77. Promessa Infranta

Mason

La falce del demone della notte mi sfiora la pelle, quando diventa un mucchio di cenere grigiastra. La creatura si sbriciola insieme alla sua arma, investita da un raggio di luna.

Confuso dall'improvvisa sparizione dell'Ombra, guardo il punto in cui si trovava, notando la chioma di un abete piegata di lato, per lasciar filtrare la luce argentea. E i poteri che hanno inclinato il fogliame appartengono alla Guerriera bionda che mi osserva con un sorrisetto.

Tiffany sistema il manto dell'albero nella sua posizione originale, tappando lo spiraglio di luce lunare. Mi accorgo, con abbastanza sorpresa, che indossa la divisa dei soldati, composta dai pantaloni bianchi e dalla giacca azzurra. È la prima volta che non la vedo indossare la sua fidata minigonna.

Mi raggiunge, tendendomi una mano. Rifiuto l'aiuto che mi offre e mi alzo da solo, con non poca fatica. Sento il corpo stropicciato come una pallina di carta.

«Stai bene?» mi domanda con premura, appoggiandomi le dita su una spalla.

«Sopravvivrò» mi limito a rispondere. «Dobbiamo tornare dagli altri, adesso.»

Tiffany non ribatte e mi segue, mantenendo il passo con la mia andatura lenta e zoppicante. Ogni movimento dei piedi mi costa una fatica immensa, ma cerco di accantonare il dolore e di pormi come obiettivo principale quello di arrivare alla radura e di salvare gli altri Guerrieri.

Percorriamo un buon tratto in mezzo alle conifere; in lontananza si avvistano le guglie del Tempio degli Dèi. Scorgo l'uscita della foresta, non molto distante.

Noto di striscio anche uno scintillio tra gli aghi degli abeti. Mi volto e Tiffany fa lo stesso, catturata dal brillio. Non ci vuole tanto tempo per individuarne la fonte, ma sicuramente ci coglie alla sprovvista: la lama di una falce vola come un boomerang nella nostra direzione.

Tiffany, agendo prontamente, mi spintona lontano e per poco non cado. Sto per inveirle contro, nel momento in cui vedo la punta dell'arma piantarsi nel suo corpo. E mi rendo conto che mi ha salvato. Per la seconda volta.

La Guerriera dai capelli biondi si accascia sulla neve, con la falce che le trapassa la pelle, trasmettendole il ricordo più brutto che custodisce nella mente. I suoi occhi castano-verdi si colmano di lacrime e stringe il terreno nevoso tra le dita, l'espressione distrutta e furibonda.

Capendo a quale scena stia assistendo, intervengo e ottengo il controllo della falce con i miei poteri. Sollevo lo strumento e lo scaravento contro il demone della notte che si gode lo spettacolo, immerso tra la fitta vegetazione della foresta.

L'essere viene frantumato in miliardi di cristalli, esplodendo in una nube scura e polverosa. Mi dirigo da Tiffany, inginocchiandomi al suo fianco. Trema e ha lo sguardo sconvolto. Accorgendosi della mia vicinanza, si ricompone in fretta e in furia, asciugando con gesti nervosi le lacrime incrostate sulle guance.

«Sto... sto bene» borbotta in tono duro, mettendosi in piedi.

Scrolla i pantaloni della divisa e si incammina verso l'uscita della foresta. La seguo, piazzandomi alla sua destra. Avanza con i pugni serrati e l'espressione rigida, fissa davanti a sé.

«Hai visto Chris, vero?» indago, senza curarmi della delicatezza.

Noto che fa di tutto per trattenere un pianto isterico. «Sì» annuisce recisamente. Nonostante gli sforzi, la sua voce suona frantumata. «E tu hai visto la tua famiglia, vero?»

«Sì» confermo, imitando il suo tono falsamente freddo. «È stato come rivivere tutto. Ha fatto malissimo.»

«Quella notte ci tormenterà in eterno» sibila, affranta.

Vorrei dirle che ha ragione, che quella sera è la protagonista dei miei incubi, dei miei peggior pensieri, dei miei ricordi più brutti. Vorrei dirle che ogni volta che ci penso una parte di me si crepa, che in quel vicolo ho perso tutto. Vorrei dirle che darei oro, argento e diamanti, per poter parlare almeno un'altra volta con loro.

