33. Abbracciare
Alexandra
«Alex, non c'è bisogno che tu faccia tutto questo» ribadisce Bridget.
«Sta' zitta e fatti aiutare» blocco le sue lamentele.
Il mio tono perentorio funziona: Bridget si chiude in un guscio silenzioso, senza però camuffare il sorriso che le illumina le labbra.
Finisco di passare il cotone, bagnato di disinfettante, sui tagli che le spaccano la pelle. Sono riuscita a spostare un po' i cerchi spessi delle manette, per far respirare i polsi martoriati.
«Va meglio?» le domando, posando la bottiglietta di sterilizzante e l'ovatta sporca di sangue nella borsa.
«Sì, grazie» sospira, sollevata.
Recupero un unguento dal fondo della borsa di pelle, che Robert mi ha cortesemente prestato. Con la massima delicatezza, applico la crema bianca sulle bruciature che rovinano l'incarnato latteo della mia migliore amica. Mugola ad ogni mio tocco, gemendo per il pizzicore. Cospargo la pomata sulle tempie, sui fianchi e sulle braccia, per allievare il fastidio delle ustioni.
«Da piccola, ho sempre desiderato fare la dottoressa» le racconto, sperando di distrarla dal dolore.
«Non sono una bambina, Alex. Non devi raccontarmi una favola» borbotta, guardandomi indispettita.
Rimetto a posto la lozione e chiudo il bottone argentato del bagaglio medico di Robert. Mi siedo accanto a Bridget, sul materasso scomodissimo e macchiato, e osservo le ferite e che Mark le ha inflitto.
«Ucciderò Smith a sangue freddo» ringhio.
Bridget espira, stanca e sofferente, premendo la fronte sulle ginocchia piegate.
«Come osa fare questo alla figlia di Selene, della sua migliore amica?» continuo a riversare il mio astio nei confronti del direttore.
«Ho scelto le Ombre. Mark mi tortura affinché torni a servirlo in Accademia» spiega, con estrema calma.
«Credevo fosse solo una voce di corridoio» mormoro, sorpresa. «Tu...»
«Io sto dalla parte di Seth» conferma il mio pensiero.
«Ti ha fatto il lavaggio del cervello!»
«È stata una mia decisione» sbotta lei, i lineamenti increspati dall'irritazione.
«Bridget, apri gli occhi: Seth ti sta usando» ribatto, alzando di troppo la voce.
«È mio padre» lo difende.
«Ciò non cambia la situazione.»
«Non me ne frega» risponde, lanciandomi un'occhiata rabbiosa.
Gira il capo e fissa la lastra di pietra che funge da pavimento, ignorando il mio sguardo persistente.
«Ti stai distruggendo» le dico. «Perché non vuoi capirlo?»
«Aveva ragione Simon» assevera d'un tratto. «Sono pericolosa per me stessa.»
«Di chi stai parlando, scusa?»
«Lascia perdere. Non è importante» dilegua l'argomento.
«Non ti riconosco più» mormoro, guardandola tristemente.
Bridget sgrana gli occhi multicolore, sregolati e privi di armonia. La mia constatazione l'ha colpita. Lo appuro dal modo triste con cui punta le sue iridi affrante nelle mie.
«Mi dispiace, Alex» bisbiglia, pentita.
È sincera, è realmente mortificata; ma, conoscendola, posso attestare con certezza che non cambierà mai opinione. Mai. Nessuno ha abbastanza influenza su Bridget per riuscire a guidarla dall'altra parte del dirupo.
Neanche io, la sua migliore amica.
«Quindi, siamo nemiche» osservo.
«Non lo siamo e non lo saremo» obietta. «Non tutti gli Arcandidi mi vogliono morta.»
«Ma tu detesti ognuno di noi.»
«Piantala. Ti voglio bene, e lo sai. Altrimenti, non ti avrei permesso di venire qui.»
