73. In Mille Pezzi
Mason
Non può averlo fatto davvero.
È questo che mi ripeto da due ore, ininterrottamente, alimentandomi di false speranze.
I Guerrieri stanno cercando ovunque, mettendo a soqquadro l'intero castello, ma Bridget non si trova nell'edificio. E c'è un solo posto, dove potrebbe essere andata.
Non l'ha fatto.
Stanotte non è rientrata. Non mi sono allarmato, sul momento: era furibonda con me. Probabilmente, aveva deciso di dormire fuori. Però, quando ho notato che non si è fatta viva neanche al sorgere del sole, ho iniziato a preoccuparmi. E il fatto che non ci sia traccia di lei in nessun locale del Palazzo contribuisce all'aumento del mio timore.
Io e i ragazzi ci siamo riuniti in un piccolo salottino, situato al quarto piano della residenza reale. È una piccola stanza dedicata al relax, con un divano e due poltrone di stoffa carminio, ricamati di fili d'oro. Al centro è stato posizionato un tavolinetto di vetro, sul quale si riversa la luce dorata e confortante del lampadario ornato di lustrini scintillanti. Lungo il perimetro della sala ci sono mobili di legno dalle sfumature calde, che completano il quadro di luminosità tenue e dolce dell'ambiente.
Io, Emily e Carter abbiamo preso posto sul divano, mentre Alexandra e Ryan hanno occupato le poltrone. A dividerci, il tavolo trasparente, sul quale è appoggiato un candelabro dai cilindri di cera bianchi accesi.
«Siete sicuri di non averla vista uscire?» interrogo per l'ennesima volta i miei migliori amici.
Emily annuisce, sicura nella sua divisa da Tenente. «Ne siamo certi, Mason. Abbiamo ordinato al resto della squadra di setacciare il Palazzo.»
«Potrebbe aver utilizzato un'uscita secondaria» ipotizza Ryan. I suoi occhi castani e dorati, che si intonano al mobilio del salotto con le loro tonalità morbide, sono ricolmi di preoccupazione.
Emily irrigidisce la postura, come se fosse stata colpita. Abbassa lo sguardo oltremare, torturando con le dita l'orlo della giacca della divisa.
«Non ci abbiamo pensato» ammette, alla fine.
Il Principe sospira pesantemente, abbandonandosi contro lo schienale della poltrona.
«Non è detto che sia andata da Luke» tento nuovamente di convincere me stesso e gli altri.
«Io credo di sì» ribatte Alexandra. «L'alba è passata da un pezzo e, ovunque sia, non è ancora tornata.»
«Stanotte era da te, giusto?» le chiedo.
Conferma, muovendo il capo in cenno d'assenso. I suoi capelli dorati risplendono sotto la luce del lampadario sfarzoso. «Era arrabbiatissima e l'ho ospitata. Ha dormito da me, però quando mi sono svegliata non l'ho vista. Pensavo che fosse con te o in qualche altra stanza. Non mi ha nemmeno accennato del piano di Luke, quindi non sospettavo di nulla.»
«Mi sembra ovvio che sia al lago» interviene Ryan, rimettendosi composto nervosamente. «Qualcuno deve andare a cercarla lì, mentre gli altri devono continuare a farlo nel castello.»
Emily e Alexandra - assurdamente - annuiscono in contemporanea, entrambe d'accordo con ciò che ha detto Ryan. Sposto l'attenzione sul mio migliore amico, per scoprire il suo verdetto, ma non sembra connesso. I suoi occhi verdi sono persi tra le fiammelle che guizzano sulla punta delle candele bianche. Non ci sta neppure ascoltando. Pare immerso in una profonda riflessione mentale.
«Carter?» lo chiamo, sporgendomi oltre la figura di Emily, che ci divide. «Che ti prende?»
Lui torna improvvisamente alla realtà, rendendosi conto che tutti lo stiamo guardando. Scuote la testa, scacciando le considerazioni che lo avevano rapito, per poi rispondermi. «Niente. Stavo solo pensando che è abbastanza strano.»
