55. Tutto o Niente
Bridget
La mattina seguente, il trillare di un telefono mi porta ad alzare le palpebre. Batto le ciglia più volte, per abituarmi alla luminosità dei raggi solari che filtrano dalla finestra.
Sento un fruscio di lenzuola e la temperatura cala improvvisamente: il mio corpo perde tutto il calore che lo avvolgeva. Mason si è allontanato, forse per rispondere al cellulare, e l'aria gelida ha occupato il suo posto.
Torna qualche secondo dopo, con il telefono attaccato all'orecchio, e si siede sul bordo del letto. Mi raggomitolo sotto le coperte, per riscaldarmi, e cerco di afferrare la conversazione.
«Sì?» mormora, in tono stanco, passandosi una mano sul volto assonnato e tra i capelli scombinati.
Chiudo gli occhi e mi concentro sul brusio che capto dall'altro lato del ricevitore, ma non riesco a distinguere la voce.
«Cosa?» Il timbro di Mason si altera e, di colpo, sembra essersi svegliato totalmente. «Non se ne parla.»
Sollevo le palpebre e lo scruto, iniziando a preoccuparmi della piega che sta prendendo la telefonata. I lineamenti sono spiegazzati in una smorfia irritata; punta gli occhi sul materasso, così impegnato ad ascoltare il suo interlocutore che non si è neanche accorto del mio risveglio.
«No, non si è ancora ripresa» continua a negare. Dall'occhiata che mi tira in seguito, capisco di essere il soggetto della discussione.
Notandomi vigile, si sforza di sorridermi - senza successo - per tranquillizzarmi. Corrugo la fronte, chiedendogli delle spiegazioni attraverso lo sguardo, e lui mi liquida con un cenno della mano, facendomi intendere che me le fornirà dopo.
«Va bene» si arrende, poi, ringhiando a chi ci ha disturbati. «La porterò da te.»
Stacca il cellullare dall'orecchio e preme il tasto per terminare la chiamata, dopodiché, posa malamente l'apparecchio sul comodino, con il fastidio che traspare dai movimenti bruschi.
«Chi era?» domando, mentre torna a sdraiarsi al mio fianco, un po' più distanziato di prima. Una striscia di materasso - circa mezzo metro - ci separa.
«Mark» mi informa, sbuffando.
«Cosa ti ha detto?»
«Vuole vederti subito, per assicurarsi che tu sia davvero tornata e non ci stia prendendo in giro. Ho provato a convincerlo a rimandare di qualche giorno, in modo da darti il tempo di guarire, ma sai che con lui non si può contrattare.»
Mi metto seduta, e quel banale spostamento mi costa una fatica enorme. Stringo un braccio intorno allo stomaco, per bloccare le fitte alle costole.
«Dove vai? Robert ha detto che devi riposare» mi rimbecca Mason, drizzando anche lui la schiena.
«Vado a prepararmi» rispondo.
Appoggio le piante dei piedi in terra provo ad alzarmi lentamente, ma le gambe cedono e sono costretta a sedermi di nuovo, tra gemiti e sospiri esasperati, per non cadere.
Mason scende dal letto, lo aggira e mi si piazza di fronte, inginocchiandosi all'altezza dei miei occhi. «Sta' ferma. Ci penso io, va bene?» si offre di aiutarmi, osservandomi con le iridi nere piene di apprensione.
Non aspetta il mio consenso: torna in piedi e raggiunge l'armadio. Spalanca le ante e fruga tra i ripiani e i cassetti, fino a pescare una maglietta bianca, una felpa nera e un paio di jeans. Chiude la cabina e posa il cumulo di panni sul letto.
Poi, si inginocchia un'altra volta e afferra l'orlo della maglia del mio pigiama. Prima di sollevarlo, mi scruta, cercando un segno d'assenso. Gli sorrido e la sfila delicatamente, attento a non sfiorarmi il costato.
Studia la pelle del torace, solcata da lividi ed ematomi, cosparsa di macchie rossastre e cicatrici. Avvicina i polpastrelli e sfiora un livido, facendomi mugugnare per il fastidio.