Quando Mason mi ha riferito che Bridget aveva intenzione di vedermi, e che aveva trovato un modo efficace per raggiungere i sotterranei, ero sul punto di svenire per l'emozione.
Mi ha illustrato brevemente la situazione in cui era confinata. Il suo sguardo era sfuggente e prostrato, mentre parlava. Deve avergli fatto male, rincontrare Bridget. Ora, comprendo Mason: anche io sto soffrendo in silenzio.
Quelle cicatrici, quelle smagliature, quegli strati di pelle bruciacchiata sottraggono a Bridget ogni residuo di splendore. La sua figura è buia, piccola e spaventata. Le sue iridi non brillano più, il blu e il nero le stanno contaminando.
Nel momento in cui l'ho vista, rannicchiata sul materasso, stritolata nella morsa della catene, volevo scoppiare a piangere. Mi sono trattenuta, però.
Non ho fatto alcun gesto eclatante: l'ho salutata come se non fossimo state in contatto per qualche futile oretta - quando, in realtà, non ci vediamo più di un mese - e mi sono messa all'opera con il kit medico di Robert.
«Anche io ti voglio bene. Perciò, voglio di vederti serena. Le Ombre ti renderanno felice?»
«No» sputa, senza neppure pensarci sopra.
«E gli Arcandidi?»
Mordicchia il labbro inferiore, vacillando. «Non ne sono sicura.»
«Beh, è meglio di niente» sostengo. Stringo le sue mani nelle mie, sigillando i miei occhi verdi dentro i suoi. «L'Accademia è il tuo posto. Ci siamo io, Mason, Ryan...»
Slega l'intreccio delle nostre dita e indietreggia, strisciando sul materasso, quasi come se le mie motivazioni l'avessero spintonata.
«Io e Ryan abbiamo troncato ogni connessione. Mason, invece... lui si è ricostruito una vita.»
«E io?»
«Non ti servo.»
«Ho bisogno di un'amica, Bree. Di te.»
Lei si ravvia i capelli ramati e sporchi, in un gesto nervoso. Mentre sistema - con scarsi risultati - la sua chioma di boccoli cascanti, le catene frusciano, il ferro vestito di ruggine si scontra con la roccia della parete, tintinnando.
«Te la caverai da sola» mi assicura.
Rinuncio a persuaderla. È un fallimento, tentare.
«Sei insopportabilmente testarda» sbuffo.
«So quello che faccio» si giustifica.
Arcuando un sopracciglio, le indico la cella e le manette. «A me non sembra.»
«Sophia mi ha incastrata. Avrei dovuto raggiungere Seth al suo covo, una volta atterrata a New York.»
«Poi? Cosa avresti fatto, al covo?»
Scrolla le spalle. Stiracchia i fili rossi dei suoi capelli, senza darmi nessuna informazione.
«Non lo sai nemmeno tu, vero?» insisto, ma non ottengo ancora risposte.
Appoggio la nuca alla parete, osservando il soffitto bagnato di umidità e decorato di ragnatele. Io e Bridget manteniamo il silenzio per qualche minuto. Lei continua ad attorcigliare ciocche di capelli intorno alle dita, e io fisso le mura della prigione.
Dopo un breve lasso di tempo - che, però, mi è sembrato eterno - la mia testa implora pietà, schiacciata contro la roccia granitica. Stacco il capo dalla superficie rigida e mi alzo in piedi, sciogliendo le articolazioni intorpidite.
«Quel materasso è più scomodo del pavimento» bofonchio, sedendomi a terra.
«Mi ci sono abituata» confuta Bridget.
Vederla così indifferente mi sconsola. Non è vero: non si è abituata a niente. Si muove di continuo sulla brandina, cercando una posizione comoda; il suo viso si piega in una smorfia, ogni volta che, accidentalmente, sfiora le ferite; sistema sempre le catene lungo il braccio, per non accentuare i tagli sui polsi.