Vorrei esternare ogni riflessione che mi ottura, ma un fragoroso boato smorza il mio discorso sul nascere. Sullo sfondo della foresta, parzialmente coperta dalle chiome degli abeti, una delle guglie del Tempio precipita. La torre dalla punta rossastra crolla come un castello di sabbia sotto un'onda marina. I mattoni e le travi di ferro cadono, finendo dentro la cattedrale, mentre al posto del pezzo demolito si forma una nuvola di polvere.

Io e Tiffany rimaniamo paralizzati ed esterrefatti, in mezzo alla foresta. E non so chi di noi due se ne ricorda per primo, eppure quel pensiero mi varca la mente con la potenza di un fulmine.

Bridget.

Poi, il mio corpo agisce da solo: il dolore fisico viene calpestato dalla preoccupazione, dal terrore che sia successo qualcosa, e corro in direzione del Tempio. Sfreccio tra gli alberi, scostando i rami che mi ostacolano. Sento Tiffany avanzare alle mie spalle. Probabilmente, ha rammentato la presenza di Ryan nella cattedrale crollata.

Giungo al limitare della foresta. Nella radura, ogni Guerriero è diventato una statua, rapito dalla guglia distrutta. Persino i demoni della notte sembrano, per un attimo, bloccarsi.

Mi fiondo all'ingresso del Tempio, con Tiffany alle calcagna. Armeggio con le maniglie dei battenti decorati, ma non si aprono. Batto le mani sulla porta blindata, emettendo un ringhio frustrato, con l'ansia che inizia a consumarmi.

«Dannazione» sbotta Tiffany, tirando una manata al battente, che non dà segni di cedimento. «Come...»

Le sue parole sono mangiate da un'improvvisa folata magica. La raffica di energia, proveniente dal Tempio, spalanca i battenti e ci spinge indietro. Io e Tiffany veniamo gettati sulla neve fresca, a qualche passo di distanza dall'ingresso della cattedrale.

Dopo, silenzio. Quiete profonda. Ma la cosa più strana si trova nell'atmosfera: l'aura delle Ombre è completamente sparita.

«Dove sono finite?» domanda Tiffany, a occhi sgranati, guardando alle nostre spalle.

Credendo che si riferisca all'aura maligna dei demoni, mi volto, però ciò che trovo è ancora più spiazzante. Sul suolo candido della radura sono sparsi mucchi di cenere grigiastra, da cui si levano colonne di fumo nero-argenteo.

I demoni si sono disintegrati. Tutti.

Nell'oscurità non brilla più l'inquietante luccichio delle lame delle loro falci e delle armature; le fiamme azzurre che scagliavano si sono spente, così come i loro occhi di diamante.

«Ce l'hanno fatta.»

Mi giro nella direzione da cui proviene la voce, che scopro appartenere a Mark. Il direttore scruta l'ambiente, ora pulito, con le sue iridi gelide. Anche lui indossa la divisa dell'Esercito, strappata in alcuni punti e sporca di sangue. Ha un profondo taglio sul braccio, segno che è stato trafitto da una falce.

Non l'ho mai visto così scomposto. Immagino che i demoni gli abbiano mostrato il ricordo della morte di sua moglie.

Distolgo l'attenzione dal direttore ed espiro ogni grammo di agitazione che mi ha accompagnato finora. Bree ce l'ha fatta.

Noto Tiffany balzare in piedi e correre verso l'entrata del Tempio. Sulla soglia della cattedrale c'è Ryan. La Guerriera si ferma dinanzi al ragazzo, per poi buttargli le braccia al collo e stringerlo.

Ryan, però, non ricambia.

Stacca Tiffany dal proprio corpo, con una freddezza disarmante nei movimenti. Stranito dalla situazione, mi alzo dal suolo nevoso e li raggiungo, seguito da Mark.

«Che succede?» domanda Tiffany, l'espressione confusa e lievemente ferita dall'atteggiamento scostante del Principe.

«Bridget?» interrogo Ryan, non vedendo sua sorella.