Ritrae le dita e nei suoi occhi dilaga un dispiacere immenso. «Non avrei mai voluto farlo» mormora, tremendamente pentito.
«Ti ho già detto che devo ringraziarti, non odiarti per ciò che hai fatto. Mi hai salvato la vita, e l'importante è questo. Il resto è irrilevante» gli ripeto, sperando che la smetta di rammaricarsi.
Espira, l'espressione ancora afflitta. «Farti del male era l'ultima cosa che desideravo.»
Colloco le mani sulle sue guance e schiaccio la mia fronte sulla sua, intrappolandolo nella morsa determinata del mio sguardo. «Ascoltami: non devi scusarti. Va bene? Non ce l'ho con te. Accetta la mia riconoscenza e basta.»
Finalmente, annuisce, concordando. Si stacca da me, per poi chinarsi e appoggiare le labbra sullo stesso punto di prima, così piano che lo percepisco appena. Si sposta e bacia un altro livido, posando con morbidezza la bocca sulla chiazza violacea.
Prosegue in questa maniera, ricoprendomi la pelle di baci. Per un momento, è come se ogni ferita svanisse, come se il dolore si dissolvesse, sostituito dal suo tocco soffice. Non mi fa male: anzi, riesce a portarmi un pizzico di conforto, con quei semplici sfioramenti.
Quando bacia anche l'ultima cicatrice, alza il viso e le sue labbra si uniscono alle mie, per concludere.
Se cercava un modo per farmi stare meglio, l'ha trovato.
****
Camminare non è mai stato tanto faticoso.
Arranco per il corridoio, emettendo versi di lamento a ogni passo. Mason mi sostiene con una mano su un fianco, evitando alle mie gambe di trascinarmi giù. Ho insisto per muovermi in autonomia, ma si sta rivelando più difficile del previsto. Mantengo le pupille incollate ai piedi, sforzandomi di regolare l'andatura e di appoggiare saldamente le piante al suolo.
Mason si schiarisce la voce, per attirare la mia attenzione. «Bree» mi richiama.
Porto lo sguardo su lui, che mi indica il corridoio davanti a noi. Seguo la traiettoria dei suoi occhi e vedo un Guerriero, con la schiena contro la parete, che ci osserva da lontano, mentre avanziamo verso di lui.
Non ho idea di chi sia, però mi fissa con una tale intensità che ho paura di continuare la camminata. Mason e Ryan mi hanno perdonata, ma dubito che anche gli studenti dell'Accademia saranno comprensivi con me.
Il ragazzo mi analizza con un misto di superiorità, interesse e astio, facendomi rabbrividire. Mi ricorda tanto le occhiate che mi tiravano gli Arcandidi, la prima volta che ho messo piede in questo posto. Mi sentivo inadeguata, smarrita: proprio come ora.
«Avevi detto che erano tutti a lezione» rinfaccio a Mason, sussurrando a denti stretti per non farmi udire.
«Tranquilla.» Mi spinge con leggerezza in avanti e mi sprona ad avanzare. «Non ti farà niente.»
Mi costringo a non guardare a mia volta il Guerriero. Nemmeno quando lo oltrepassiamo, però, i suoi occhi mi lasciano. Mi perforano la schiena, finché non svoltiamo un angolo e spariamo dal suo raggio visivo.
«Mi detestano tutti» proclamo, il tono demoralizzato.
«Ti perdoneranno, stanne certa» ribatte Mason.
Provo a credergli. Proseguiamo in silenzio, fermandoci solo quando avvistiamo la targhetta dorata che svetta sulla porta dell'ufficio di Mark. Mason mi libera dalla sua presa e mi sento priva di stabilità, d'un tratto.
«Mi troverai qui, quando avrete finito, okay?»
Annuisco e avvicino il pugno alla porta, per bussare, dopo aver raccattato quanto più ossigeno possibile con un enorme respiro di incoraggiamento.
«Bree, aspetta» Mason mi blocca, e gliene sono quasi grata. Il pensiero di dover affrontare Mark mi sta attorcigliando lo stomaco.
