75. Luce d'Argento e Cenere d'Ombra
Mason
Due giorni passano in fretta.
Il momento della battaglia giunge in poco tempo. Nel giro di quarantotto ore - volate via in due minuti - mi ritrovo a calpestare il suolo innevato della foresta di conifere, camminando sul sentiero che divide in due sezioni gli alberi.
È notte fonda: i tronchi degli abeti gettano sul terreno lunghe e affilate ombre scure, sagome nere sotto lo scintillio bianco della luna. Un alone di polvere argentea avvolge la foresta e i raggi candidi del satellite si insinuano tra le foglie aghiformi, accarezzando la neve e l'oscurità. Le stelle che trapuntano il cielo corvino brillano fiocamente, rischiarendo in parte il sentiero buio e scosceso che attraversa la foresta.
I tre Ufficiali camminano dietro di me, mentre Carter ed Emily mi affiancano, rispettivamente alla mia destra e alla mia sinistra. Poco più avanti a me, Bridget e Ryan, che seguono Mark.
Il resto dei soldati prosegue alle nostre spalle. Il brusio concitato delle loro voci frementi mi arriva alle orecchie, squarciando il silenzio notturno, fitto come la foresta che ci fa da sfondo.
Lo scintillio delle lame e delle pietre incastonate strappa le tenebre. In occasione dell'ultima battaglia, i Guerrieri hanno selezionato armi di ogni genere, prese dal magazzino del Palazzo. Quest'ultimo è fornito di qualsiasi mezzo d'attacco: da archi a spade, da spranghe a pugnali.
Abbasso lo sguardo sulla lama d'oro bianco e sul manico che stringo tra le mie dita, impreziosito da un grosso e lucido rubino. È il pugnale che veniva sempre brandito da mio padre. Appartiene agli Evans da generazioni. È l'unica arma con cui mi sento davvero in grado di fronteggiare Seth e le Ombre.
«Siete pronti?» domanda Carter, forse per tagliare il pesante silenzio che era calato. Impugna una spada dalla lama lucente e dall'elsa tempestata di zaffiri.
«Affatto» risponde Emily, sincera. Lei, invece, si è armata di una balestra di acciaio e di una faretra piena di frecce di fuoco, che le dondola dalla spalla sinistra.
«Mason?» mi interpella il mio migliore amico.
«Credo di star per svenire dalla paura» ammetto, sentendo le fibre del mio corpo rigide per la tensione.
Sono agitatissimo, come non lo sono mai stato. Il terrore di fallire è tanto, ancor più è quello di vedere altre persone a cui tengo distruggersi sotto i miei occhi. Serro la presa sul manico del pugnale, per rilasciare lo stress; il rubino che lo orna è freddo e liscio ed emana bagliori rossastri.
«Siete due codardi» giudica Carter, alzando gli occhi al cielo buio e stellato.
Le iridi blu di Emily, scure come la notte, lo fulminano. «Ma falla finita. Stamattina sei quasi scoppiato a piangere, per la paura.»
Il suo ragazzo ribatte con un'occhiataccia. Ridacchio, e neanche loro riescono a trattenere un sorriso divertito, dopo essersi scontrati con lo sguardo. L'atmosfera nervosa si alleggerisce parzialmente.
Imbocchiamo un sentiero secondario, più stretto del precedente, che si addentra nella foresta per qualche altro metro. Poi, le conifere iniziano a diradarsi, facendoci confluire in uno spazio aperto, una piccola radura innevata, simile a quella dove si trova il lago di Vann.
Al centro del cerchio bianco, però, non è collocato nessun bacino d'acqua. C'è un edificio altissimo, che svetta nello spazio, stagliandosi con imponenza nel cielo e catturando l'attenzione di tutti i presenti sulla propria struttura.
È una cattedrale in stile gotico, dalle facciate in ferro opaco e dal tetto rosso. Mark aveva detto che era crollata, ma sembra essere protetta da un'aura protettiva che la rende intoccabile e maestosa.
Il Tempio degli Dèi, con il suo splendore antico, brilla sotto la luce lunare, il ferro che scintilla pigramente e la notte che fa da scenario all'inquietante costruzione.
A intaccare l'atmosfera, già di per sé cupa, scoppi di magia nera che frizzano nell'aria. La presenza di creature oscure è forte e chiara, immediatamente percepibile.
«Tenetevi pronti ad attaccare» avverto in un sussurro i miei compagni, che si sono messi in posizione di difesa, puntando le armi verso la foresta buia.
Delle figure indistinte fanno frusciare gli aghi delle conifere; i lunghi mantelli neri che le nascondono smuovono con insolita delicatezza le chiome di smeraldo degli alberi. Le sagome sbucano dall'intreccio di foglie e tronchi e la luna, pallida come la loro carnagione, le rivela.
La prima cosa che noto non sono i loro sguardi, di un nero abissale, e neanche le loro espressioni, fredde ma assetate di sangue. No: a rapire il mio interesse sono le loro dita, che non impugnano alcuno strumento letale.
Sono completamente disarmate.