Lui resta in silenzio. Negli occhi dorati sembra imperversare una tempesta di disperazione. Ha l'aria trafelata e sconvolta. E la paura non può fare a meno di strisciarmi nel corpo, sussurrandomi all'orecchio le peggiori ipotesi sulla mancanza di Bridget.

Non aspetto le spiegazioni di Ryan: mi precipito oltre la soglia del Tempio. La cattedrale è immersa nella penombra, troncata solo da docili fiamme di luce calda. Sull'altare sono ammonticchiati ferrami e pezzi rotti, in corrispondenza al punto da cui è caduta la guglia.

Mi immobilizzo, accorgendomi del corpo esanime abbandonato sul cumulo di detriti. Il cadavere, riverso sul tappeto di macerie, con una ferita all'altezza del cuore, appartiene a Seth.

Lo studio, mantenendo però una certa distanza. Non riesco ad analizzare le emozioni che questa immagine suscita in me. Ribrezzo, brividi freddi, ma anche un calore inquietante e un sentimento che scavalca gli altri, abbracciandomi in una stretta confortante.

Sollievo. Perché, dopo anni di morte e disperazione, è tutto finito.

Percepisco una presenza alle mie spalle. Mi volto, scontrandomi con gli occhi di ghiaccio del direttore. Mark non ricambia lo sguardo; scruta intensamente il cadavere del suo acerrimo nemico. Mi sorpassa, salendo sull'altare e chinandosi sul corpo.

Tiene un palmo sospeso sul volto di Seth, mormorando qualche parola sottovoce. Poi, come un incantesimo di purificazione, delle saette bianche avvolgono il cadavere in un bozzolo candido e luminoso. Quando la luce si spegne, di Seth non rimane altro che cenere nera e fumo.

Il direttore prende una scatolina di legno, che in precedenza non avevo notato. Alza il coperchio e la polvere scura vola in autonomia all'interno del contenitore, depositandosi sul fondo dello scrigno intarsiato d'argento e pietre preziose.

«Seth non sarà più un problema, d'ora in poi» dichiara, chiudendo la scatola con una mossa secca e liberatoria.

Sorrido istintivamente, sentendomi leggero come non mai. Ma la spensieratezza si dissolve quando vedo Mark impallidire, mentre fissa un punto nella parte destra dell'altare, a ridosso della parete.

Seguo la direzione del suo sguardo e il macigno del terrore torna a schiacciarmi l'anima. Stavolta, però, mi trascina a fondo, annegandomi in un mare di preoccupazione, da cui è impossibile riemergere.

Raggiungo in falcate veloci e spaventate Bridget. Il suo corpo è steso di fianco, sul marmo dell'altare, le palpebre abbassate e i capelli color rame sparsi sul pavimento bianco e liscio.

Mi inginocchio davanti a lei. Sgrano gli occhi, notando delle venature nere che le percorrono il collo e i dorsi delle mani. Sollevo la manica della giacca dell'uniforme, scoprendo altre ramificazioni scure attorcigliate sul braccio. Le linee corvine risaltano sulla carnagione pericolosamente pallida.

Del sangue, proveniente da una ferita sul petto, sporca la divisa. Il liquido denso e rosso è macchiato di nero.

«Seth l'ha avvelenata.»

Mi giro, colto alla sprovvista dalla voce di Ryan. L'apprensione gli ha scavato fosse sul viso.

Guardo nuovamente Bridget, che respira così piano da non riuscire a sentirla.

Avvelenata.

Quel macigno mi spinge sempre più in basso, intanto che la osservo, priva di forze e coperta di ramificazioni nere sotto la pelle.

«Dobbiamo portarla al Palazzo» suggerisce Mark, che si è avvicinato, con la scatola di legno decorata ancora tra le mani.

Il direttore appoggia il palmo sulla parete e crea un varco magico, attraverso scintille fulminanti che cozzano sul muro, raggruppandosi in un vortice spaziale.

Senza farmi ripetere il comando, prendo Bridget tra le mie braccia, posandole una mano dietro la schiena e una dietro le ginocchia. La alzo dal pavimento e stringo il suo corpo incosciente. La sua testa scivola sulla mia spalla; il suo respiro, debolissimo, mi lambisce la pelle del collo.