«Dimmi.»
Ha l'aria imbarazzata. «Riguardo ieri sera... insomma, non...»
Intuisco all'istante cosa stia cercando di dirmi. Mi scappa un sorrisetto divertito.
«Intendi ieri sera, quando ti ho chiesto scusa e basta?» fingo di non comprendere, omettendo di proposito il particolare del suo sfogo. Immagino che non voglia che qualcuno ne venga al corrente.
Sorride, sollevato. Poi mi attacca con prudenza al muro, accanto alla porta, e si appropria delle mie labbra.
«Sei la migliore» mi ringrazia, quando ci separiamo. «E ti amo.»
«Non c'è di che» ridacchio, tornando a impugnare la maniglia della porta. «E anch'io» aggiungo, in risposta a quel "ti amo".
Busso, e la voce di Mark non tarda a concedermi il permesso. Entro nello studio e richiudo il battente, lasciandomi alle spalle gli occhi scuri di Mason.
Esattamente di fronte a me, il direttore. Le iridi di ghiaccio sondano meticolosamente ogni mio movimento, mentre mi siedo alla scrivania, faccia a faccia con lui.
Fronteggio il suo sguardo con sicurezza, impegnandomi a non abbassare il mio. Non leggo nessuna emozione, nei suoi occhi artici.
«Allora, è vero» attacca con il discorso, un secondo dopo. «Ti hanno riportata in Accademia.»
«Perché voleva vedermi?» salto i preamboli e arrivo dritta al sodo.
«So che ci sono state alcune divergenze, tra noi, ma volevo assicurarmi che fossi realmente dalla nostra parte, stavolta.»
Non mi trattengo: «Non direi che rinchiudermi e torturarmi siano state delle "divergenze"» sbotto, trucidandolo con un'occhiataccia.
Mark sghignazza, e la sua reazione mi innervosisce terribilmente. «Sei rimasta la stessa, a quanto vedo.»
«Beh, anche lei» replico, congiungendo le braccia sul ripiano della scrivania.
«Dovevo convincerti, no? Non mi hai ascoltato, quindi le maniere forti mi sono sembrate necessarie.»
«È anche colpa sua e delle sue dannate torture se sono scappata con le Ombre.»
«Cosa avrei dovuto fare? Lasciare che mandassi all'aria diciassette anni di sacrifici? Non ho perso mia moglie e la metà dei Guerrieri inutilmente, Bridget. Ho dedicato la mia vita, a questa causa, e non potevo permetterti di rovinare tutto.»
Nell'ascoltare le sue parole infuriate e nel vedere i suoi occhi severi, mi rendo conto che Mark è solo un uomo che tenta disperatamente di riscattarsi. Di rendere giustizia alla donna che ha amato e ai ragazzi che ha perso.
«Mi sono comportata da incosciente, e non può nemmeno immaginare quanto io sia pentita delle mie azioni, ma le sto chiedendo di fidarsi.»
Mi tira un'occhiata scettica. «Come posso essere certo che questo non sia un piano di Seth e che non ci tradirai? Non mi stupirei, se dovessi rifarlo.»
«Ognuno ha le sue colpe, signor Smith, ma non possiamo trascorrere le giornate a odiarci e a dubitare l'uno dell'altra. La sto implorando di dimenticare tutto, e io farò lo stesso. Lei si fida di me e io mi fido di lei. La mia parola è l'unica cosa che posso darle.»
Le iridi del direttore mi trapassano da parte a parte. So che scorge la sincerità nei miei occhi, ma, comunque, l'alone di diffidenza che alleggia nei suoi non sparisce.
«Sei tornata a essere un'Arcandida, quindi?»
«No, non sono un'Arcandida. Non lo sarò mai.» Mark inarca le sopracciglia corvine, senza afferrare il concetto, per cui mi appresto a continuare. «Il punto è che non sarò mai un'Arcandida, ma non sarò mai neanche un'Ombra. Faccio parte di entrambi gli schieramenti. Sono fuggita dall'Accademia perché voi accettavate solo il lato arcandido, mentre Seth solo quello da Ombra. Io, però, sono tutti e due. Se vuole un accordo con me, deve accettare entrambi i miei lati. Non esiste la Bridget buona e la Bridget cattiva. Esisto soltanto io, un misto di entrambe. O prende tutto, di me, o niente.»