«Cosa è strano?» gli domando.
«Sappiamo che Luke dice la verità. O, perlomeno, la maggior parte di noi ne è certa» precisa, rivolgendomi un'occhiata eloquente. «Ma non vi sembra strano che Seth permetta a qualcuno di spiattellare in giro le sue informazioni? Lui è sempre al corrente di tutto. Quindi, perché sta permettendo a Luke di ingannarlo?»
Per qualche lunghissimo secondo, piombiamo in un silenzio disorientato, cercando di immagazzinare la sua teoria.
«Stai dicendo che...» farnetico, rompendo il mutismo collettivo. Percepisco la mia voce tremante e spaventata; non riesco a concludere la frase.
«Che Luke è convinto di aver ingannato Seth, ma in realtà sta andando dritto nella sua trappola» termina Emily, al mio posto. Anche i suoi occhi sono sgranati e iniettati di paura, proprio come quelli di Alex e Ryan, che si sono paralizzati sulle poltrone.
«E ci sta trascinando dentro anche Bree» realizzo.
Mi alzo di scatto, ignorando le pulsazioni del mio corpo indolenzito. E lo sento, chiaro e brutale, il terrore che si impadronisce di me.
«Perché non l'hai detto prima?» sbotta Ryan, contro Carter, risvegliandosi dallo stato di stupore assoluto in cui era caduto.
«Ci ho pensato solo adesso» si difende lui.
L'imprecazione che ringhio colloca l'attenzione di tutti e quattro su di me.
«Devo andare al lago» decreto, la voce carica di ansia e fretta.
«Non puoi andare in queste condizioni» mi riprende Emily.
«Non me ne importa, Em. Potrebbe essere troppo tardi.»
Non do a nessuno la possibilità di protestare o di seguirmi, perché mi precipito alla porta della sala ed esco, guidato dalla paura che si espande rapidamente nel mio corpo dolorante.
****
Il portale che ho fatto aprire mi conduce in pochi istanti al lago di Vann. Fuori dal varco, una radura innevata mi accoglie.
È una distesa piatta e circolare, abbracciata dalle conifere della foresta e solcata dal bacino d'acqua, che riflette la luce del sole. Sembra un posto rilassante e piacevole, ma è infangato da un'aria che puzza di lotta e morte, come se si fosse appena svolto un combattimento feroce.
Non ci metto molto a individuare Bridget.
È qualche metro più avanti, inginocchiata accanto alla riva del lago, girata di spalle. Nel vederla il sollievo mi stringe calorosamente, bruciando un po' del terrore che mi ha accompagnato fin qui.
Cammino verso di lei, ma compio a malapena due passi, prima di essere bloccato. Ad arrestarmi è la vista di un corpo. Un corpo pallido, esanime. Un cadavere.
Mi avvicino quel tanto che basta per scorgere il volto del defunto. Sgrano gli occhi, riconoscendo Luke. Non sfoggia ferite e non c'è macchia di sangue a sporcare la neve soffice su cui è abbandonato.
Smetto di analizzare il cadavere dell'Ombra e mi dedico a Bridget. Ha le gambe piegate lateralmente e la testa di Luke appoggiata su esse. Passa le dita tra i capelli corvini del ragazzo, in una carezza dolcemente sofferente.
A farmi male, però, è la sua espressione. I suoi lineamenti chiari sono piegati in un gelido cipiglio di dolore. Gli occhi screziati sono gonfi - evidente segno di un pianto recente - e rappresentano la sua anima sbriciolata.
Mi inginocchio accanto a lei, osservandola con una stretta al cuore. Le poso una mano sul braccio, delicatamente, quasi temessi di disintegrarla con quel docile tocco.
«Bree?» bisbiglio piano il suo nome, scrutando il suo viso rigato e accartocciato dalla tristezza.
Non mi risponde, e forse non mi sente neanche. Sembra rinchiusa in un bozzolo, in una spessa e indistruttibile bolla, formata dal male interiore che la consuma.