«Ti prego, Alex, non guardarmi in quel modo» biascica, implorandomi di non provare compassione.
Farfuglio una parola di scusa e aggancio le pupille al pavimento. Giocherello con i granelli di roccia e polvere, rigirando i sassolini tra l'indice e il pollice.
«Sophia mi ha lasciata entrare senza fare domande» mi rendo conto, all'improvviso. «Perché? L'effetto dell'incantesimo era già sparito.»
«Sophia prova ad aiutarmi. Mi ha catturata lei, ma non si aspettava che Mark mi facesse questo. È dispiaciuta, anche se non dovrebbe.»
«Come mai non dovrebbe?»
«Se te lo dico, non giudicarmi, okay?» mi supplica, con le iridi iniettate di vergogna.
«Certo» le prometto.
«Immagino che lo avrai già sentito, in giro. Ho ucciso Steven, il Guerriero che era nel gruppo di Sophia» ammette, sussurrando a testa chinata.
Sono certa che i miei occhi siano sgranati e che la mia carnagione sia sbiancata, in questo momento. «Non credevo che avessi il coraggio di fare una cosa simile.»
«Neanche io lo credevo» borbotta, affondando il volto nelle mani.
Potrei farle chiarezza sulla cattiveria di Seth, che la sta contagiando. Potrei rimproverarla, potrei accusarla e insultarla, potrei uscire da questa prigione e allontanarmi da lei. Potrei persino tagliare ogni ponte che mi lega a Bridget: nessun Arcandido dovrebbe frequentare un'Ombra.
Ma, a dirla tutta, non me ne importa. È la mia migliore amica. È anche un ibrido, la figlia di Seth, una carcerata, ma resterà per sempre Bridget Kelley. Per me, lei è la ragazza che ho conosciuto in questi sotterranei, quella con cui ho scassinato una serratura, quella che non ha mai sprecato occasione per consigliarmi la strada da imboccare, che mi ha affiancata mentre la percorrevo.
Le scosto le dita dal viso e la abbraccio, per comunicarle il mio pensiero. La stringo, circondandole il collo, e lei si adagia sulla mia spalla, nascondendosi nella mia chioma bionda.
Passo le dita tra i suoi capelli sbiaditi e annodati, lisciandoli e seguendo la lunghezza delle ciocche afflosciate. Il colore, non più lucente, è un rosso fioco e arrugginito, come il ferro che le blocca i polsi.
«A prescindere dalle scelte che farai e dalla tua natura, io sarò sempre dalla tua parte» le bisbiglio all'orecchio, rassettandole una ciocca dietro l'orecchio.
«Perdonami» mi chiede in tono afflitto.
«Non fa niente» la rincuoro.
Abbraccio la mia migliore amica, senza temere di spaccarle le ossa, perché questo è l'unico mezzo per aggiustare un'anima rotta e soffocarne le lacrime.
****
Emetto un sospiro di sollievo, non appena mi trovo fuori dal raggio visivo dei Guerrieri. La coppia di studenti che vigila l'accesso dei sotterranei è stata illusa dall'incantesimo ottico che mi ha insegnato Mason.
Si tratta di una semplice magia che permette di assumere i panni di una qualsiasi persona, in ogni momento si desideri. Il mio corpo é rimasto lo stesso, ma nella mente di quelle guardie io avevo l'aspetto di Robert, il medico.
Mi hanno lasciata entrare e uscire senza problemi. Il passaggio nascosto per scendere nei sotteranei, adesso, è spalancato e completamente visibile. Anni fa, io sono riuscita a scovarlo per puro caso, durante un'esplorazione dell'edificio.
Cammino per i corridoi intersecati, seguendo un ordine preciso: due volte a destra, una volta a sinistra. Continuo in questa maniera fino a giungere davanti alla palestra, lasciandomi alle spalle il labirinto di strade biforcate.
Raggiungo l'altro. Il sole trapassa le vetrate colorate che fungono da porta e i raggi fanno scintillare la mia chioma dorata.