Una nuova emozione si scolpisce sul volto rigido del direttore.
Ammirazione.
«Tempo fa, ti ho paragonata a Seth. E ho mentito. In realtà, in te, ho sempre rivisto Selene. Lei era la mia migliore amica e le ho giurato di proteggere i suoi figli. Non ho mantenuto la promessa, non ne sono mai stato capace, perché, nonostante volessi bene a Selene, ti consideravo come la causa della fine di Arcandida. Invece, eri solo una neonata, che è stata strappata via dalla propria famiglia e che, quando è cresciuta, non ha sopportato il peso della verità. Avrei dovuto compatirti, non imprigionarti. Sei una vittima di Seth, tanto quanto noi.»
«Abbiamo un patto, signor Smith.» Gli tendo il braccio. «Io vi aiuto a raggiungere il regno e lei mi dà il diritto di governarlo.»
«Il diritto al trono è sempre stato tuo e di Ryan» afferma, stringendomi la mano.
Mi rilasso contro lo schienale della sedia, decisamente più calma, ora che abbiamo instaurato un accordo.
«E per il viaggio? Come raggiungiamo Arcandida?»
«Ti darò tre settimane per riprenderti e per recuperare l'addestramento. Il giorno della partenza, creerò un portale che ci condurrà alla Grotta di Cristallo, dove spezzerai il Sacro Sigillo. Dobbiamo solo sperare che le Ombre non ci tendino imboscate. Quando Arcandida sarà di nuovo accessibile, ci stabiliremo al Palazzo, dove potrà iniziare la guerra con le Ombre.»
Elaboro il piano d'azione e lo assimilo, concentrandomi sul ruolo che coprirò nella faccenda. «Va bene» mormoro, alla fine, sospirando. Sarà un'impresa.
«Non sarà affatto semplice, ne sono consapevole, ma confido nelle tue capacità» afferma, come se mi avesse letto nel pensiero.
Gli rivolgo un debole sorriso, grata della stima che nutre in me.
«Un'ultima cosa, signor Smith.»
«Sì?»
Poso i palmi sulla scrivania e mi costruisco una maschera intransigente, radicando i miei occhi perentori nei suoi. «Sarò io a uccidere Seth.»
****
Come mi aveva promesso, Mason è ancora fuori dall'ufficio, ad aspettarmi. Chiudo la porta e gli vado incontro, al lato opposto del corridoio.
«Com'è andata?»
«Io e Mark abbiamo un patto e ha capito che non può continuare a rifiutare l'altra metà di me. Quindi, suppongo sia andata bene» lo informo, mentre ci incamminiamo.
«Beh, è una buona notizia.»
Quando arriviamo nell'atrio, Mason continua a dritto, invece di girarsi e salire le scale che portano ai dormitori. Mi fermo in mezzo all'ingresso, davanti al portone d'entrata, tra i fasci solari che trapassano le vetrate e mi abbracciano.
«Dove stiamo andando?» gli chiedo.
«Ho promesso a Carter che gli avrei fatto visita. Pensavo ti avrebbe fatto piacere, andare a trovarlo.»
Sgrano gli occhi e, di botto, mi manca l'aria. «No, no, no» rifiuto, scuotendo la testa. «Scordatelo, Mason.»
«Carter non potrebbe mai odiarti, credimi. Ti vuole troppo bene.»
«Ma io gli ho sparato!» gli ricordo. «Con quale coraggio dovrei andare a trovarlo?»
Flette di poco le ginocchia, per incastrare i suoi occhi nei miei. «Ne abbiamo già parlato: non ti sei resa conto di ciò che facevi. Io ti ho perdonata, e lo faranno anche lui ed Emily. D'accordo?»
«D'accordo» mi obbligo ad assecondarlo, di malavoglia.