«Mi dispiace tanto» le dico, sinceramente affranto.
La bolla scoppia.
Bridget rimuove le dita dai capelli di Luke, appoggia la sua nuca sulla neve e pianta i suoi occhioni nei miei.
Due iridi completamente fredde. Due iridi furibonde. Due iridi lucide di sofferenza.
«Ti dispiace, Mason?» sibila. La sua voce è spezzata, ma al tempo stesso austera e fumante di rabbia. «Ti dispiace?» sbraita, aumentando notevolmente il volume del tono.
«Ascolta, torniamo...»
Non mi lascia parlare. Mi stritola in un'occhiata furiosa e torva. «No!» mi urla contro, ringhiando. «Non vengo da nessuna parte, con te.»
«Bree...» tento di calmarla.
Sbatte violentemente le mani sul mio petto, interrompendomi. «È colpa tua! È tutta colpa tua!» tuona, spingendomi.
In realtà, non mi smuove di un millimetro, ma l'astio che mi getta addosso è più forte e doloroso di qualsiasi percossa.
«È colpa tua, Mason, è colpa tua!» inveisce, continuando a battere i palmi sul mio torace. «Colpa tua, che non mi hai ascoltato» mi spinge, «colpa tua, che non ti sei fidato di me» prosegue, scalfendomi ancora, «colpa tua, che mi hai lasciata andare da sola!» conclude, aggiungendo un altro tocco brutale.
Elenca le mie colpe con gli occhi che si inumidiscono e il timbro intriso di veleno. Mi sputa addosso il suo odio; quando le sue mani mi pressano la pelle mi sento morire e un cocente pizzicore si irradia nel mio corpo, nonostante la poca forza che utilizza.
È che, a farmi male, sono le sue parole rancorose, non le spinte. Quelle sono deboli batoste che, però, mi scheggiano l'anima.
«È colpa tua, se Luke è morto» prosegue.
Le spinte si addolciscono lievemente e la sua voce si crepa sempre di più, mentre gli occhi si riempiono di lacrime.
«È colpa tua» ripete, le prime gocce che le cascano sulle guance e un'altra spinta, stavolta più debole.
Continua ad accusarmi, finché una pioggia di lacrime le scende dagli occhi, la voce si blocca in gola e i palmi si fermano sul mio petto, stremati dallo sforzo e dal bruciore.
A quel punto, stringe tra le mani due lembi della mia maglietta e un singhiozzo le scuote il corpo, che trema intensamente. Le sue dita, che intrappolano la stoffa scura dell'indumento, fremono, mentre le lacrime la marchiano e i singulti le spezzano il respiro.
Le appoggio una mano sulla nuca ramata e la tiro a me. Affonda il viso nell'incavo della mia spalla, continuando a piangere. Le gocce che le scendono copiosamente dagli occhi mi bucano la pelle.
Non finisce di rantolare con voce infranta che è colpa mia, sibilando il suo rancore e il suo dolore. E prosegue così finché non ha più la forza di accusarmi e si lascia martoriare dalla sofferenza.
Mi sforzo di farmi scivolare addosso le sue parole a la tengo stretta, terrorizzato dall'idea che possa rompersi fra le mie braccia, proprio ora, proprio qui, nella radura bianca macchiata di sangue invisibile e morte.
****
Credo che, se dovessi descrivere il vuoto, prenderei ispirazione dallo sguardo di Bree.
È puntato tra le pieghe delle lenzuola del letto, ma in realtà è immerso nel nulla. Scruto, preoccupato, i suoi occhi arrossati e ancora umidi, a causa dei residui scintillanti delle lacrime.
Come un veleno che si espande alla velocità della luce, una profonda tristezza le scurisce le iridi, serpeggiando tra le scaglie dorate e annidandosi nello sfondo castano.
I suoi occhi sono assolutamente vuoti.
Spenti, distrutti.