Guardiamo straniti le Ombre, così sicure e per niente intimorite dal luccichio sinistro delle nostre armi.
«Beh, sarà più facile del previsto» considera Carter.
«Non esultare troppo presto» lo ammonisce Emily.
Trascorriamo un paio di minuti a scrutarci, schierati su due fronti opposti: loro al limitare della foresta, noi davanti al Tempio. Finché, d'un tratto, le Ombre non si avvicinano tra loro, formando gruppetti di tre o quattro individui.
Accade tutto rapidamente: i loro corpi si sbriciolano in vortici di particelle nere, che vanno a unirsi. Le minuscole sfere scure si incastrano tra loro, formando diverse figure più grandi, indefinite, ancora composte di scoppi di scintille corvine. In pochi secondi le sagome enormi, alte come gli alberi della foresta, assumono una fisionomia precisa.
Non riesco a guardarmi in faccia, ma sono certo che, in questo momento, la mia espressione sia di puro terrore e sconcerto.
Le Ombre si sono fuse, dando vita a giganteschi mostri di fuliggine nera. Sono vestiti con armature d'ossidiana lucente, ricoperte di spuntoni e lame. Solo il loro volto, deforme e con due accecanti diamanti al posto degli occhi, è visibile. Dalle scapole spunta una coppia d'ali scheletriche, che emanano un'intensa luce bianco-azzurra.
E, come ciliegina sulla torta, tra le grandi mani tengono una falce dal manico di legno scuro, a strisce dorate, e dalla lama arcuata di ferro, che riflette la luce lunare. L'attrezzo è quasi più grande del corpo delle creature e ha l'aspetto di un'arma che potrebbe ucciderti con un solo tocco, per quanto è affilata e tagliente.
Sono circa una decina di mostri. I loro occhi - due globi celesti e brillanti, due punti luminosi che stonano con il volto fumoso e scuro - sono puntati su tutti noi, che li osserviamo dal basso, pietrificati dalla paura.
«C-cosa diamine sono quelli?» sbotta Carter, la voca ridotta a un bisbiglio spaventato.
«Se avessi ascoltato le lezioni di mitologia, l'avresti saputo» gli risponde Emily, sibilando, senza staccare le iridi dalle creature.
«Sono demoni della notte» rispondo al mio migliore amico.
«E questo cosa significa?»
«Che dobbiamo muoverci o ci faranno fuori.»
La mia affermazione, sebbene sia stata pronunciata sottotono e fosse rivolta a Carter, sembra risvegliare i soldati dal terrore che li aveva immobilizzati. Iniziano a sparpagliarsi per la radura, correndo da una parte all'altra, ignorando la formazione d'attacco che avevamo stabilito giorni addietro.
Anche i demoni si mettono all'opera. Ben presto, nella radura, governa il caos: le Ombre mostruose calano le loro falci e i Guerrieri si scagliano contro esse, nell'inutile tentativo di ferirle.
Un demone si avvicina a noi tre. In una mano stringe la falce, mentre nell'altra crepita una fiamma magica azzurra.
Emily è la prima ad attaccare: carica la balestra con una freccia, sulla cui punta si accende un fuocherello, e spara il dardo. Questo affonda nell'armatura dell'Ombra, e invece di danneggiarla la oltrepassa, come se avesse scalfito un mucchio d'aria.
Emily abbassa l'arma, sgranando incredula le palpebre. Carter prova a sua volta a colpire il demone; salda la presa sull'elsa della spada e parte alla carica, sollevando la lama e piantandola nella caviglia del mostro. Questo sembra appena farci caso. Con un gesto insofferente, scuote il piede e la spada balza via, atterrando qualche metro dietro di noi. Il mio migliore amico osserva la sua arma volare lontano da lui, attonito.
Decido di intervenire anche io. Prendo la mira e lancio il pugnale contro l'Ombra, che la centra con una traiettoria impeccabile. Ma il coltello oltrepassa il corpo della creatura e cade alle sue spalle, esattamente come è successo alla freccia scagliata da Emily.
«Non funziona» considera Carter, che nel frattempo ha recuperato la spada. «Le armi non lo toccano neanche.»
L'Ombra replica ai nostri attacchi tirando una fiamma di magia. Le lingue di fuoco azzurro ondeggiando tra le sue dita, per poi venire gettate su di noi. Ci spostiamo in tempo ed evitiamo la sfera infuocata, che esplode a contatto con il terreno, scavando una fossa.
Sferra colpi magici, disegnando voragini nella radura e sfiorandoci con le fiamme azzurre, di cui rimangono solo colonne di fumo celeste, una volta che si schiantano al suolo.
Una sfera di fuoco riesce a toccarci. L'impatto con il terreno crea un'onda d'urto che ci spintona via, sbattendoci sulla neve gelida della radura.
L'Ombra, non ancora soddisfatta, stringe la falce e la alza. La lama sembra squarciare il cielo e brilla tenebrosamente alla luce della luna. Il mostro abbassa l'arma e, evitando di essere infilzati, scattiamo di lato. La lastra di ferro ricurva si conficca in terra, poco più avanti a noi, e da qui vicino riesco a vedere il bordo acuminato e minaccioso.