Attraverso il portale, tenendola ancorata a me. Ryan mi segue; Mark, invece, rimane sull'altare.

Le correnti magiche all'interno del varco ci colpiscono come fruste. Un millesimo di secondo dopo, sbuchiamo dalla parte opposta, scossi dal viaggio interspaziale.

Il portale viene chiuso. Facendo una rapida perlustrazione visiva dell'ambiente, riconosco l'ala ovest del castello, al piano terreno, dove è stata allestita un'infermeria provvisoria.

Ryan mi precede e bussa alla porta di legno dell'ambulatorio di Robert. Batte con violenza le nocche, scandendo in colpi duri sul battente l'ansia che lo attanaglia.

La porta si schiude, rivelando il medico di corte, nel suo camice bianco. Fa balzare il suo sguardo di cioccolato da me al Principe, fino ad arrivare a Bridget, tra le mie braccia, svenuta.

Non attendo neanche il permesso del dottore: lo scanso e spalanco la porta, irrompendo nell'infermeria. Una scrivania, un lettino e una parete di scaffali arredano la stanzetta. Sulla sinistra, si apre un corridoio tappezzato di porte, probabilmente le entrate delle camere di ricovero dei singoli pazienti.

Vado verso il lettino, al centro del locale, e poso con delicatezza il corpo di Bridget sul materasso. Le scosto una ciocca di capelli dal viso, guardando con una fitta al cuore i suoi lineamenti cerei e assenti.

Robert si accosta al lettino e osserva la ferita della ragazza. Il suo sguardo è austero e impassibile, tipico di un dottore concentrato soltanto sul proprio paziente.

«Aspettatemi fuori» ordina a me e a Ryan, indossando un paio di guanti di lattice.

«Scordatelo, Robert» protesto, stringendo le dita gelide di Bridget tra le mie. «Non la lascio per nessuno motivo al mondo.»

Il medico mi rivolge un'occhiata compassionevole, che mi fa bruciare di rabbia. «Farò il possibile, Mason, ma ho bisogno che voi usciate.»

Ryan interviene, appoggiandomi una mano sulla spalla. «Andiamo» mi invita con un filo di voce stanco. Le sue iridi sono il ritratto dell'afflizione.

Il Principe mi trascina fuori. Le mie dita si staccano da quelle di Bridget e una mitragliatrice di disperazione mi buca l'anima, ripetutamente, ferocemente.

Lasciamo l'infermeria. Ryan chiude il battente. Mi ci scaglio sopra, tirando colpi e manate, in preda a una furia che mi lucida lo sguardo. Smetto solo quando i palmi cominciano a pizzicare.

Poi, premo la schiena contro la parete e scivolo lungo il muro, fino a sedermi in terra. Con gli occhi puntati al soffitto e un nodo allo stomaco, attendo che quella maledettissima porta si apra.

****

Passano ore, ma l'ingresso dell'infermeria resta chiuso.

Stiracchio l'orlo della giacca tra le dita, provando a scaricare lo stress, per poi ravviare i capelli e strattonarli, non riuscendo a placare i tremori nervosi delle mie mani.

Tentando di distrarmi, faccio scorrere lo sguardo sulle due file di sedie di plastica poste lungo la parete, occupate dai miei amici. Emily e Carter sono seduti dal lato opposto alla porta, di fronte a me. La Guerriera dagli occhi blu è appoggiata al suo ragazzo, il quale ha il viso piegato in una smorfia preoccupata.

Tiffany e Ryan sono seduti un paio di sedie accanto. Il Principe ha il volto affondato nei palmi e la testa china. Tiffany cerca di confortarlo accarezzandogli la schiena, ma non riesce ad alleviare il dolore interno del suo compagno.

Dalla parte opposta del corridoio ci siamo io e Alexandra. La Guerriera è seduta alla destra della porta e stringe le nocche, mordendosi le labbra e picchiettando le suole al pavimento, chiari segni di agitazione. Io, invece, mi trovo alla destra del battente, a gambe incrociate sul pavimento. Tendo l'orecchio e lo avvicino alla porta, aspettando di cogliere rumori o segnali di qualsiasi genere.