Mi sorride e imbocchiamo insieme il corridoio che sfocia nello studio medico di Robert. Fortunatamente, non incontriamo nessun altro Guerriero, lungo il cammino. Giungiamo davanti alla porta metallica dell'ambulatorio in poco tempo, nonostante i miei passi vacillanti.
Mason abbassa la maniglia ed entra senza bussare. Lo seguo oltre la soglia e, non appena metto piede nello studio, avvisto Robert, seduto dietro la sua scrivania, con un plico di fogli in mano.
Posa lo sguardo nocciola su di noi e mi osserva con un sopracciglio inarcato, in confusione. «Non ti avevo detto di stare in assoluto riposo?»
Prima che mi possa giustificare, Mason interviene: «Ha una questione da risolvere. Possiamo vedere Carter?».
«Capisco» risponde Robert, comprendendo all'istante il motivo della nostra visita. «Sì, potete andare. C'è anche Emily, con lui.»
Mason lo ringrazia e mi trascina in infermeria, aprendo una seconda porta. Una volta dentro la stanza, attraversiamo lo stretto passaggio che intercorre tra le due file di letti.
Molte postazioni sono vuote. Ignoro le occhiate dei Guerrieri presenti, proseguendo a testa alta dietro Mason. Si ferma dinanzi al terzo letto e si introduce nello lo spazio creato dai separé, dove si trova la brandina di Carter.
Non mi muovo dalla soglia della postazione di ricovero. Guardo Mason che si avvicina al suo migliore amico, Emily che lo saluta allegramente, seduta ai piedi del letto, e Carter, tappezzato dai fili dei macchinari medici.
E, nell'analizzare la sua situazione, ricordo che è colpa mia, se lui è bloccato su quel materasso, ferito, dolorante e con gli aghi nella pelle.
Valuto l'opzione di andarmene dall'infermeria, di scappare, come ho sempre fatto. È da un po' che la fuga sembra l'unica soluzione. Ma i problemi non si risolvono lasciandoli in sospeso. Perciò, mi impongo di restare qui.
«Ehi, amico, ce l'hai fatta. Credevo che non saresti più venuto» esclama Carter, in tono contento, salutando Mason.
«E io credevo che saresti morto» ribatte lui, con un sorriso scherzoso.
«Ci vuole ben altro, per farmi fuori» ridacchia Carter.
Mason mi lancia uno sguardo e gli altri seguono la direzione dei suoi occhi, scontrandosi con i miei. Le iridi verdi di Carter e quelle blu di Emily mi mettono in difficoltà: così, mi trovo costretta ad abbassare la testa, senza la forza di ricambiare le occhiate.
Sento che Mason mormora qualcosa e, in seguito, abbandona la postazione, con Emily alle calcagna. Arrivano alla fine del corridoio ed escono dalla porta, lasciando l'infermeria. Sposto l'attenzione da loro a Carter, che mi scruta con un'espressione indecifrabile, dal suo letto.
«Puoi avvicinarti, se vuoi» mi invita gentilmente.
Lo raggiungo, muovendomi piano e con timore. Poi mi siedo sul bordo del letto, con gli occhi rivolti verso lui. Ci fissiamo per un minuto abbondante, durante il quale soppeso le parole e cerco il coraggio di pronunciarle. Noto che schiude le labbra, per cui mi affretto a batterlo sul tempo e a parlare per prima.
«Mi dispiace» sputo, accavallando le sillabe, in preda all'agitazione. Respirando profondamente, per calmarmi, continuo: «Mi dispiace, Carter. Tanto, tantissimo. Non sai nemmeno quanto. Non volevo, davvero. Te lo giuro. Sono completamente impazzita, vi ho detto delle cose orribili, ho ucciso quel Guerriero e poi ti ho sparato, ma non...» parlo, parlo e parlo, con la voce affranta, supplicando pietà, finché Carter non interrompe il mio monologo sconclusionato e turbolento.
«Non importa» dice, accennando un sorriso tenue. «Davvero, non preoccuparti. È stato un incidente.»
«Non è stato un incidente» obietto.