Il demone della notte ritira la falce e noi ci alziamo, riavvicinandoci.
«Come facciamo a batterlo?» domanda Emily.
«Sono creature immortali, Emily. Non ne ho idea» rispondo, sconfortato.
Entrambi guardiamo Carter, che però ha ancora lo sguardo fisso sul demone. Lo studia minuziosamente e sembra stia elaborando un piano.
«Ho un'idea» ci comunica all'improvviso.
«Cioè?» fa Emily, osservandolo con le iridi blu piene di speranza.
Carter muove qualche passo verso l'Ombra. Devia a sinistra, raggiungendo un cono di luce lunare. La luminosità del satellite è oscurata in alcuni punti dalle chiome delle conifere, perciò nella radura si sono formate zone di luce argentea e zone più buie.
Il demone segue il ragazzo, provocando scosse di terremoto quando i suoi piedi calpestano il suolo. Carter raggiunge il cerchio di luce e rimane impalato, ad aspettare che l'Ombra lo raggiunga. Il mostro si avvicina sempre di più, finché non gli è davanti e alza la propria falce, pronto a colpirlo.
«Carter!» strilla Emily, in preda al panico.
Prima che possa precipitarsi da lui, le afferro un braccio e la blocco. La mia migliore amica mi tira un'occhiata omicida, ma la tengo ferma.
«Ha in mente qualcosa» le spiego in breve, per tranquillizzarla.
Rimaniamo con il fiato sospeso mentre la falce cala, imponente e aguzza, scendendo inesorabilmente su Carter. Lo sta quasi per azzannare, quando lo strumento si sbriciola in coriandoli neri. Anche il demone, sotto il fascio lunare, si incenerisce, diventando un mucchio di polvere grigio scuro.
Sul volto si Carter si apre un sorriso soddisfatto. Torna da noi, l'espressione compiaciuta e vittoriosa. «Avete visto?»
«Il loro punto debole è la luce» ragiono.
«Non luce qualsiasi. Luce lunare» specifica lui.
Emily strattona il braccio, liberandosi dalla mia presa, e osserva Carter con gli occhi lucidi e infuriati. «Non fare mai più una cosa del genere senza avvisare!» sbraita, ancora terrorizzata. «Credevo che volessi farti ammazzare.»
Carter le appoggia i palmi sul viso chiaro e la tira sulle sue labbra, zittendola. «Non ascoltavo le lezioni di mitologia, ma ho sempre avuto un buon intuito. Sapevo che avrebbe funzionato» la rassicura, quando si stacca.
Emily sospira, e non riesco a sentire la sua risposta perché una figura attira la mia attenzione. Avvisto un demone, di fronte all'ingresso del Tempio, che fronteggia una Guerriera dalla chioma inconfondibilmente ramata. Dopo aver recuperato il pugnale che avevo perso, lascio i miei migliori amici e raggiungo Bridget in ampie falcate.
Al suo fianco c'è Ryan. Provano ad attaccare il demone insieme, lanciando sfere magiche e fendendolo con le lame delle loro spade, ma la creatura ha l'aria indistruttibile. Le armi valicano il suo spettro e gli incantesimi si infrangono contro la corazza di ossidiana.
Intervengo proprio nel momento in cui sta per aggredirli con la falce. Attiro l'attenzione del demone, con una saetta magica che faccio esplodere sul terreno. Il mostro abbassa la falce e posa i suoi occhi di diamante su di me. Indietreggio verso un cono di luce, con la creatura che mi viene incontro a passi pesanti, che fanno vibrare la radura.
Mi immobilizzo al centro del fascio lunare. Il demone della notte, per colpirmi, mi si scaglia addosso, ma non appena il suo corpo entra a contatto con il raggio argenteo si scioglie in fumo e polvere. Una pioggia di cenere si ammonticchia sulla neve candida e una nube scura si solleva dai detriti dell'Ombra, risalendo verso l'alto in una danza sinuosa.
Bridget e Ryan, che hanno assistito alla scena con gli sguardi dorati e castani spalancati, mi raggiungono sotto al cono argenteo.
«È stata una tua idea?» mi domanda lei, una volta che mi è davanti, con le labbra incurvate in un sorrisino insolente.
«Dubiti della mia intelligenza, Principessa?» ribatto con lo stesso tono di presa in giro. Bridget inarca le sopracciglia, al che rispondo: «No, è merito di Carter».
«Bree, dobbiamo entrare, finché i demoni sono distratti» si intromette Ryan, scrutando in modo guardingo i dintorni. Le Ombre sono abbastanza lontane dal punto in cui sostiamo, forse a causa dell'illuminazione.
«Arrivo tra un attimo» dice lei.
Ryan, capendo il nostro bisogno di confrontarci, esce dal cono lunare e si avvia all'ingresso della cattedrale. Lo seguiamo con lo sguardo, fino a quando non arriva ai piedi della struttura. Bridget sposta gli occhi nei miei. Le iridi brillano, affrante e dispiaciute.
