41. Al Chiaro di Luna
Carter
«Quindi, è finita?»
«Credo che, in realtà, non sia nemmeno iniziata» risponde Mason, in un sospiro frustrato.
Osservo il mio migliore amico, sdraiato sul mio letto e con lo sguardo di carbone rivolto al soffitto. Mi sistemo a gambe incrociate sulla sedia girevole, cercando una posizione più comoda.
«Ti avevo avvertito: è stata una perdita di tempo» gli rinfaccio.
«Avevi ragione, come sempre» si costringe ad ammettere, infastidito. «Contento?»
«Non è una gara, Mason. Volevo semplicemente aprirti gli occhi. La relazione con Stacy ha soltanto arrecato danni, sia a te che a lei.»
Una decina di minuti fa, Mason si è presentato alla mia porta, con l'espressione abbattuta e l'orgoglio ferito. Lui e Stacy hanno discusso, rafforzando la mia teoria: la loro breve avventura era una recita, una distrazione, un pretesto.
Mi dispiace dovergli sbattere in faccia la verità, ma ha bisogno di qualcuno che gli impedisca di superare i suoi limiti e di distruggersi. Con Bridget in continua fuga, gli siamo rimasti solo io ed Emily.
«Credevo di poter essere felice anche senza Bridget. Volevo dimostrare a me stesso che sono in grado di superare la sua scomparsa.»
«Come si può essere felici, quando manca la fonte principale della nostra felicità? È una cosa impossibile. È come se volessi vedere i colori in una stanza buia. Non puoi, punto e basta.»
«Esistono le torce» ribatte, mettendosi seduto, così da guardarmi in faccia.
«La tua torcia è scappata.»
Mason sbuffa, lanciandomi un'occhiata seccata. «È finito, il dibattito poetico?»
«Cosa hai intenzione di fare, adesso?»
Torna a stendersi sul materasso, con i piedi sul cuscino e la testa sul bordo del letto. Inclina il capo, in modo da includermi nella sua visuale sottosopra.
«Domattina cominceranno le ricerche del covo di Seth, con l'Esercito. Stavolta, dopo aver trovato Bree, non permetterò alle Ombre di tenerla ancora lontana da noi.»
«Stiamo entrando nella tana del lupo» gli rammento il pericolo a cui andiamo incontro.
«E lo uccideremo, una volta per tutte» dichiara, una scintilla combattiva che guizza negli occhi.
«Sì» lo assecondo, con un sorriso impavido. «Sarà l'occasione buona per togliere Seth dai giochi.»
Sbagliavamo, a illuderci in quella maniera: non sarebbero bastate un paio di parole determinate, per sconfiggere Seth, né per abbattere il muro costruito da Bridget. Ma come potevamo saperlo?
«Hai parlato con Em, alla fine?» Mason sposta la rotta conversazione.
Le mie palpebre si spalancano, mentre il pensiero di ciò che avrei dovuto riferire a Emily si schianta nella mia testa. «Dio, Emily» esclamo a denti stretti, portandomi una mano tra i capelli.
«Te ne sei dimenticato?» capisce Mason, sorprendendosi.
«Sono andato nella sua stanza, ma non l'ho trovata. Le stavo per inviare un messaggio, quando ho sentito due ragazze che commentavano la fuga di Bree dai sotterranei. Mi era sembrato giusto avvertirti immediatamente.»
«Cosa stai aspettando? Vai» mi sprona, alzandosi di scatto.
«È tardi, non credi?» chiedo, indicando l'orologio sul comodino.
«Non è neanche mezzanotte, Carter. Sai meglio di me che, in Accademia, andare a dormire è un optional.»
Dandomi la spinta con un piede, giro la sedia verso la parete, per sgattaiolare dallo sguardo contrariato di Mason. Ha ragione - per una volta - ma il coraggio che avevo accumulato si è dissolto, tutto in un colpo. Non posso raggiungere Emily e dirle la verità. Non ci riesco.
Sento i passi di Mason alle mie spalle e, all'improvviso, le ruote della sedia strisciano sul pavimento, portandomi faccia a faccia con il mio migliore amico.
«Datti una mossa e di' a Emily che hai deciso» mi intima, perentorio.
«Forse è meglio di no» farfuglio, a caccia di altre scuse.
«Carter, va'» quasi ringhia. «Emily non sarà sempre lì, ferma, ad aspettare una tua scelta. Muoviti, prima di perderla.»
«Okay, okay, vado» mi arrendo, contenendo un respiro scocciato.
Scendo dalla sedia e mi sgancio dalle occhiate mordaci di Mason, arrivando alla porta. Esito, con la maniglia tra le dita.
