospedalieri o l'odore forte di antisettico che pregna l'aria. Avverto un calore insolito.

Alzo lentamente le palpebre, stordita dall'intensa luce bianca della camera. Sento una goccia d'acqua cadermi sul viso e strisciare sulla pelle. Lacrime. Ma non appartengono a me: i miei occhi sono asciutti.

Quando la superficie su cui è posata la mia testa trema, capisco di essere appoggiata a qualcuno. Qualcuno che singhiozza e piange, con il corpo scosso che manda vibrazioni al mio e con le lacrime che finiscono sul mio volto, cascando come gocce di pioggia.

Un ciuffo di capelli castani mi solletica la fronte. Colui che mi stringe non si è ancora accorto del mio risveglio; ha la testa bassa premuta sulla mia e continua a circondarmi tra le sue braccia, lacrimando.

«Ti prego...»

La voce, distrutta dal pianto e disperata, mi arriva limpida e travolgente alle orecchie. Riconosco all'istante il timbro, anche se non sono abituata a udirlo così affranto.

Mason, incastrandomi tra le sue braccia, mormora sulla mia cute parole sconnesse e spezzate, preghiere frantumate e suppliche dolorose.

Sollevo le dita e le avvicino al suo viso, nonostante il movimento mi costi uno sforzo estremo. Gli sfioro la pelle con i polpastrelli e alza di scatto la testa, sussultando per il contatto inatteso.

I suoi occhi, gonfi e arrossati, ancora lucidi di lacrime, si spalancano, quando si abbassano e notano il mio sguardo vigile. Resta muto, con le palpebre sgranate, guardandomi come si guarderebbe un esemplare di alieno.

«Ehi» decido di parlare per prima, sorridendo piano. Il mio tono di voce è debole e il sorriso si accartoccia ben presto in una smorfia di fastidio. Il mio corpo è dolorante e indolenzito, vittima delle conseguenze del veleno, e non riesco a spostare nemmeno i muscoli facciali.

Mason ha ancora l'espressione stralunata e sbigottita. Sembra che, per lui, il tempo si sia arrestato.

«Cosa è successo, mentre dormivo?» gli domando, senza staccare la testa dal suo petto. Le sue dita non si sono sgrovigliate dai capelli sulla mia nuca.

Non risponde nemmeno adesso. Resta in silenzio per qualche altro lungo secondo, per poi rantolare un paio di sillabe crepate dal recente pianto e dalla sorpresa. «Sei viva.»

È un'affermazione sconvolta, che mi fa ridacchiare. «Sì, sono viva» ripeto, divertita dalla sua espressione di immenso stupore.

«Dio» esclama, snodando le dita dai miei capelli, per incastrare entrambe le mani nelle sue ciocche scure, «ti sei svegliata.»

Annuisco, sorridendogli con dolcezza. «Te l'avevo promesso, ricordi?»

Mason china il viso sul mio e incastra le nostre labbra. Mi bacia delicatamente, pianissimo, per non procurarmi dolore, e gliene sono grata.

Mi libera dalla sua stretta, sdraiandosi al mio fianco sul letto bianco. Posa la testa sul cuscino, sfiorandomi la fronte con la sua. Siamo faccia a faccia, separati da pochi centimetri.

Colloco i palmi sul suo volto e cancello con i pollici i residui di lacrime che gli imbrattano la pelle. Lui mi circonda i polsi e stringe forte le mie mani. Installa i suoi occhi scuri, umidi e ancora esterrefatti nei miei.

«Avevo paura che...» prova a dire, ma la voce gli si spezza e serra la presa sulle mie dita.

«Non dirlo» sussurro, togliendo le mie mani dalle sue per intrecciarle tra i suoi capelli. Gli sposto il ciuffo dagli occhi, accarezzandogli la fronte. «Sono qui, Mason, e nessuno mi porterà via da te.»

«Allora, è tutto finito?» bisbiglia, con il sollievo nello sguardo.

«Sì» confermo, «è tutto finito.»

Sposta la testa sul cuscino, avvicinando i nostri visi. «Ce l'hai fatta» mormora sulle mie labbra.

«Ce l'abbiamo fatta» lo correggo. «Tutti noi.»

****

«Rossa, sei tornata tra noi!»

Carter entra nella mia stanza, accompagnato da un'aura di allegria e gioia. Dietro di lui, gli altri ragazzi. La camera si riempie di calore e affetto, che riescono a farmi stare un po' meglio.