«Devo andare» mormora, mordendosi il labbro inferiore in un gesto angosciato.
Posiziono le mani ai lati della sua testa, piego le ginocchia per incatenare i nostri occhi e schiaccio la mia fronte sulla sua. «Giurami che tornerai sana e salva» la imploro, piantando il mio sguardo avvilito nel suo.
«Ti giuro che non uscirò dal Tempio senza aver ucciso Seth» risponde, invece.
Rafforzo la presa sul suo volto, praticamente incollato al mio. «No, Bree, devi giurarmi che tornerai viva.»
Tentenna, sotto i miei occhi supplicanti. Alla fine, sospira. «D'accordo. Te lo giuro.»
Premo con forza la mia bocca sulla sua, trasmettendole tutta la mia preoccupazione attraverso un bacio disperato. Le nostre labbra si scontrano furiosamente, accanite e afflitte, rifiutando di staccarsi. Quando si separano, è come se mi avessero strappato l'ossigeno, come se mi avessero privato di una cosa fondamentale.
«Ti amo» sussurro a occhi chiusi, sentendo un nodo in gola e il respiro corto.
Mi circonda i polsi con le dita, ma invece di togliere le mie mani dal suo volto sembra mi stia implorando di non mollare la presa. Schiudo le palpebre, trovando le sue iridi che mi fissano, con una tempesta silenziosa al loro interno.
La lascio libera, allontanandomi di un passo. «Per qualsiasi cosa, mi trovi fuori.»
«Lo so.» Il suo tono è sottile e spezzato.
Ci scambiamo un'altra lunga occhiata, poi Bridget mi dà le spalle e si incammina verso il Tempio, abbandonandomi sotto al cono di luce, vittima della paura che mi arrotola lo stomaco.
Lei e Ryan spariscono all'interno della chiesa e mi sento sprofondare in un abisso di paura.
A distrarmi dalla mia angoscia interiore è un urlo assordante e acuto, che fende l'aria e sembra scuotere la radura, per quanto è intenso. Guardo freneticamente in giro, individuandone la fonte: una Guerriera.
La ragazza, dalla lunga chioma castana e liscia, è bloccata al suolo, con la punta della falce di un demone che le trapassa la carne. Sul suo viso scorrono lacrime veloci e trema violentemente.
Corro nella sua direzione, avvicinandomi abbastanza per udire con chiarezza le parole smorzate e rotte che volano dalle sue labbra.
«Basta, basta!» urla, prendendosi la testa tra le mani e raggomitolandosi.
Non si rivolge al demone. Sembra che ce l'abbia con se stessa.
Vedo Carter ed Emily che mi raggiungono fulmineamente. La luna, in questa parte della radura, non filtra: le chiome degli alberi sono troppo troneggianti e alte. Prima ancora che possa far notare questo inconveniente ai due, Carter si è già allontanato.
Si ferma ai piedi di una conifera e poggia il palmo sul tronco. Spigiona una serie di scintille che risalgono lungo il fusto e giungono alla cima dell'albero. La chioma di aghi, come se avesse preso vita, si inclina di lato, lasciando passare i raggi lunari.
La luce d'argento investe la creatura oscura, distruggendo le tenebre che la compongono e inondandola di luminosità. I resti del mostro - una chiazza di cenere scura - sono in contrasto con la purezza della neve, sulla quale si sono adagiati.
Mi precipito dalla Guerriera, accovacciandomi al suo fianco. Io ed Emily la aiutiamo a mettersi seduta. Non smette di tremare; ha due grandi occhi verdi iniettati di dolore e spavento e perde sangue dalla ferita sul fianco, dove la lama della falce le ha squarciato la pelle.
«Stai bene?» le domando.
Non risponde, ma si limita ad annuire in un gesto secco, continuando a tremare con le lacrime che si ghiacciano sul volto.
«La ferita non è profonda» dichiara Carter, analizzando il taglio da cui non defluisce più il liquido scarlatto.
«Cosa hai visto?»
Io e Carter volgiamo le pupille su Emily, confusi dal suo strano quesito. La ragazza castana, però, sembra averlo compreso: spalanca gli occhi color smeraldo e un lampo di terrore le invade lo sguardo.
«Che significa?» indaga Carter. «Cosa dovrebbe aver visto?»
Emily non gli presta attenzione e si rivolge ancora alla Guerriera. «Ti ha fatto vedere un ricordo, vero?»
La sua interlocutrice muove timorosamente la testa, in cenno d'assenso. Emily sospira, guardandola in maniera compassionevole.
«I demoni ci mostrano i nostri peggiori ricordi, tramite le falci, per indebolirci e, in seguito, ucciderci» ci illustra lei, rispondendo alle nostre occhiate frastornate.
«Mettiti al riparo» dico alla ragazza, che si alza e si allontana, scomparendo tra i tronchi delle conifere.
Mi alzo e sondo l'ambiente. Ci sono tantissimi soldati atterrati, vittime delle falci arcuate che mostrano loro memorie dolorose.