Appoggio il piede sul primo gradino della scalinata che conduce al secondo piano, dove tra poco si terrà la mia prossima lezione, quando una voce mi arresta.
«Alex?»
Non ho bisogno di girarmi, per riconoscere il timbro di Carter. Nell'istante in cui incontro i suoi occhi, desidero di non essermi mai voltata.
I fasci solari, provenienti da dietro, lo investono. Le sue iridi verde scuro luccicano; il Sole crea un contrasto ipnotico tra i propri coni di luce e i capelli castani del ragazzo. Indossa la divisa dell'Esercito: la giacca azzurra è sbottonata e si intravede la camicia bianca, che accentua il fisico asciutto e le spalle larghe.
Carter infila le mani nelle tasche dei pantaloni, a disagio. «Vai a lezione?»
Annuisco, poiché non ho affatto la voglia di instaurare una conversazione con lui. Non parliamo da un sacco. La sottospecie di accordo pacifico che abbiamo stabilito, insieme a Emily, si è distrutto immediatamente.
Da quando Bridget è scappata, mantengo elevate le distanze, con loro due. I sorrisi e gli sguardi che si scambiano mi fanno sentire un'estranea. Mi spezzano il cuore, ancora di più, e mi mandano in bestia.
«Non ti vedo da quando ci hai accompagnati nei sotterranei, la settimana scorsa» notifica.
Si riferisce al tentativo inutile che Mason ci ha pregato di effettuare, mentre lui era bloccato su un letto dell'infermeria. Scortare Emily e Carter non è stato solo imbarazzante. È stata un'agonia. Peggio di una tortura medioevale.
«Sì, me lo ricordo» gli rispondo, farneticando. Purtroppo, aggiungerei.
«Va tutto... va tutto bene?»
Stralunata, gli tiro un'occhiataccia. Che razza di domanda è?
«Cosa vuoi, Carter?» arrivo al punto.
Si stringe nelle spalle. «Nulla. Volevo accertarmi che stessi bene.»
È una pugnalata allo stomaco, il fatto che Carter sia così distante. Ci evitiamo, non chiacchieriamo, abbiamo seppellito ogni contatto e ogni briciola di sentimento.
«Sto bene» dico superficialmente. «Ora, devo andare a lezione.»
«Va bene» sussurra, abbassando lo sguardo sulle sue scarpe.
Salgo uno scalino, poi altri due, e mi fermo. Mi giro verso Carter, stringendo la ringhiera in ferro battuto. Lui se ne accorge e riporta le sue iridi verde bosco sul mio profilo.
Con un paio di balzi, raggiungo i piedi della rampa e mi avvicino al mio ex-ragazzo. Alzandomi in punta di piedi, racchiudo il suo viso tra i miei palmi.
«Sono stanca. Detesto questa situazione, in cui non so mai cosa aspettarmi. Mettiamo un punto.»
«In che modo?»
«Non devi più mentirmi su ciò che provi.»
Carter perlustra i miei occhi, cercando falle nel mio muro di determinazione. Scorge solo tanta sicurezza e tanta brama di chiudere questo circolo di dolore e infelicità, perciò decide di essere sincero.
Sospira, arrendendosi al potere del mio sguardo deciso. «D'accordo.»
Spazio Autrice
Buongiorno, lettori!🧡
Nel capitolo di oggi, la protagonista è Alexandra. Finora, è apparsa davvero pochissime volte, perciò le ho dedicato un intero POV. Rivede Bridget e, da brava migliore amica, decide di restarle a fianco, nonostante le sue scelte sbagliate.
Dopo, incontra anche Carter, e gli chiede di essere sincero e di chiudere il triangolo che hanno formato con Emily. Quale sarà la scelta di Carter? Dovrete aspettare qualche capitolo, per saperlo.
Nel frattempo, lasciate commenti e stelline 🌠
Xoxo🏝
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