23. Ci Proverò

Ryan

Contraggo le dita attorno al bordo del ripiano lucido. I polpastrelli sudati scivolano dal legno e strisciano contro gli spigoli affilati.

Mark Smith, munito di scrupolosità e fragoroso silenzio, non scolla le sue iridi di ghiaccio da quel dannato foglio. In seguito, la sua mano si sposta dalla carta al portapenne, dal quale afferra una stilografica rivestita di plastica verde. Appoggia il documento sulla scrivania e cancella una parola, con una linea secca, nera e rumorosa.

"Irlanda".

Il nome del paese è ancora leggibile, ma in modo confuso. Accanto, tra parentesi, è inserito l'appellativo di Carter Miller, che ha guidato la spedizione. La punta della penna ricopre d'inchiostro anche quello.

«Fuori il primo» bofonchia Mark, piano. Mette a posto la penna e toglie la lista delle nazioni europee dalla mia visuale. «Carter è rientrato stamattina. La loro esplorazione è stata abbastanza veloce.»

«E inutile» aggiungo, stizzito.

«Esattamente» conferma il direttore, intrecciando le dita.

«È solo la prima sconfitta. Ci sono altri Stati e altri gruppi di Guerrieri» mi improvviso ottimista.

«Ryan, sai che non sono d'accordo con queste assurde ricerche. È una pazzia creata da Mason, per sentirsi meno in colpa.»

«Cosa intendi, con "meno in colpa"?»

«Almeno, facendo così, potrà affermare di averci provato, e non di essersi pianto addosso per tutto il tempo.»

«Non è una prova. È una missione. E ci riusciremo» ribatto, risoluto.

«Ne dubito.»

«Piantala di essere pessimista. Stiamo parlando di mia sorella.»

«Sorellastra» mi coregge, con un ghigno da bastardo.

Trattengo uno sbuffo di rabbia. Comprendo l'astio di Mark nei miei confronti: io ero al corrente della vera natura di Bridget da tempo e non ho rivelato le mie informazioni a nessuno.

Era un segreto mio, di mia madre. E di Mackenzie.

È anche questa la ragione per cui Bridget è fuggita. L'ho delusa e ingannata. Si fidava ciecamente di me, e adesso non vuole neanche sentire la mia voce. Ha tagliato il filo che legava le nostre menti. Ha impugnato un paio di forbici invisibili e l'ha diviso nettamente, spinta dal dolore e dal rancore.

«Vado ad aiutare Carter con il rifornimento. Se i Guerrieri avranno il mio incoraggiamento, sarà più semplice per loro» mi comunica Mark.

Il direttore si alza ed esce dal proprio studio. Lascio che un sospiro di collera abbandoni i miei polmoni, riversandosi nell'aria.

Quattro giorni fa, le sei squadre di ricerca sono partite. Finora, nessuna annuncia di aver trovato tracce di Bridget. E, inoltre, una di esse si è già ritirata, senza i risultati sperati.

È presto, per abbattersi. Devo pazientare. Mancano altri tre giorni.

Bridget non può trovarsi più lontano dell'Europa: un'Ombra l'ha quasi confermato. È imprudente fidarsi di quegli esseri, ma se si tratta di mia sorella sarei disposto a credere persino alle parole di Seth in persona.

Mark è riluttante, al contrario di Mason. Quest'ultimo non ha esitato a mandare cinquanta Guerrieri in un altro continente. Mason è capace di controllarsi, di dare la precedenza al suo dovere, di appiattire momentaneamente i sentimenti.

Io no. Io ho pianto fino a prosciugare la mia riserva di lacrime. Ho tirato pugni così forti che la mia mano era sul punto di staccarsi dal resto del braccio.

Io e Bridget siamo uguali, su questo piano. Anneghiamo in mezzo alle nostre emozioni, ci lasciamo sopraffare. Perciò è scappata. Non sosteneva il peso della verità, degli sguardi pietosi, della sofferenza.