«Dividiamoci» ordino, assumendo il controllo della situazione. «Salviamo quanti più Guerrieri possibile e sconfiggiamo questi demoni.»
I miei amici obbediscono e imbocchiamo tre direzioni differenti. Do un rapido sguardo in giro, avvistando un ragazzo sottomesso da un'Ombra. Vado in suo soccorso. Il soldato si contorce al suolo, prostrato dai ricordi e dalla lama della falce che gli trapassa la pelle.
Le iridi cristalline del demone si posano sulla mia figura, che si avvicina in fretta. Estrae la falce dal corpo del Guerriero, che esala un respiro di liberazione, risvegliandosi dalle brutte visioni. L'Ombra mi viene incontro e io cammino all'indietro, guidandola verso una zona di luce. Il demone della notte viene colpito dal raggio argenteo e si sbriciola in detriti opachi e nebbia caliginosa.
Il ragazzo, nel frattempo, si è seduto sulla neve, premendo la mano sulla ferita inflitta dalla falce, all'altezza dello stomaco.
«Tutto bene?» chiedo, chinandomi al suo fianco.
«Sì» mormora, alzandosi a fatica. «Grazie.»
All'improvviso, la terra vibra. Viene scossa con forza, segno che un demone sta muovendo dei passi.
Ed è vicino.
Fiuto la sua aura maligna proprio quando arriva alle mie spalle. Mi volto, notando la falce che vola nella mia direzione, e riesco a schivarla abbassandomi. Al contrario, il ragazzo che ho precedentemente aiutato non si sposta in tempo e viene trafitto in pieno petto dalla lama curva dell'attrezzo, che lo uccide in pochi secondi. Osservo, sconvolto, il cadavere del Guerriero che si accascia al suolo, imbrattando di sangue la neve.
E solo quando una lama mi affonda nella spalla, mi riprendo dallo sconcerto.
Le mie ginocchia sbattono sul terreno soffice, la falce mi inchioda al suolo e un vortice di pensieri burrascosi mi intrappola, trascinandomi in una dimensione parallela, dove a comandare sono i ricordi, oscuri e insidiosi.
Vedo mia madre, che mi sorride con i suoi occhi castani. È una visione dolce, tenera. Poi, uno sparo rompe il silenzio, il suo sorriso si spegne e il sangue le riga una tempia. Provo a raggiungerla, ma sono incastrato nel limbo della mia mente. È come se stessi guardando un film.
Sono un inutile spettatore della mia stessa vita.
Alla proiezione si aggiunge mio padre, che indossa la sua divisa da Generale. Abbasso lo sguardo sul mio abbigliamento, accorgendomi che la mia giacca - la sua - è completamente sgualcita e stracciata. Riporto gli occhi su mio padre, giusto in tempo per vedere la lama che si pianta nel suo petto, uccidendolo. Le sue iridi nere, dolorosamente identiche alle mie, non si staccano da me neanche per un istante, finché non vengono rabbuiate dalla morte.
Sbatto i palmi sul muro invisibile che mi separa dai miei genitori. Sento le lacrime bruciarmi gli occhi, mentre colpisco la barriera. Questa non si incrina, resta eretta, dividendomi dalla mia famiglia, impedendomi di salvarla.
Non posso fare niente.
Quando mia sorella compare nell'immagine, qualcosa in me si sbriciola, più di quanto non lo sia già.
«Piper!» grido il suo nome, sbattendo le mani sulla barriera trasparente.
Una folata di vento fa oscillare la chioma dorata di mia sorella, mentre le sue iridi di carbone mi scrutano. D'un tratto, le lacrime riempiono i suoi occhi, il sangue sgorga da una ferita sul collo e la sua espressione diventa affilata e sprezzante.
«Non mi hai salvata, Mason» sibila velenosamente. «Mi hai lasciata morire. Ci hai lasciati morire tutti.»
Dagli occhi neri di mia sorella cadono lacrime iraconde e sono certo che, in questo momento, i nostri sguardi siano due fotocopie: bui, intrisi di gocce salate che ci rigano il volto, distrutti.
Il corpo di mia sorella crolla, vicino ai cadaveri dei miei genitori. Urlo, colpisco il muro, le lacrime non smettono di scendere, brucianti come acido.
Non di nuovo, non di nuovo, non di nuovo.
"«Ci hai lasciati morire.»"
Ho fallito un'altra volta.
«Mason!»
Una voce esterna mi rimbomba nella testa. Riconosco il timbro di Emily, ma non ne identifico la provenienza. Non capisco più niente: sento solo le voci accusatorie dei miei genitori e di Piper che si accavallano, spezzandomi e affogandomi nei sensi di colpa che mi consumano da anni.
Poi, un tornado nero risucchia i loro corpi e rapisce anche la mia anima, strappandomi dal mondo dei ricordi e riportandomi alla realtà.
Apro gli occhi e mi ritrovo nella radura, con i palmi schiacciati sulle orecchie e il freddo che solidifica le lacrime sulle mie guance. Del demone della notte e della sua falce non c'è più traccia, ma solo un mucchietto di polvere a pochi passi di me.