Siamo tutti riuniti in questo minuscolo corridoio, consumati dal timore, in fremente attesa. Il resto degli Arcandidi sta festeggiando la vittoria. Mark ha dato la notizia della sconfitta di Seth e le strade del regno brillano di gioia e contentezza. Il direttore ha omesso che la loro Principessa è a rischio di vita, forse per non dare ulteriore peso.

Nessuno di noi ha la forza di unirsi ai festeggiamenti. Non possiamo, non ci riusciamo, non finché Bridget è sul ciglio della morte.

La paura mi lega le viscere, mi aumenta il battito cardiaco, mi rende impossibile stare fermo e rilassarmi. È prepotente e mi smembra, disseminandosi nel mio corpo come farebbe un parassita.

Durante questo infinito arco di tempo ho riflettuto sulle peggiori ipotesi. È tutto un "se", frasi tagliate che non ho il coraggio di terminare.

Se Bree non dovesse farcela...

Se i suoi occhi non si dovessero aprire più...

Se Robert non dovesse riuscire a salvarla...

Scaccio questi pensieri, scuotendo la testa. Non accadrà. Non è possibile che accada. Non posso perderla. Non anche lei. Non riuscirei a sopportare l'ennesima sparizione. Non la sua.

A mutilare quel groviglio di riflessioni sconnesse e negative è la porta dell'infermeria che si apre di colpo. Salto all'in piedi e gli altri alzano lo sguardo, scattando sull'attenti.

Robert esce, senza richiudere il battente. Non gli do neanche il tempo di formulare una frase compiuta: lo travolgo con le mie parole accalcate e turbate.

«Come sta?»

Il medico mi rivolge una lunga occhiata silenziosa. Non sono in grado di decifrare la sua espressione.

«Sedetevi» dice. «Non ho buone notizie.»

Gli altri, composti sulle proprie sedie, lo guardano in trepidazione. Io rimango alzato, davanti al suo sguardo scuro.

«Che significa?!» sbraito, sentendo la rabbia farsi largo in me.

Robert spiega. Lo ascolto attentamente, eppure sono sicuro di aver udito male, quando conclude il discorso.

«Il veleno è stato più veloce di quanto pensassi. Sono riuscito a rimuoverlo del tutto, ma era già troppo tardi. Bridget è ancora incosciente. Non so quando e, soprattutto, se si sveglierà.»

Il dottore parla, parla e parla, tuttavia non sento più niente. Non capisco più niente, non afferro più nessuna frase. Vengo sbattuto in una dimensione parallela, fatta di vuoto, di un immenso buco nero che risucchia ogni cosa lo circondi.

Poi, mi rendo conto che il buco nero non si trova in una galassia alternativa. Si trova dentro me.

Il mondo di crolla addosso. No, non il mondo. Il sistema solare, l'universo.

Quel buco nero divora ogni cosa, mi spezza l'anima e mi trascina in un abisso di dolore infinito.

Alexandra scoppia in lacrime. È la prima a crollare: i suoi singhiozzi rimbombano nel corridoio deserto e le lacrime le rigano le guance. Ryan guarda il pavimento, con gli occhi bagnati e i pugni serrati. Carter ed Emily, così come Tiffany, hanno gli sguardi spalancati di sconvolgimento.

Sto per cedere, non resisto più, il mio corpo non regge.

"«Era già troppo tardi.»"

"«Non so quando e, soprattutto, se si sveglierà.»"

Queste parole mi massacrano la mente.

«Mason?»

All'improvviso, vengo buttato fuori dalla dimensione parallela. La chiamata di Robert mi riporta alla realtà. Il dottore mi guarda, preoccupato. Ricambio l'occhiata, disorientato dal brusco risveglio.

Per lunghi secondi non trovo la forza di esprimermi. Mi manca la voce. Poi, non so in che modo, aggancio insieme un paio di sillabe tremanti. «Posso vederla?»

Robert sposta le pupille su un punto dietro di me. Mi giro e c'è Ryan, che alza la testa, sentendosi osservato.

«Per favore, Ryan» lo imploro, farfugliando in tono rotto.