«Sì, invece. Hai sbagliato, non volevi e mi hai chiesto scusa. Io ti sto perdonando.»
Dovrei sentirmi meglio, ma il nodo che mi ostruiva la gola si stringe e le lacrime mi inondano gli occhi. «Come puoi perdonarmi? Sono stata io a ridurti così.»
Carter raddrizza la schiena e si mette seduto, facendosi scappare qualche gemito. Mi incita ad accostarmi a lui e, quando gli sono a fianco, mi ritrovo tra le sue braccia. Mi stringe forte, passandomi le dita tra i capelli.
«Basta chiedere scusa. Non ce l'ho con te. So che non avevi nessuna intenzione di ferirmi. Comunque, se può farti sentire meglio, sappi che ti ho perdonata, Rossa.»
Un sorriso mi nasce spontaneo. «Mi mancava farmi chiamare così.»
Si stacca da me e il suo sguardo esprime sincerità e dolcezza. «Ti voglio bene, Rossa, e te ne volevo anche quando mi hai trapassato lo stomaco con quel proiettile» conclude con una risatina, che coinvolge anche me.
«Sono felice di essere tornata» confesso.
«Lo siamo anche noi.»
«Sai, non mi è sfuggito il tuo comportamento con Emily, prima che io e Mason arrivassimo» dichiaro, guardandolo con curiosità.
«Dobbiamo aggiornarti su parecchie cose.» Mi fa un occhiolino.
Punta gli occhi alle mie spalle, quindi mi giro anche io. Emily e Mason sono tornati, e non sono soli. Tra loro due, c'è Alexandra. Non appena la Guerriera mi vede, spalanca gli occhi color smeraldo, che si riempiono di lacrime. In meno di un secondo si fionda su di me, stritolandomi in uno dei suoi soliti abbracci soffocanti.
«Oh, mio Dio!» strilla, singhiozzando e stringendomi. «Sei ritornata!»
Percepisco le sue lacrime che mi bagnano il collo e le mie ossa soffrire, sotto la sua presa ferrea.
«A-Alex... mi... mi fai male» bofonchio, annaspando.
La mia migliore amica mi molla all'istante, ricordandosi della mia situazione precaria. «Scusa, è che mi sei mancata da morire» si giustifica, asciugandosi le lacrime.
«Anche tu» le sorrido e le butto le braccia al collo. Stavolta, mi abbraccia con più leggerezza.
Emily e Mason ci raggiungono. Lei va a sedersi accanto a Carter, mentre Mason mi affianca. Appoggio la testa sulla sua spalla e la sua mano si intreccia tra le ciocche ondulate della mia chioma.
Osservo i miei amici, che ridono insieme, riuniti intorno al letto di Carter. La gioia negli occhi e sulle labbra, scherzano e si prendono in giro a vicenda. Guardo le loro espressioni allegre, piene di euforia.
E sorrido. Un sorriso sincero, contento.
Osservo i miei amici e sento di stare bene.
Osservo i miei amici e, finalmente, mi rendo conto di essere di nuovo felice.
Spazio Autrice
Buongiorno readers!
Allora, oggi abbiamo un altro capitolo di chiarimenti. Dopo una dolcissima scena iniziale tra Mason e Bree, lei si decide ad andare da Mark, che ha chiesto di vederla. Tra Bree e il direttore non c'è mai stato un bel rapporto, ma sanno entrambi che se continuano a farsi la guerra non arriveranno da nessuna parte. Così si riappacificano e stabiliscono un patto: lei li accompagnerà ad Arcandida se lui le riconoscerà il diritto di governare.
Cosa ne pensato dell'affermazione finale di Bree, riguardo il voler uccidere Seth?
Comunque, la nostra Principessa riesce anche a sistemare le cose con Carter, che la perdona senza pensarci due volte. Quanto sono carini insieme? Rivediamo anche Alex e, finalmente, i ragazzi sono di nuovo tutti uniti.
Spero abbiate apprezzato questo capitolo di riconciliazioni! Commentate, stellinate, e ci vediamo venerdì❤
Xoxo 🛍
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