«Mason?»
Le dita di Emily mi stringono il braccio, scuotendomi leggermente. Mi metto a sedere di scatto, facendo saettare la testa a destra e a sinistra. Non ci sono più i miei genitori, né mia sorella.
Dentro di me sento un'accozzaglia di membra e sentimenti violenti, che mi fanno fremere incontrollabilmente. La scena che ho vissuto si è marchiata a fuoco nei miei globi oculari.
Mia madre, lo sparo; mio padre, la lama; mia sorella, il suo sguardo deluso.
"«Ci hai lasciati morire.»"
«Era solo un ricordo» mi consola Emily, toccandomi dolcemente una spalla.
Le sue iridi oltremare mi osservano con tenerezza; mi sorride piano, però non riesco a incurvare a mia volta le labbra.
«Non li ho salvati, Em» mi dispero, la voce strozzata e il corpo che trema. «Non li ho salvati.»
«Non importa. Adesso, devi alzarti.»
Emily mi tende la mano, tuttavia sono paralizzato. Una serie di scosse mi attraversa l'anima e l'organismo, impedendomi di muovere i muscoli, inchiodandomi a terra, preda delle visioni oscure trasmesse dalla mia stessa memoria.
«Non ci riesco, Emily.»
Lo sguardo della mia migliore amica si fa duro. Appoggia i palmi sulle mie guance, premendo con forza sul mio volto.
«Mason» quasi ringhia, trapassandomi con i suoi occhi blu e fermi, «le Ombre hanno ucciso i tuoi genitori. Seth ha ucciso tua sorella. Non vuoi vendicarti? Finché rimarrai qua, loro vinceranno. Alzati e distruggile.»
Le sue parole mi caricano al massimo, mandando impulsi al mio cervello, che ordina alle gambe di scattare diritte. Mi metto in piedi, stringendo con rabbia feroce l'elsa del pugnale, dove il rubino incastonato brilla, riflettendo la mia furia.
Scorgo due demoni della notte, a qualche passo di distanza. Invece di raggiungerli, mi posiziono sotto al cono di luce più vicino e permetto ai fasci lunari di irradiare la lama del pugnale.
Sollevo l'arma e i raggi rimbalzano sull'oro bianco e lucido del coltello, proiettandosi sui demoni e trapanandoli con una stilettata luminosa. Le creature si sciolgono in una miriade di frammenti scuri.
Emily mi rivolge un'occhiata orgogliosa. «Così mi piaci.»
Carter, al suo fianco, schiude la bocca per parlare, ma un urlo stridulo gli impedisce di esprimersi. Tutti e tre ci voltiamo fulmineamente verso la foresta, da cui proviene il grido atroce, che rimbomba serpeggiando tra i tronchi degli alberi.
«Vado a controllare» comunico ai ragazzi.
Loro annuiscono, seppur lievemente scettici e preoccupati.
Mi addentro nella foresta di conifere. In mezzo agli alberi non filtra neanche un raggio di luna; il luogo è inghiottito nelle tenebre più buie. Scosto un ramo tempestato di aghi verdi, che mi ostacola il passaggio.
Cammino per alcuni metri, fin quando non sono costretto a fermarmi, pietrificato davanti ciò che si staglia davanti ai miei occhi.
La Guerriera dalla chioma castana, che abbiamo soccorso poco fa, giace ai piedi di un demone, con una ferita che le percorre il torace e le palpebre abbassate. Il mostro notturno impugna ancora la falce che ha ucciso la ragazza, ma i suoi occhi di diamante sono stati catturati dal mio arrivo.
La stazza della creatura è decisamente maggiore rispetto a quella delle sue compagne demoniache. È alta almeno il doppio e gli spuntoni che rivestono la sua armatura sono più spessi e aguzzi. La lama della falce, sporca di sangue, è spessa e piegata in una curva mortale.
Scruto l'ambiente alla ricerca ossessiva di uno spiraglio di luce argentea, anche misero, ma gli alberi coprono la luna da ogni angolazione.
Sono spacciato.
L'unica arma a mia disposizione, la luce, è completamente assente.
Provo a spostare la chioma di un abete con un incantesimo, però l'Ombra se ne accorge, perché partorisce una fiamma azzurra e rovente, che mi lancia contro. Schivo l'offensiva e il fuoco magico scava una buca sul terreno.
In uno scatto felino, agguanto una spada abbandonata al suolo, probabilmente appartenuta alla Guerriera uccisa.
Quando il demone attacca con un altro colpo magico, alzo la spada e mi nascondo dietro la lama. Il fuoco va a impattare con essa e la spezza in due. Guardo esterrefatto la spada spaccarsi tra le mie mani.
Getto l'arma danneggiata e sfodero il pugnale di famiglia. Mi catapulto sul mostro, affondando il coltello nella gamba, in un punto dove l'armatura lascia scoperto l'arto. Come mi aspettavo, non ottengo niente: la lama trapassa l'Ombra come se fosse una nube d'aria.