«Avete bisogno l'uno dell'altra» aggiunge, in un mormorio sottile e triste.
Mi sta incitando a catturare la felicità prima che mi venga strappata via, come è successo a lui. Non ho bisogno di voltarmi per scorgere la malinconia che gli allaga le iridi. Non ho alcuna intenzione di girarmi e regalargli uno sguardo impietosito: non farebbe altro che aumentare il suo dolore.
«Grazie» gli rispondo, semplicemente, con gli occhi ancora puntati sulla porta.
«È giusto che, almeno voi due, siate felici.»
****
Sto setacciando l'istituto da quasi mezz'ora, senza ottenere nessun risultato. La camera di Emily è deserta, così come la mensa, la biblioteca e la palestra. Ho anche controllato gli orari delle Sentinelle di stanotte, ma il suo nome non è in lista.
Mi siedo sull'ultimo scalino della rampa che conduce all'atrio, sfinito dall'inutile ricerca. Afferro il cellulare per vedere se ha risposto a uno dei miei cinquanta messaggi, ma la barra delle notifiche è vuota. Metto il telefono in tasca e una mano tra i capelli, arrendendomi al fatto che dovrò aspettare il sorgere del sole, per incontrarla.
Scruto l'ombra che la mia figura produce, illuminata dai raggi tenui della luna. La luce argentea del satellite attraversa le porte di vetro colorato dell'ingresso. Bacia il pavimento e si estende fino a metà della scalinata dove mi sono fermato. Il resto è buio, irraggiungibile per i fasci lunari.
Sollevo gli occhi verso i battenti alti e azzurri. Su entrambi è rappresentato lo stemma di Arcandida, un fiocco di neve blu scuro. Il vetro traslucido permette una fioca e distorta visuale del cortile esterno.
Il cortile.
Mi rimprovero per non aver avuto l'idea di cercare Emily anche fuori, mentre salto in piedi e corro verso la porta. Abbasso le due maniglie e spalanco le ante. La luce investe tutto l'atrio, sfiorando il pianerottolo in cima alle scale.
Esco, lasciando la porta aperta. Il sentiero sterrato che termina al cancello d'oro è infangato da pozzanghere, residui del temporale di questo pomeriggio. Imbocco la via a destra, calpestando il prato bagnato e corto. L'odore dell'erba gocciolante di pioggia mi invade le narici e il vento fresco che culla le chiome rade delle querce mi pizzica il viso.
Ci sono esclusivamente i miei piedi frenetici sui ciuffi verdi, a strappare il fitto silenzio. Ogni tanto percepisco le foglie frusciare, smosse dal passaggio di qualche animaletto, o il verso profondo di un rapace notturno, appollaiato tra i rami aridi degli alberi.
Cammino fino al retro dell'Accademia, utilizzato come campo da allenamento, a cui si accede tramite una porta collegata alla palestra. Rimango deluso, nel notare l'assenza di Emily.
Così mi sembra, all'inizio. Poi, esaminando in modo più accurato l'ambiente, mi accorgo di una sagoma seduta su un tronco, a una decina di metri da me. Esulto mentalmente e marcio ad ampi passi in direzione della ragazza. Quando sono alle sue spalle, mi blocco.
Gli occhi blu di Emily sono immersi tra le increspature della superficie di un piccolo bacino d'acqua. Il mio riflesso si aggiunge allo specchio del laghetto, accanto alla sua immagine taciturna.
Sono sicuro che abbia percepito la mia presenza da svariato tempo, eppure continua a ignorarmi. Dopo alcuni minuti di totale silenzio - durante i quali, forse, sperava che me ne andassi - le nostre iridi si scontrano attraverso la lastra d'acqua.
«Che ci fai qui, Carter?» mi chiede, il tono esausto.
«Ti cercavo.»
Si gira, e i nostri sguardi si combinano realmente, stavolta. Segue ogni mio movimento, mentre la affianco sul tronco che funge da panchina.
«Devo parlarti» annuncio, guardandola dritto.
Arcua un sopracciglio, scettica. «Riguardo cosa?»
Dovrei risponderle, iniziare il mio discorso. Sì, dovrei. Ma non lo faccio. Resto muto, perdendomi nei suoi lineamenti.
La sua pelle, dello stesso colore della luna, riflette i raggi bianchi. La luce colpisce le iridi, blu come cielo sopra le nostre teste, e i capelli biondi, evidenziandone la trasparenza.
Al chiaro di luna, brilla così tanto da far invidia alle stelle.
«Carter?» mi risveglia dalla spirale dei miei pensieri assorti.
«Sì? Ah, scusa.» Scuoto il capo, per riprendere lucidità.