Se non l'avesse già fatto lei, sarei fuggito io. Eppure, dopotutto, restare qui è la punizione che mi merito, per averle mentito.

È la punizione che mi merito, dopo che Mackenzie è morta.

«Mark? Posso entrare?» chiede una voce femminile, da dietro la porta dell'ufficio.

Mi alzo dalla sedia. Schiudo la porta, sporgendomi dalla fessura aperta. «Il direttore non c'è, al momento.»

Davanti a me c'è una Guerriera bionda, con i capelli legati in una coda di cavallo. Inarca un sopracciglio. «Sei il suo segretario?» domanda, sarcastica.

«No, sono il Principe» sottolineo bene l'ultima parola, accennando un sorrisetto.

Come immaginavo, la ragazza sgrana gli occhi e arrossisce. «Mio Dio, Ryan! Non ti avevo riconosciuto.»

Osservo le sue iridi verde-marrone e la divisa accademica. Indossa una gonna blu, invece dei pantaloni. L'identità della studentessa che mi fissa imbarazzata e mortificata è ovvia.

«Entra, Tiffany.» Le spalanco la porta, spostandomi contro lo stipite.

«Perché sei qui?» mi domanda, facendo il suo ingresso nello studio.

«Per accogliere la mia compagna di classe preferita, nonché acerrima nemica di mia sorella» ironizzo.

Arriccia il naso in una smorfia offesa. «Non siamo nemiche.»

«Cosa volevi, da Mark?»

«Nulla. Dirgli che in Irlanda...» Tiffany si mordicchia le labbra chiare e cala lo sguardo, interrompendosi a metà frase.

«Dirgli che in Irlanda avete sprecato tempo e basta?»

Indispettita, mi lancia un'occhiata acida. «Abbiamo fatto del nostro meglio.»

«Beh, mia sorella non è là.»

«Tua sorella sarà graziata da Dio, se Mark dovesse decidere di risparmiarla, una volta trovata» minaccia, additandomi. Ora è rossa per l'ira.

Afferro l'indice che mi ha puntato al petto e lo abbasso. «Mark non è il tipo di persona che setaccia l'altra parte del mondo, per una ragazza che ucciderà.»

«Quell'uomo non lo capisce nessuno.»

«"Nessuno" include anche te, quindi» la zittisco.

Va a sedersi sulla poltrona che costeggia la finestra. Accavalla le lunghe gambe e preme mento sul palmo della mano, facendo scivolare la coda bionda sulla clavicola.

«Aspetterò il ritorno di Smith» annuncia.

«Fai come vuoi» scrollo le spalle con indifferenza.

I minuti passano così. Tiffany in quella posizione annoiata, che sbuffa ogni due per tre, e io che mi rigiro i pollici, sulla scomoda sedia della scrivania.

«Levami un dubbio: in Irlanda è estate?» domando, retorico, accennando al suo abbigliamento.

Raddrizza la schiena e allaccia i primi tre bottoni della camicia bianca, svelta e con le guance tinte di vergogna. Sistema la gonna e la abbassa il più possibile.

«Sei uno... sbruffone» mi insulta, sdegnata.

«No, Tiffany, sei tu che ti rechi mezza nuda in una delle nazioni più fredde d'Europa.»

Il rossore si espande a macchia d'olio sul suo volto perfetto. Copre le sopracciglia delineate, gli zigomi alti, il naso piccolo. Giunge persino alle punte delle orecchie e alla radice dei capelli biondissimi, quasi bianchi.

«Vaffanculo!» sbotta.

«Hai appena mandato a quel paese il tuo futuro Re?» mi fingo inorridito dal suo linguaggio.

Un risolino vola via dalle sue labbra sottili. «Perdonatemi, Maestà.»

«Per quale ragione hai modificato la tua divisa?» cambio argomento, sinceramente interessato.