Il demone sembra irritato dal mio attacco. Forgia l'ennesima sfera di fiamme azzurre, che mi tira addosso. Uso nuovamente la lama come scudo, e stavolta funziona: la palla infuocata si distrugge contro il metallo, mantenendolo però intatto.
La creatura emette un verso mostruoso, un misto tra un latrato e il lamento di un animale ferito, per poi scagliarsi con violenza su di me. Evito il suo corpo che tenta di schiacciarmi e indirizzo un circolo di saette bianche all'armatura di ossidiana che la protegge.
Sferro ripetutamente colpi magici a quest'ultima, fino a incrinarla. Una crepa di estende sulla corazza nera lucida. L'Ombra ribatte con un turbine di fiamme e spari magici, accompagnati da versi acuti e disumani.
Mi difendo dietro la lama del pugnale, ma quando noto l'oro bianco annerirsi capisco che non è sufficiente come protezione. Perciò, ergo una barriera magica, contro la quale vanno a schiantarsi le offensive del mostro.
Una volta che gli attacchi si placano, ritiro lo scudo. L'Ombra solleva un piede e lo cala sulla mia testa; mi sposto agilmente e la pianta affonda nella neve. Mi muovo a destra e a sinistra, mentre il demone tenta di calpestarmi. Con i miei scatti rapidi lo stordisco. Emette un lamento frustrato che echeggia tra gli alberi e, inaspettatamente, torna a utilizzare la magia.
La sfera infuocata che mi colpisce arriva improvvisa e ardente. Scava una fossa nella neve e mi scaraventa metri più in là. Vado a sbattere di schiena contro il tronco di una conifera e mi accascio sul terreno freddo.
La neve spegne le fiamme che mi divorano. Ho i vestiti strappati e bruciacchiati e la pelle ustionata in alcune parti. Tossisco, sforzandomi di tornare in piedi. Sento il corpo scottare, indolenzito per la botta.
Infilo una mano in tasca, per agguantare il pugnale. Non c'è. Lo cerco con lo sguardo, notandolo vicino al demone. Devo averlo perso mentre l'incantesimo mi spingeva via.
Mi avvicino cautamente, trattenendo i gemiti di dolore. Il mio impegno è vano: la creatura nota che mi sono alzato e ringhia. Il suono che produce mi fa fischiare le orecchie ed esplode nella foresta.
Il demone della notte innalza la falce. Vedo la punta della lama arcuata che si precipita verso me. E, istigato da non so quale riflesso, mi tuffo alla mia destra, cadendo sulla neve e rotolando sul manto freddo e bianco.
La falce si pianta nel terreno, a una manciata di centimetri dal punto in cui sono atterrato. Prima che il mostro possa estrarla dal suolo, mi fiondo sullo strumento, stringo il manico tra le mani, nonostante sia grande il doppio di me, e blocco i movimenti dell'Ombra.
Incanalo l'energia fino ai palmi e scarico un incantesimo distruttivo sul manico, spezzandolo di netto. La lama della falce precipita, affondando nella neve, e tra le dita del demone rimane solo la parte inferiore del bastone di legno.
Le biglie azzurro-bianche che fungono da occhi mi fissano in silenzio per un paio di secondi. Poi, l'Ombra emette un boato esplosivo, tira lontano il manico della falce e modella due sfere infuocate, che mi lancia contro.
Riesco a schivare le due offensive, ma la terza giunge tutta d'un tratto, senza che neanche me ne accorga. Le fiamme mi sbattono al suolo e mi tramortiscono, strappandomi l'aria dai polmoni e sbrindellando la divisa. Non faccio in tempo a rialzarmi che un'altra fiammata celeste mi colpisce in pieno, comprimendomi il corpo.
Mi sento schiacciato da un macigno. Mi sento soffocare, bruciare vivo, anche se la neve ha spento le fiamme.
Mi siedo, respirando affannosamente. Ho la vista appannata e non riesco a respirare senza tossire.
Eppure, l'istinto di sopravvivenza ha la meglio. Noto il luccichio della lama della falce rotta, l'Ombra che si prepara a finirmi, e un'idea mi guizza in mente.
Investo tutte le forze di cui dispongo, per far levitare la lama arcuata. Sollevo la testa della falce e, spingendo le mani in avanti, ordino al pezzo di metallo di infilzare il demone.
L'arco di ferro affonda nel torace della creatura, spaccando l'armatura, già incrinata dal sottoscritto. L'Ombra ruggisce, un rombo lacerante e fragoroso viene prodotto dalla sua bocca inesistente. Il suo corpo, nel quale è piantata la falce, esplode come un fuoco d'artificio, sbriciolandosi in una cascata di polvere e diamanti, fumo e cristalli.
Fulmini azzurri saettano ovunque, abbattendosi sugli alberi e appiccando incendi azzurri sulle chiome di smeraldo. La foresta brucia e sulla neve si sparge cenere nera.
Lascio cadere la falce. Le mie gambe mi implorano di riposarmi e sedermi sul suolo fresco, ma resto in piedi. Devo raggiungere gli altri.