«Di cosa devi parlarmi?»
«Prima, voglio sapere perché sei nel cortile, tutta sola, di notte.»
«Avevo bisogno di riflettere un po'. Vengo sempre qui, prima di andare a dormire. Mi aiuta a calmare i nervi.» La sua espressione si distende, quasi come se avesse instaurato una sintonia con questo luogo. «È tutto così stressante, ultimamente. Le Sentinelle, le ricerche, Mark, Bridget. Mi serviva un attimo di pace, per respirare.»
«Ti capisco. Siamo tutti stressati. Dobbiamo resistere solo un altro po': se le ricerche della Tana andranno a buon fine, questa situazione terminerà» auguro, ottimista.
«Lo spero» bofonchia. «Adesso, passiamo a te: cosa devi dirmi?»
Le scusanti a mia disposizione sono finite. È arrivato il momento che segnerà la mia vita - il mio cuore - in eterno, e non posso assolutamente ritirarmi.
Niente errori. Ho elaborato un discorso fluido e limpido, intanto che vagavo per la scuola alla ricerca di Emily. Devo soltanto seguirlo alla lettera.
Inspiro, preparandomi, ma l'ossigeno rimane incastrato nella trachea, impedendomi di emettere suoni.
«Carter? Mi sto preoccupando.»
La guardo nelle iridi oltremare, che aspettano con trepidazione di ricevere informazioni.
Al diavolo il discorso perfetto.
«Un paio di giorni fa ho visto Alex, e abbiamo parlato» comincio.
La postura di Emily si irrigidisce, nel sentire quel nome. «Quindi?»
«Mi ha chiesto di prendere una decisione. Così, all'improvviso, senza darmi il tempo di riflettere. Ho sempre detestato considerarvi due cose tra cui scegliere, ma ero davvero convinto di amarvi entrambe, alla stessa maniera.» Incastono i miei occhi nei suoi, smeraldi decisi dentro zaffiri spaventati. «Mi sbagliavo, Emily.»
«Chi desideri, Carter? Sono stanca di aspettare» incalza, le iridi incupite di sfinimento e ansia.
Catturo una ciocca dei suoi capelli candidi, d'oro argentato, tra le mie dita, accarezzandole una guancia tempestata di lentiggini. Mi avvicino a lei, mantenendo i polpastrelli sui puntini scuri, che bucano la pelle bianca.
«Te, Emy. Sei tutto ciò che ho sempre desiderato. Ci siamo respinti a vicenda e inseguiti per anni, senza neanche rendercene conto. Nonostante il dolore che ci siamo causati, io non ho mai smesso di amarti» ammetto, attaccando le nostre fronti.
Il respiro di Emily si spezza, mescolandosi al mio. «Vorrei averlo capito prima» bisbiglia.
«Che cosa?»
«Che ti amo, e che non devo vergognarmene. Non ti ho mai reputato come un semplice migliore amico. Tu, per me, sei sempre stato un traguardo lontano, ma per cui valeva la pena correre, anche con i muscoli in fiamme. Mi pento di non essermi sforzata abbastanza, per raggiungerti.»
«Ora, sono qui. E ti sto dando me stesso.»
Aggroviglio le nostre dita, per dimostrarle che, finalmente, quella corsa disperata è finita.
«Non è pericoloso? Siamo amici da un secolo, Carter. Non rischiamo di rovinare il nostro rapporto irrimediabilmente?»
«Il rischio c'è sempre, in qualsiasi relazione. L'importante è essere pronti ad affrontarlo.»
«Sarò pronta a tutto, se avrò te, al mio fianco» attesta, sicura come non l'ho mai vista.
La mano di Emily si posa sulla mia nuca e le sue dita si intrecciano tra i miei capelli. Tirandomi in avanti, fa scontrare con impetuosità le nostre labbra, che si bramano da troppo tempo.
Dopo una sfibrante attesa, sono state accontentate.
Spazio Autrice
Buongiorno, lettori💙
Con questo capitolo si chiude, finalmente, il triangolo Emily-Alex-Carter. Era piuttosto evidente che la scelta di Carter sarebbe ricaduta su Em. Si conoscono (e amano) da una vita intera e, adesso, hanno la possibilità di stare insieme.
Sono curiosissima di leggere i vostri pareri riguardo la nuova coppia! Siete contenti o avreste preferito Alex? Se sì, perché? In questo caso, non disperate: anche lei troverà qualcuno con cui essere davvero felice. Carter non era la persona giusta.
Nel prossimo capitolo, le ricerche della Tana subiranno un'importante svolta e Mason scoprirà qualcosa di fondamentale. Stay tuned!❤
Xoxo 🌖
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