Il Guerriero dagli occhi verdi si siede sul mio letto. Adesso che Robert ha staccato quei macchinari dal suono irritante, mi sento decisamente più libera. Ha detto che sono fuori pericolo e, sebbene senta ancora il mio corpo a pezzi, il dolore è più sopportabile di prima.

Il dottore era sconcertato, quando mi ha vista cosciente. Ha detto che è stato un vero e proprio miracolo, e sono certa che gli artefici siano Den e Selene. Mi hanno salvato la vita.

«Come va?» mi chiede Carter.

«Ho passato di peggio.»

«Fingerò di crederti» annuncia, scompigliandomi dolcemente i capelli.

Alexandra, che assiste alla scena in silenzio, non si trattene più ed esplode in lacrime, buttandosi tra le mie braccia. Mi stringe fortissimo e piange rumorosamente.

«Non provare mai più a farti uccidere!» sbraita in modo isterico.

L'intensità con la quale mi circonda mi procura fitte in tutto il corpo, ma le ignoro, perché la felicità che provo nell'averla vicino a me è più grande del resto. Ricambio la stretta e le accarezzo la chioma dorata.

«Mi dispiace, Alex» le mormoro all'orecchio.

La mia migliore amica scuote la testa, sprigionandomi dalla sua presa soffocante. «L'importante è che tu stia bene.»

Sorrido piano ad Alex, che si alza dal letto per fare spazio a Ryan. Le iridi di mio fratello sembrano che vogliano comunicarmi tanto, però non apre la bocca.

Si accosta a me e stampa le sue labbra sulla mia fronte. Quando si allontana, le scaglie d'oro del suo sguardo si insinuano tra le mie.

"Ti voglio bene" gli dico mentalmente.

"Anche io, sorellina" risponde, sorridendomi con lacrime gioiose agli angoli delle palpebre.

I ragazzi si riuniscono intorno al letto, prendendo alcune sedie. Ryan rimane sul lato sinistro materasso, mentre dalla parte opposta c'è Mason, che mi circonda la vita, rifiutandosi di lasciarmi.

«Allora?» fa Carter, con le gambe tra lo schienale della sedia e il mento appoggiato sul bordo di esso, «come festeggiamo?»

Lo guardo accigliata. «Non so se te ne sei reso conto, ma sono bloccata a letto.»

«Io proporrei una bella dormita» si intromette Emily, senza contenere uno sbadiglio.

Tiro un'occhiata all'orologio a lancette appeso alla parete. Sono le quattro di mattina inoltrate. Tra poco sorgerà il sole.

«Ci sto» concordo con lei. Anche se ho trascorso ore intere immersa in un sonno profondo, sento la stanchezza pesarmi sulle spalle.

«C'è una spa, ad Arcandida?» domanda Tiffany. «Sarebbe la ricompensa ideale.»

I presenti le tirano un'occhiata interdetta, tranne Ryan, che ruota lo sguardo in maniera scocciata. Ci è abituato, a quanto pare.

«Cosa volete? Ho un disperato bisogno di relax» si giustifica la ragazza bionda.

L'affermazione di Tiffany scatena un'accesa discussione tra il gruppo. Le voci dei miei amici si sovrappongono, mentre discutono il modo di festeggiare la vittoria.

Li osservo dal mio letto, sorridendo per la scena. Finalmente, la mia mente è leggera, privata di quel peso che mi sottraeva la serenità da mesi. Finalmente, sono di nuovo padrona di me stessa. Finalmente, riesco a godermi la felicità.

Ce l'abbiamo fatta, penso, guardando i miei compagni d'avventura. Abbiamo vinto noi.

Spazio Autrice

A quanto pare le gioie esistono anche per Bree! E, vi sembrerà assurdo, ma stavolta dureranno. Mi mancherà torturarla, ma in fondo le voglio bene e si merita un po' di pace.

Dopo un incontro con Selene e Den (che la aiutano a risvegliarsi), Bridget trova Seth nell'inferno. Suo padre sembra definitivamente essersi arreso, e infatti le propone una tregua. Bree accetta e Seth si dimostra davvero disposto a lasciarla libera.

Lei e Mason si ritrovano, il gruppo si riunisce e, finalmente, tutti possono tirare un sospiro di sollievo. Era anche ora, non credete? I nostri Guerrieri hanno vinto e possono tornare alla serenità.

Mancano soltanto due capitoli, poi ci sarà l'epilogo! Pronti? A martedì, readers❤

Xoxo 🦔

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