Gli occhi screziati di Tiffany si allargano. Nelle venature verdi scorgo un flebile panico. «Non mi piace parlarne» sussurra, col capo basso, quasi come se si sentisse in colpa.

Non le faccio pressioni, rispettando la sua scelta di nascondermi la verità.
«Nessun problema» la rassicuro.

«Grazie, Ryan.»

È bello, il mio nome sulle sue labbra. Lo pronuncia con dolcezza e sincera riconoscenza.

Spostiamo l'attenzione sulla porta dello studio, che si apre d'un tratto. La figura imponente di Mark sbuca dal battente di mogano.

«Campbell» saluta la ragazza. «Hai bisogno?»

Lei annuisce e si alza dalla poltrona, lisciando le pieghe della gonna. «Carter mi ha chiesto di portarti il resoconto della nostra spedizione.»

Il direttore annuisce. «Siediti. Ryan, continueremo il discorso la prossima volta. Sarai il primo ad essere informato, in caso di novità» dice poi a me, in un evidente gesto di congedo.

Mormoro un ringraziamento. Abbassando la maniglia dell'uscita, giro la testa verso Tiffany. Mi rivolge un timido sorriso, che ricambio volentieri.

****

«Allora? Le ricerche hanno avuto risvolti?»

«No, mamma. Ancora niente.»

Mia madre, attraverso lo specchio magico dei sotterranei, non si cura di mascherare lo sconforto. I suoi occhioni, che mi ricordano tanto Bree, si fanno pian piano lucidi e abbattuti.

«La rivedremo, secondo te?» domanda. La sua voce tremante mi spezza il cuore.

«Non ne ho idea» rispondo, completamente onesto.

La prima lacrima le solca il viso spento. «Ci odia.»

«Mamma, non dire così.»

Dovrebbe essere lei a consolarmi e a portarmi sulla strada giusta, non l'opposto. Ma, da quella notte, la sua allegria e la sua positività si sono smarriti insieme a sua figlia.

Abbiamo sbagliato entrambi, siamo stati bugiardi ed egoisti, però non ammetterò mai - mai - che Bridget sia arrivata al punto di odiarci. Non voglio crederci.

«Hai sentito tuo padre, alla fine?» domanda, asciugando le lacrime dalle ciglia ramate.

«No. Ho paura di vederlo. Anche lui ha ogni diritto di essere arrabbiato.»

Mamma ridacchia in modo dolorosamente divertito. «Abbiamo perso metà famiglia.»

«C'è sempre Seth. Lui non ha intenzione di lasciarci.»

«Ryan» indurisce il tono, riassumendo compostezza e severità, «Seth farà a pezzi Bridget. Non può sopravvivere al suo male. È spietato. Non è solo un mostro perfido: è terribilmente potente. Salva tua sorella da lui.»

«Mia sorella ha...»

«Ha rotto la connessione, sì. E tu puoi ricostruirla. Fallo e portala a casa. Anche se i Guerrieri dovessero trovarla e costringerla a venire in Accademia, non basterebbe. Potrebbe fuggire di nuovo o essere rapita dagli scagnozzi di Seth.»

«Non mi permetterà di aiutarla» ribadisco.

«Sei l'unica speranza per gli Arcandidi e per Bridget. Devi provarci, devi fare un tentativo» mi prega, affidandomi la sua piena fiducia.

Sospiro, messo alle strette. «Ci proverò, mamma.»

Spazio Autrice

Nonostante l'orario, eccovi il capitolo!💕

Finalmente, dopo un sacco di tempo, torniamo a leggere il punto di vista di Ryan. E rivediamo anche un caro vecchio personaggio: Tiffany. Vi era mancata?

Ryan parla anche con Selene, che lo incita a fare un tentativo per salvare Bree. A quanto pare, lui è l'unico in grado di fare qualcosa... ma Bridget glielo permetterà?

Votate e commentate, mi raccomando! A venerdì❤

Xoxo🖼

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