Ha la schiena contro la testiera del letto, i capelli liberi che le accarezzano le spalle e l'espressione contratta in una smorfia di acuta angoscia.
È passata circa mezz'ora, da quando siamo tornati dal lago di Vann. Trenta minuti che ho trascorso guardandola con insistenza, mentre lei mi ignorava, come se si fosse chiusa in una gabbia di titanio.
Non piange più, non mi urla più contro. Rimane solo in silenzio, un silenzio fitto e rumoroso. Avrei preferito ricevere ulteriormente le sue grida rabbiose, piuttosto che assistere all'apatia che si è impossessata del suo corpo, svuotandolo.
Le sfioro il braccio con i polpastrelli e l'unica reazione che suscito in lei è uno spostamento brusco. Si scansa e continua a perlustrare il niente con il suo sguardo impassibile.
«Ti prego, Bree» faccio in tono supplichevole.
Sospiro, rassegnato, senza ottenere alcuna risposta. Mi lascio cadere sconfitto contro lo schienale del letto, passandomi in modo stressato le mani tra i capelli disordinati.
«Scusa.»
Mi giro di scatto verso Bridget, che ha parlato all'improvviso. Non credevo che avrei sentito di nuovo il suono della sua voce: non così presto, perlomeno. Mi rimetto seduto composto, incrociando le gambe sul materasso e prestandole la mia totale attenzione.
«Mi dispiace» ribadisce, schiarendosi il tono gracchiante. «Ho sbagliato ad aggredirti in quel modo, al lago.»
I suoi occhi sono ancora sfuggenti e inchiodati sulle lenzuola. Noto che fa una gran fatica, mentre pronuncia quelle frasi pentite.
«Non importa» la rassicuro.
Scuote ostinatamente la testa. «Non è vero che è stata colpa tua. La responsabile sono io. Dovevo ascoltarti e restare al Palazzo. Avevi ragione, Mason» ammette in un sussurro incrinato, mordendo le labbra per contenere altre lacrime. Nonostante l'impegno, però, nuove gocce salate le strisciano sulle guance. «Luke non sarebbe morto, se ti avessi dato retta.»
La fronteggio sul materasso. Poso i palmi delle mie mani sul suo volto e raccolgo le lacrime con i pollici, stufo di restare fermo a guardarla mentre si strugge.
«Basta, Bree, basta. Basta chiedere scusa per cose di cui non abbiamo colpa. Basta accuse. È stato un brutto incidente, nessuno dei due poteva prevederlo.»
Schiaccio le mie labbra sulla sua testa, stampandole un bacio tra i capelli, e lei si rifugia tra le mie braccia, premendo una guancia sul mio petto.
«Aveva ragione Seth» asserisce d'un tratto. «Sono come lui.»
«Di cosa stai parlando?»
«L'ho quasi ucciso. Sono completamente impazzita: la parte di Ombra ha preso il sopravvento.»
«Eri sconvolta» la difendo dalle accuse che rivolge a se stessa, incastrando le mie dita tra le sue ciocche di rame.
«Smettila di giustificarmi, Mason» sbotta. «Gli ho dimostrato che riesce ancora a controllarmi. Ha ucciso Luke per punirmi. Come posso essere innocente?»
«Mi dispiace per aver dubitato di lui» dico, sinceramente rammaricato.
«Gli volevo bene, gliene volevo un sacco. L'avevo appena ritrovato» rivela con voce afflitta, stringendo la mia maglietta tra le sue dita furiose.
«Se hai bisogno di sfogarti, puoi farlo» la invito, accarezzandole dolcemente la chioma mossa.
Bridget dà il permesso alle lacrime di uscire e di esternare il suo dolore. Le gocce rotolano e bruciano sulla sua epidermide lattea, scavando canali che sfociano sulla mia pelle.
«Fa malissimo, Mason, fa tutto malissimo» singhiozza, raggomitolandosi contro il mio corpo. «È insopportabile. Fallo smettere, ti prego» mi implora, piangendo rumorosamente e graffiandomi la pelle e l'anima con le dita che serrano la presa sulla maglietta.