Non me ne importa di risultare egoista. Ho bisogno di andare da lei. Rischio di collassare su me stesso, altrimenti.

Il Principe si limita ad annuire, acconsentendo. Ha lo sguardo buio e vitreo, consumato dalle stesse emozioni che governano il mio.

Mi precipito all'interno dell'infermeria. Robert entra con me, chiudendo la porta e affiancandomi. Il lettino dove ho lasciato Bridget è vuoto.

«Si trova nella prima stanza» mi informa, additando la porta che capitana la fila di battenti.

Lo ringrazio e raggiungo l'ingresso della stanza. Inspiro ed espiro profondamente, impugnando la maniglia. In seguito, apro la porta e metto piede nella camera ospedaliera.

Il suono ritmato e robotico dei macchinari mi accoglie. Richiudo la porta. Resto impalato davanti essa, fissando i fili e i marchingegni a cui è collegata Bridget.

È sdraiata su un letto, con aghi e cavi infilati nella pelle. Un monitor mostra le sue funzioni vitali e, anche se non me ne intendo di medicina, capisco che sono basse.

Mi avvicino lentamente al letto. L'incarnato di Bridget è ancora spaventosamente chiaro, ma le vene hanno perso il colore nero. Le linee scure sono sbiadite, quasi invisibili.

Mi sento morire. È come se mi avessero strappato il cuore dal petto. Guardo la mia ragazza, l'unica cosa bella che mi sia rimasta, appesa a un sottilissimo filo, e precipito di nuovo una voragine interna.

Mi siedo sul materasso, vicino al cuscino, dove sono sparpagliate le ciocche ondulate e rosse. Facendo attenzione a evitare i cavi dei macchinari, le sollevo la nuca e appoggio la sua testa sul mio petto.

Schiaccio le mie labbra sul suo capo, senza staccarle. Serro le palpebre, frenando le lacrime in procinto di gettarsi.

«Per favore, Bree» sussurro sui suoi capelli, con la voce che si crepa. «Apri gli occhi.»

Quasi sperando che abbia udito le mie suppliche, rialzo le palpebre, ma le sue sono ancora sigillate. La stringo a me, incastrando le dita tra i suoi boccoli.

«Me l'avevi promesso» continuo a parlare da solo, il timbro che si infrange come una vetrata colpita e un respiro strozzato che mi lascia le labbra. «Me l'avevi promesso, Bridget. Avevi promesso che saresti tornata da me.»

Il tono si eleva senza che possa contenerlo, suonando indignato, e una lacrima mi scende sul viso.

«L'avevi promesso» ripeto, con altre lacrime che mi segnano il volto, atterrando sulla sua pelle.

Non mi trattengo più: lascio che le gocce cadano senza sosta, tagliandomi le guance.

«Torna da me, Bree.»

Continuo a pregarla con la voce rotta, un peso sul cuore e le lacrime che piovono dai miei occhi, premendo la sua testa sul mio petto e bisbigliandole quelle suppliche nell'orecchio.

Ma, nonostante io la stia implorando di mostrarmi le sue iridi sfumate d'oro, lei non mi sente.

Spazio Autrice

Salve lettori miei! Lo so, sono crudele, ma abbiate pazienza 🙈🙈

Quanto vi si è spezzato il cuore? A me un sacco. Povero Mason 💔💔💔 È completamente distrutto e la paura lo sta consumando. Robert dice che non sa se Bree si sveglierà e i nostri Guerrieri preferiti sono sprofondati nella disperazione più totale, specialmente Mason.

Una notizia buona, però, c'è: Seth è ufficialmente fuori dai giochi! Mentre il regno festeggia, i ragazzi aspettano in preda all'ansia che Bree dia segni di vita. Quanto dovranno aspettare, secondo voi?

Che dite, rivedremo la nostra Principessa?

Lo scoprirete venerdì! Commentate e stellinate💫💫💫

* ne approfitto per ringraziarvi delle 15k visualizzazioni su LEDT. La storia sta crescendo sempre di più ed è solo merito vostro. Vi amo da impazzire❤ *

-3 all'epilogo.

Xoxo🦘

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