Mi incammino a passi cauti e lenti, con il peso del dolore che mi piega la schiena. Le mie ossa non si erano ancora riprese dallo scontro avvenuto nella Tana, con Samantha. Adesso, saranno totalmente ribaltate.
Ad arrestarmi sul posto sono i rumori di altri piedi che marciano, e non sono miei. La terra scossa e l'aura oscura sono segnali ovvi: un demone della notte.
Sgrano gli occhi, restando impalato, col mostro alle mie spalle. Mi giro e vedo solo i suoi bulbi oculari cristallini che mi guardano, inespressivi, mentre la punta della sua falce penetra nel mio braccio.
Ed è un altro viaggio nei ricordi.
Questa volta, i protagonisti dello scenario non sono i miei genitori, né Piper. Ci sono io. Io sdraiato su un letto che non è il mio.
Da dietro la barriera trasparente che mi separa dal ricordo, avvisto un soffitto vestito di stelle e sfumature blu e viola. Una galassia, che mi fa intuire al volo di trovarmi nella stanza accademica di Bridget.
Il Mason della visione si sveglia. Appoggia una mano sul lato del materasso libero, tastandolo. Quando si accorge che è vuoto, si mette a sedere di scatto.
Dopo, il caos interiore.
Noto - cioè, il me del sogno nota - che la finestra è socchiusa e che le ante dell'armadio sono spalancate. Una leggera brezza fredda penetra nella camera, ma non è quello a farmi tremare.
Perché sento freddo dentro. Mi sento gelare il sangue e il cuore.
E lo sento anche ora, attraverso il muro che mi divide dal ricordo della fuga di Bridget.
Un serpente di ghiaccio mi stritola l'anima e qualcosa, nel mio spettro, si incrina irrimediabilmente.
La stanza viene avvolta dal buio. Le tenebre regnano per alcuni istanti, poi compare una figura. Bridget cammina verso la barriera, fermandosi dal lato opposto. Preme i palmi e la fronte sul muro invisibile e mi osserva, gli occhioni screziati insolitamente neutri e un sorriso compiaciuto che le piega le labbra.
All'improvviso, nel suo sguardo, un'onda blu affoga le scaglie dorate e lo sfondo castano si scurisce, fino a tramutarsi in un nero abissale, che ospita chiazze cobalto e inquietantemente vivaci.
Sussurra qualche parola, con voce bassa e soave, ma le sue frasi mi colpiscono come una pugnalata.
«Sei un fallito, Mason. Non eri abbastanza importante da farmi restare. Non sarai mai abbastanza.»
Mi guarda in modo astioso, sputandomi veleno addosso.
Scuoto la testa, ferito ma determinato. «Questa non sei tu.»
Bridget ridacchia con cattiveria. «Non mi conosci. Non sei nessuno, per me.»
L'ultima affermazione fluttua in aria come un soffio docile di vento, sorpassa la barriera trasparente e mi raggiunge. Il soffio si trasforma in un coltello e si pianta nel mio petto, procurando un dolore acuto che si ramifica in tutto il corpo.
Il buio inghiotte Bridget e vengo catapultato nuovamente alla realtà.
"«Non sarai mai abbastanza.»"
"«Non sei nessuno, per me.»"
Le sue parole mi frullano in testa, sono fruste che mi massacrano la pelle e l'anima, lapidandomi.
Mi ricordo all'improvviso di essere sotto l'incantesimo del demone. Sposto gli occhi sul mostro e scorgo a malapena la falce che brilla, mentre cala su di me.
Immobilizzato dai ricordi che mi martoriano e da un male fisico lanciante, resto fermo a guardare l'arma che mi azzanna.
"«Sei un fallito.»"
Spazio Autrice
Ma quanto è sfigato Mason?
In questo capitolo l'ho proprio torturato, ma vi avevo avvertiti: le cose non saranno semplici. Questa è la prima parte dell'ultima battaglia, che dopo due libri interi è finalmente arrivata! Allora, vi è piaciuto questo scontro iniziale?
Sono quasi 6.000 parole, interamente d'azione e magia. I Guerrieri raggiungono il Tempio e, come al solito, le Ombre hanno una spiacevole sorpresa in serbo. Stavolta, hanno dato vita a delle creature mostruose, di cui trovate l'immagine a inizio capitolo. Dopo aver capito che il punto debole dei demoni è la luce lunare, la situazione sembra calmarsi, almeno finché non scopriamo che i demoni sono in gradi di mostrare ai Guerrieri i loro peggiori ricordi.
Mason rivive due scene che l'hanno distrutto in passato: la morte della famiglia e la fuga di Bree. E, proprio dopo aver vissuto di nuovo quest'ultimo ricordo, l'Ombra-demone gli sferra il colpo di grazia.
Che dite, riuscirà a salvarsi?
Venerdì arriva un capitolo importantissimo: lo scontro tra Bree, Ryan e Seth, dove verranno decise una volta per tutte le sorti di Arcandida. Chi avrà la meglio?
Stellinate e, se vi è piaciuto il capitolo, fatemelo sapere🔥💫
-5 all'epilogo.
Xoxo🍹
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