Una fitta mi spacca il cuore. Desidero così tanto prendere un po' del suo dolore, per alleviare il peso che sente dentro, ma mi è impossibile. Perciò, mi limito a stringerla forte contro il mio sterno, quasi volessi farla entrare nella gabbia toracica. Le accarezzo i capelli e premo le labbra sulla sua fronte.
«Lo sento qui» si indica la parte sinistra del petto, «che mi percorre tutto il corpo e mi fa un male tremendo.»
Singhiozza e lacrima, non riuscendo quasi più a respirare. Lascio che esterni tutte le emozioni che la stanno torturando, abbracciandola forte, per farle capire che avrà sempre una colonna a sostenerla, finché avrà me.
Non riesco a tollerarlo, non riesco a vederla così. Così spezzata. Perché Bree si è rotta in mille pezzi, la sua anima si è frantumata in un milione di cocci minuscoli e scivolosi, e non sono in grado di tenerli insieme.
Una parte di lei si è incenerita. È andata via, insieme a Luke.
«Non lasciarmi, Mason, perché sento che potrei distruggermi definitivamente da un momento all'altro.»
«Non ti lascio, Bree» le prometto, stringendola a me.
Prima che si calmi trascorrono interi minuti, scanditi da un pianto incontrollabile, da parole crepate, da lacrime roventi e da singhiozzi che stracciano il cuore.
E non la lascio, non la libero dalla presa delle mie braccia sul suo corpo tremante, proprio come le ho giurato poco fa. Allenato la morsa solo quando i singulti si placano e la sua riserva di lacrime si prosciuga.
«Ricordi le leggende che ti raccontava tua madre?» mi chiede all'improvviso, dopo essersi calmata. La sua voce è un debole sussurro scricchiolante.
«Sì» confermo, senza smettere di lambirle i capelli con le dita. «Vuoi sentirne un'altra?»
Annuisce contro il mio petto, facendo frusciare il tessuto della mia maglietta. Sfoglio mentalmente le pagine del vastissimo repertorio di miti arcandidi, fino a trovare quello che mi sembra più adatto.
«Secoli fa, subito dopo la nascita di Arcandida, venne incoronata la prima Regina. Il suo nome era Kriger e non aveva ancora un Re al suo fianco. In compenso, aveva il suo consigliere fidato, nonché il suo migliore amico, Sammen. Un giorno, Sammen venne ucciso da un gruppo di rivoluzionari. Sapevano che il ragazzo era il punto debole della sovrana e sperarono di distruggere la Regina, in questo modo. Kriger, però, non crollò. Dopo la morte del suo migliore amico divenne spietata e vendicativa, una Regina avida e intollerante. Era convinta che tutti dovessero soffrire come lei, perciò iniziò a sequestrare le ricchezze dei suoi sudditi e li lasciò vivere nella miseria. Gli abitanti di Arcandida la soprannominarono "Dea della guerra", perché tra le strade del regno iniziarono a esserci lotte furiose, anche per un banale pezzo di pane. Un giorno, scese al villaggio, e vide una povertà assoluta, che la fece compiacere. Mentre passeggiava notò un ragazzo vestito completamente di stracci. Krigen rimase colpita dal giovane, sia per la vaga somiglianza con Sammen, il suo vecchio amico, che per il suo sorriso. Nonostante la sua condizione orribile, stava ridendo e giocando con una bambina più piccola, e questo lasciò sorpresa la Regina. Decise di fare la conoscenza del ragazzo, fingendo però di essere una comune Arcandida. Il giorno seguente tornò al villaggio, vestita in modo semplice, e si presentò al giovane. Si chiamava Fredelig e le spiegò che il villaggio era caduto in rovina a causa dell'egoismo della sovrana. Kriger provò a giustificare se stessa, ma Fredelig sembrava detestare la Regina, così come il resto del villaggio.»
«E poi?» mi domanda Bridget, quando mi interrompo per fare una breve pausa.
«Divennero amici. Fredelig non sospettava della vera identità di Kriger e i due continuarono a vedersi ogni giorno. Si legarono molto e col passare del tempo erano sempre più uniti. Così la Regina iniziò a riflettere sul proprio comportamento. Capì che ciò che stava facendo era ingiusto e che doveva rimediare. Stava ritrovando la propria umanità, e tutto grazie al suo nuovo amico, che sostituì il vuoto lasciato da Sammen. Un giorno, però, quando si presentò al consueto appuntamento con Fredelig, notò che aveva un comportamento strano, scostante. Fredelig le disse che aveva scoperto tutto e che sapeva chi era realmente. Si sentiva ferito per essere stato ingannato e, soprattutto, detestava Kriger per ciò che aveva fatto agli abitanti del regno. La sovrana era disperata: stava per perdere un altro amico. Tornò al Palazzo e decise che, quella volta, non si sarebbe fatta portare via nessuno. Così cominciò a distribuire le sue ricchezze ai sudditi, rimanendo senza niente. Il popolo, che aveva riacquistato la propria influenza, riuscì a far salire al trono una nuova sovrana, eletta da loro. Kriger venne cacciata e finì in povertà. Ma non si ribellò, perché sapeva che la cosa giusta da fare fosse andarsene e pagare per il male che aveva causato.»
«Fredelig, invece?» mi interroga Bridget. Sembra essersi rasserenata e una vivace curiosità ha sostituito il dolore, nel tono della sua voce e nei suoi occhioni, di nuovo luminosi.
«Lui e Kriger si incontrarono, una sera. Il ragazzo sapeva ciò che aveva fatto e la ringraziò: adesso la sua famiglia conduceva di nuovo una vita dignitosa. L'ex-sovrana gli raccontò di come fu ucciso il suo migliore amico e di come si sentisse distrutta. Fredelig, capendo da cosa derivavano le sue azioni, la perdonò. I due restarono amici e il ragazzo la aiutò a stabilirsi nel villaggio. Alla fine, sebbene avesse perso il trono e il potere, aveva di nuovo qualcuno su cui contare.»
Concludo il racconto. Non è una vera e propria leggenda, ma la storia di quella che fu la prima Regina del nostro regno.
Bridget scosta la testa dal mio petto e mi osserva, circospetta. «Perché mi hai raccontato questa storia, Mason?» domanda, anche se credo che abbia già colto la morale.
Le sistemo una ciocca ribelle dietro l'orecchio, guardandola dritto negli occhi brillanti. «Perché sei forte, Bree. Supererai anche questa. E, come ti ho già detto, io non ti lascio. Potrai sempre contare su di me.»
I suoi occhi si inumidiscono, ma non per la tristezza: stavolta, a lucidarle lo sguardo, sono lacrime di gioia e gratitudine. E per la prima volta da quando l'ho trovata al lago, riesce a sorridermi.
Spazio Autrice
Sera, readers!💙💙
Intanto, scusate l'orario! Ultimamente non riesco proprio ad aggiornare presto.
Comunque, tralasciando i ritardi, passiamo al capitolo. È decisamente triste, non trovate?💔
Mason trova Bree al lago, dopo averla cercata ovunque, ma non c'è una bella atmosfera sul posto. Lei si sfoga accusandolo, nonostante non abbia nessuna colpa. Quanto è tenero il nostro Mason che si lascia picchiare?
Dopo tornano al Palazzo e anche lì abbiamo una scena strappalacrime. Bree è completamente a pezzi, sia per la sua perdita che per il senso di colpa, e Mason fa il possibile per consolarla.
A proposito, le racconta un'altra delle leggende del suo repertorio. Vi è piaciuta? È completamente di mia invenzione e spero non l'abbiate trovata noiosa! Fatemi sapere💞
Vi auguro la buonanotte, ci ritroviamo venerdì!😴
Xoxo 🎛
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